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tare queste notizie; e se, da quell'accurato uomo che egli era, non aggiunse altro, se ne deduce che nulla innovò in quell'ordine di cose.
Questo gesuita, dottissimo nelle cose sacre, era abbondantemente perito anche in ogni sorta di scienza. Da lui Giacomo apprese i primi rudimenti fino a tutta l'Umanità, dopo la quale passò ad applicarsi nei corsi di Retorica e Filosofia sotto la disciplina d'altro sacerdote. Era desso Don Sebastiano Sanchini, da Sa-ludeccio, in quel di Pesaro, ohe, avendo fatto già scuola al conte Francesco Cassi, cugino di Monaldo, fu prescelto e invitato in casa, dove, come l'altro, rimase fino alla morte.
Del Sanchini ci rimane la lettera latina, in data — ottobre 1810 — da Mondaino, ai nobili allievi, ai quali annunziava il suo prossimo ritorno (Piergili, Lett. pag. XXII). Veramente non era un fatto straordinario cotesto d'un maestro, che corrispondeva in latino con alunni di soli due lustri; perch'essi, dai 7 ai 10 anni, avevano studiato per circa 7 ore al giorno nelle stanze del precettore, che abitava nel loro palazzo.
Questi primi maestri seppero tanto innamorar Giacomo dello studio, che da quelle abitudini di vita Ei non si distrasse più; anzi dai rapidi progressi, che la bella sua mente vi fece, sentissi incoraggiato a proseguire, illudendosi, che — colla perdita di tutti gli altri piaceri, di tutti gli altri beni della fanciullezza, avrebbe acquistato un bene che da nessuna forza, da nessuna sventura gli sarebbe stato mai tolto (Prefazione ai Canti, Firenze, 1831). Invece questi cari studi non gli avrebbero nemmeno sostentata la vita!
Fra le esercitazioni di quest'anno (1810), sono notevoli i versi da Lui dedicati al padre, cui scriveva (I, 15) che, se prima compiva i suoi libercoli in un mese, ora, per condurli a termine, oragli d'uopo
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