ATTO QUARTO — SCENA III.
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SCENA XI. Elisabetta. Davison .
Elisab. Ove n'andàro
Tutti i miei grandi? Dav. A riconipor le turbe.
Il tumulto finì quando s'offerse Alla veduta dell'insorta plebe Il buon conte di Talbo. « È desso, è desso ! « (Cento voci gridar) quegli che salva «Ila la regina! Udiamolo! 15 l'uom migliore «Di tutta l'Inghilterra)). Allor principio Diede il nobile vecchio alle parole. Dolcemente riprese il violento Procedere del volgo ; e tanto disse E con tanta virtù, che ciascheduno Ritornò mansueto e si ritrasse. Elisab. Plebe incostante, cui raggirai ogn'aura ! Sciagurato colui che s'abbandona, Al tuo fragile appoggio ! — Ora, voi siete Libero di ritraivi. (mentre Davison si volge alla
porta) E questo foglio
Ripigliate, o signore ; a voi lo affido. Dav. (atterrito, dopo aver gettato una sguardo sul foglio )
Ah, regina !... il tuo nome! Hai tu deciso? Elisab. So,scriverlo convenne, ed io lo feci. Un foglio non risolve : un mero nome Non uccide. Dav. Il tuo nome in questo foglio
Risolve! uccide! È fulmine che scoppia, Ed impiaga di morte! Esso comanda Ai regj commissari, allo sceriffo Di movere in istantea Forteringa, Di recarne l'annunzio alla Stuarda, E scemarla del capo al novo sole. Qui non veggo ritardo. Ove di mano