schermaglie
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Ai piagnoni di Carducci.
Soltanto la mattina del 16 febbraio 1907 gli italiani si sono accorti che Giosuè Carducci era morto. E bastato che un attacco di polmonite abbia reso immobile e freddo quel povero corpo fiaccato che fu già abitacolo dell'anima del Poeta e tutti i fraseggiatori a tema obbligato e tutti gli amici, discepoli e sfruttatori del morto si son messi a battersi il petto e la pancia per trarne fuori le orazioni magniloquenti e gli eroici rimpianti e le lucuzioni dolorose quali richiedevano i direttori dei giornali e le convenienze del mondo.
Ed ora, oltre tutti i discorsi, son minacciati monumenti in Roma e arche funebri in Bologna e urne nazionali in Santa Croce e già Firenze e Bologna si stanno disputando il misero corpo destinato, naturalmente, a richiamo di « civile pellegrinaggio ».
Oh potesse almeno per qualche ora riacquistare la sua voce degli anni belli il poeta e potesse ancora una volta con le rudi parole far vergognare i suoi italiani ! Non oggi, direbbe egli, dovete piangere la mia morte. Oggi non è morto che il mio corpo. Ben avreste dovuto piangere, se pure io non merito che lacrime, or son dieci anni, quando i canti moriron dentro al mi
E più direbbe il vecchio sdegnoso se la tomba non lo richiudesse. Perchè veramente gli sarebbe spettacolo doloroso vedere da quali uomini sia oggi compianto e commemorato. Fra tutti quelli che infilano in questi giorni periodi artificialmente commossi o mandano alle stampe i loro discorsi, già da tempo con provvida cura preparati, soltanto pochissimi avrebbero il diritto di parlare dell'anima robusta che non è più. Niente c'è di carducciano 'n queste animuccie di letterati e di professori — niente della rudezza e della dignità e dello sprezzo' delle piccinerie vigliacche e