ATTO TERZO - SCENA LY.
Sdegnai la tenebrosa arte dei vili. Il peggio è di me noto, e dir mi posso 405 Di mia fama miglior. Te sciagurata, Se cade un giorno l'onorato manto Di cui sapesti, ipocrita maligna, Celar la tresca de' tuoi sozzi amori ! Figlia d'Anna Bolena, ereditata 410 L'onestà tu non hai. Note già sono Quelle caste virtù che alla mannaja L'adultera tua madre hanno tradotta. 15 Talbo (entra fra loro)
O potenze del cielo! a che siam giunti? Questa, o Maria, la sofferenza? Questa ?io L'umiltà?
Maria Sofferenza? io tollerai
Quanto può tollerar petto mortale ! Via, codarda umiltà ! via dal mio core, O conculcata pazienza! Infrangi Le tue catene, e dall'abisso irrompi, 420 () lungamente l'attenuto sdegno! E tu che desti all'irritata serpe Uno sguardo omicida, arma il mio labbro Di venefiche punte!... Talbo Ella vaneggia!
Ella è tratta di senno! Ali, tu perdona Alla delira provocata! (Elisabetta, muta di rabbia, getta furibondi sguardi sopra Maria) Leicest. (nella massima agitazione cerea di allontanare Elisabetta) Chiudi
L'orecchio al vaneggiar della furente ! Fuggi da questo sventurato loco.
,s Lo sdegno represso irrompe furioso e Maria ornai, per disperazione fatta sicura, dice tutto ciò che ha sempre pennato c sentito della sua terribile rivale. Questo scatto violento e umano, interamente umano e tutta la scena è di una dram-'Eticità degna delle migliori tragedie shakesperiane, seb-]''ne m qualche momento le due dorme, e specialmente Elisabetta, scendano alle ingiurie più volgari.