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Egli, fin qui, aveva atteso a opere di erudizione e a volgarizzamenti ; come la Storia dell' Astronomia, Porfirio, Vita di Plotino e di Esichio Milesio ; il Commentario del Porfirio; una Collezione di frammenti di cinquanta Padri greci e della decadenza; e tutto questo dal 1811 al 1814. Nel 1815, avea composto il Saggio sopra gli errori popolari ; quindi nuovamente un Commentario, quello dei Cesti di Giulio Africano, fatto seguire dai Discorsi su Mosco e su la Batrachioma-chia.
Nel 1816, il saggio di traduzione dell'Odissea; lo Notizie storiche ecc. di Dannata; Della fama ecc. di Orazio; il Discorso sul Frontone del Mai. Nel 1817, l'Inno a Nettuno; le Odae Adespotae; le traduzioni della Torta, della Titanomachia di Esiodo, del libro 2° dell' Eneide ; i Sonetti in persona di ser Pecora fiorentino, beccaio; e infine la traduzione con note e la Lettera al Giordani sul Dionigi del Mai.
Cominciata la sua conversione letteraria, avea lasciato gli studi filologici e storici sugli antichi, per quello dei cinquecentisti italiani, e poi dei trecentisti in prosa; e, quanto ai poeti, per lo studio di Dante e del Petrarca.
Allora avea conosciuto il Giordani, e da lui era stato confortato a proseguire questi studi.
Questo letterato apparteneva a quello sciame di valentuomini, che, al principio di questo secolo, si erano prefissi di far tornare la lingua alla semplicità del trecento. Il Leopardi, sospinto su questa via, quantunque portato da' nuovi studi a condannare tutto il frutto di que' suoi primi faticosissimi; pure non potè impedire che in Lui rimanesse, quale substrato, la profonda conoscenza del mondo greco e romano.
Preparatosi così alle Belle Lettere italiane, s'era trovato, senz'accorgersi, di fronte a quel Petrarca, il