ATTO QUARTO — SCENA III. 133
Che la mail d'un sicario in me volgea! Perchè torgli il suo corso? Ogni contesa Or sarebbe compiuta, ed io, senz'ombra Di sospetto e di colpa, avrei quiete 545 Nel mio sepolcro. Ah sì, per Dio ! 111'è noja E lai vita e il regnar ! Se forza- è dunque Che di noi coronate (e questa scelta-Necessaria è pur troppo!) una soccomba Per lai vita dell'altra, essere io stessa 550 Non potrei la. rejetta? Io n'abbandono Al popolo la scelta, e gli ritorno La prisca maestà. L'Onnipotente Sa Ilo che. governando, io non intesi Che all'utile degli altri. Ove il Britanno 555 Da questa lusinghiera e meno adulta. Speri giorni migliori, io volentieri Dal mio trono discendo, e fo ritorno Alle tacite mura,9 alla mia cara Solitudine antica, ove condussi 500 L'ignota giovinezza., ove, lontana-Dalla superba vanità del mondo. In me stessa trovai la mia grandezza-. Troppo grave è lo scettro alle mie mani. 11 rigor necessario è l'attributo 565 Di chi siede monarca, ed al rigore
Troppo molle è il mio cor. Perchè fui ora Altra cura non ebbi, altro bisogno Che di far dei felici, ho con felice Scettro a lungo regnato. Il primo officio 570 Di severa giustizia or mi si chiede, E mi trovo impossente. Cecilio Eterno Iddio!
L'udir da' labbri tuoi queste non regie Parole e l'ammutirmi, un tradimento Al mio debito fora ed allo Stato !
Alle tacite mura; Elisabetta, per volontà della ree/ina Maria Tudor, elle conoscerà le sue aspirazioni al trono, trascorse in prigione gli anni della giovinezza.