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Maria Stuarda
Tragedia in cinque atti
Federico Schiller
Editore Remo Sandron, 1925, pagine 171

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   MARTA STI- ARDA
   11 popolo unii tu più (li te stessa? .Mostralo! Non eleggere a te sola Cn asilo di pace, abbandonando L'agitato tuo regno alle tempeste. Ti rammenta la, Chiesa ! Ami tu forse Che pei- quest'abborrita un'altra volta L'antica idolatria si ìinnovelli? ( iie n'opprimano i chiostri, e che ritorni Il legato romano a por le sbarre Sui nostri templi? a rovesciarci i troni De' nostri re? Per l'anime di tutti Io ti chieggo, o reina, alta ragione ! La perdita comune e la salvezza Da quest'atto dipende ; e mal qui sorge La pietà fendili le. il sommo ufficio E l'utile comune; e se la vita Talbo t'ha salva, io salverò lo Stato; I] questo è più !
   Elisab. Lasciatemi a me stessa !
   Negli umani intelletti io più non trovo Nè conforto, nè guida. Interrogarne Voglio il senno divino: e se 1' Elenio Degnerà suggerirmi il suo consiglio L'adempirò. - Scostatevi, o signori ! (a Davison) Voi, tenetevi presso! (tatti, partono. Talbo solo si ferma, alcuni momenti in cospetto della regina, guardandola in atto supplichevoli', poi, si, allontana lentamente eoli'espressione d'un profondo dolore)
   SCENA X.
   r
   Elisabetta sola.
   O dura legge, Che sopponi il mio capo a quest'abbietta Tirannia popolar ! Come son io Stanca di lusingarli, idolo vile,