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Maria Stuarda
Tragedia in cinque atti
Federico Schiller
Editore Remo Sandron, 1925, pagine 171

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   ATTO QUINTO — SCENA XIII.
   165
   Premere lo Scozzese 25 il suo giaciglio Come un meschino dalle furie invaso. Al mio venir quel misero gittossi Ululando a' miei piedi, e colle braccia 1115 E col petto mi strinse le ginocchia
   Quasi verme contorto entro la polve. Poi con voce di pianto egli m'inchiese Sul destili di Maria ; che nelle stesse Cavità- della Torre era poc'anzi om Giunta novella- della- sua condanna-.
   in udirla affermar dalle mie labbra, E di più, che perla la sventurata A cagion del suo detto, impetuoso Si rizzò dal terreno, e colla immensa 825 Vigoria d'un delirio, al suo compagno S'avventò, lo distese, e per la strozza Affermilo così che noi con pena La vittima togliemmo al suo furore. Allor la- rabbia in sè converse. Il petto 630 Si flagellò con disperate pugna;
   Maledisse al suo capo, e sul compagno Tutti imprecò gii spiriti d'inferno ; E spergiuro si disse, e menzogneri Gli scritti a Babintonno, e che lontane 68? Dalle veraci che Maria dittava Le parole vergò, per lo consiglio Dell'iniquo Nave. Poi si condusse Nell'impeto dell'ira ad un balcone. E dischiuse le imposte, a tutta gola 640 Iva tonando all'accorrente plebe,
   Ch'era un de' servi di Maria, l'infame Che rea la disse di mentite colpe. Una lingua bugiarda, un maledetto. Elisab. Costui, come voi dite, è fuor di senno, 645 Nè la favella- d'un delirio è prova
   25 Lo Scozzese: Curio. Il racconto di Tallo ha un fonda mento storico: anche Maria infatti perdonò Curie e attribù al solo Nau la cagione della sua morte.