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Verso la fine di questo dolorosissimo 1817, sentendosi un poco meno male, s'andava rimettendo a studiare. S'era proposto di perfezionarsi con un annetto di studi classici. Passava la mattina coi greci, il dopo pranzo coi latini e la sera cogl'italiani, per prepararsi ad una pubblicazione, che avrebbe fatto parlare di Lui
(I, HI)-
Riprese V Eneide-, e, tòltane tutta quanta la sten-tatissima Prefazione, corresse e mutò infiniti luoghi. Ciò non ostante, in questo lavoro, per voler tradurre alla lettera, e restringere le idee, perchè motto per motto si facessero corrispondenza, lo spirito poetico di Virgilio ne rimase soffocato. E siccome nello studio progrediva, acquistando sempre più buon gusto; quindi non è a farsi meraviglia se, poco dopo averlo stampato, alla fine del 1817, rifiutò questo lavoro.
Il commercio letterario era allora tardissimo. Ma a Recanati poi era nullo. Ed Egli s'indispettiva di essere creduto e trattato da molti come un vero fanciullo. Se s'arrischiava di confortare chicchessia a comperare un libro, o gli rispondevano con una risata, o metten-doglisi sul serio, gli dicevano che non era più quel tempo. E perciò soffriva di non poter alzar la voce e gridare: Eazza d'asini! „ (I, 113).
Nella solitudine però confortavasi che presto avrebbe abbracciato il suo Giordani. Solo di quando in quando lo vinceva la melanconia; e allora diveniva irascibile anche per gli scherzi infantili del suo fratellino Pietro di 4 anni.
Alla fine di dicembre, circa la solenne traduzione progettata, diceva: Nondum matura res est (I, 118). Poi cominciò a pensare che, per ben tradurre, bisogna prima aver appreso a ben comporre; e rimandò la cosa a miglior tempo. Dopo Natale, la Lazzari tornò a Re-