ATTO QUINTO — SCENA I.
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Se credere dovesse al valoroso Giovine il proprio onore e la persona, Attendea la regina il novo albore. Ed ecco nel castello un repentino so Accorrere di genti, e di martelli
Un orrendo picchiar. Noi lo credemmo L'avvicinar dell'aspettato ajuto... Ne sorride la speme; involontario Il desio della vita in cor ne sorge... 55 Si spalanca la porta,... è Pauleto
Coll'annunzio... gran Dio! che il fabro erige —Ne' pavimenti inferiori il palco ! (volge la faccia compresa da violento dolore) Melv. Oh giustizia del ciel ! — Come rimase
La sventurata all' impensato avviso? Anna (dopo una breve pausa, riavendosi) « Non è lento, o Melville, il separarsi
Che facciala dalla vita. Un punto solo È il passaggio dal tempo agli anni eterni. Pure in questo momento Iddio permise Ohe la martire sua con risoluta r,:> Mente obliasse la terrena speme
Per alzarsi con fede alla celeste. Un segno di terrore, una querela Maria non avvilì. Sol come seppe La nequitosa fellonia, di Lester;2, 70 L'acerba, fin del giovine animoso3
< 'he per lei si trafisse ; e sulla, fronte Vide l'ambascia all'infelice vecchio,4 Orbo per lei dell'ultimo conforto, Versò dagli occhi il l'attenuto pianto. La propria, no, ma la miseria, altrui Le sue lagrime espresse !
- Lester : Leicester.
3 del giovine animoso: di Mortimcro. Vedi Atto IV, r. 190 c seguenti.
4 all'infelice vecchio: a Paulet. del quale Mortimcro è
nipote.