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leonardo
troppo maturi che cadono fra l'erba e v' imputridiscono.
Io stesso, amici, sono stato fino ad oggi fra la turba di questi sciaurati che mai non fur vivi — ricordate ? — Voi forse aspettavate la mia voce e il mio gesto come un segnale di partenza verso tutte le conquiste ed io languivo sdraiato nella mia noia, meditando sulla mia viltà e rodendomi il cuore — mentre la vita scorreva accanto a me ondeggiante e solenne come un gran mare pieno di prede. Neanche io non ho osato. Nessuno di noi ha avuto il coraggio di saltare in groppa ad un cavallo e di galoppare incontro al suo destino.
Se qualcuno di noi ha tentato di vivere e di operare, lo sconforto e il calcolo l'hanno risospinto verso la sua ignavia. Ogni nostra opera è stata faticosa e senza gioia: lavorando sapevamo già di non obbedire precisamente ai comandi della nostra anima. Abbiamo intessuto degli eterni preludi, delle continue prefazioni alla nostra opera vera : tutta la nosti a vita è stata fin qui il vergognoso proemio di un libro avvenire. Prima di realizzare noi stessi abbiamo interrogato la ragione, la prudenza e il mondo. La ragione la prudenza e la paura hanno fatto di noi tanti ennuchi schifosi. Noi stessi fra breve non potremo più sostenere senza disgusto la nostra apparenza. Non è cosi, amici pitocchi che sedete con me nell'atrio della vita ? E così e vergognamoci.
Ecco quello che volevo dirvi in questo momento
solenne, avanti...... — Perchè io non posso più vivere
così ! I fatti della mia vita passata, i miei pensieri, i miei amori, le mie opere, tutte queste cose provvisorie sono sopra di me come l'ellera sul tronco di una giovine quercia; mi soffocano e cercano di uccidermi. Voi stessi, amici, foste fino ad oggi sulle mie spalle come dei vecchi ammonitori spietati. Ogni volta che la pazzia — poiché non è forse la pazzia l'ideale ultimo delle nostre anime ? — ogni volta che la pazzia mi chiamava verso i suoi regni gioiosi, la vostra immagine mi appariva con mille consigli come l'immagine del « pros-