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progresso e l'avvento delle altre, contro la legge di evoluzione. Gli è che il Leopardi mostrò d'ignorare, che Roma non è morta; ch'Essa vive nella sua Storia e nella sua civiltà che s'intreccia a quella attuale; che la sua potenza fu abbattuta, ma vive lo spirito romano ne' suoi scrittori e colle sue leggi.
Partito dal falso concetto che, spenta Roma, s'è fatto buio nel mondo, non rimane al poeta che additare gli esempi della Grecia antica. E preso il frammento dell'inno di Simonide, volle fare come il Cou-vier fece per il regno animale, cioè, da un brano ricostruire l'intiero. Ma si perdette in un lavoro artifi-zioso.
Infine balenò all'Autore un'ispirazione felice, quella dei nostri giovani morti in contrade straniere per la gloria di Napoleone, di cui era recente e vivo il ricordo. Ma rimase un pensiero affogato sotto le memorie di Roma e di Grecia (MoNTEFREDiNi,pag. 392-403). Natura gli aveva dato ingegno grande e cuore magnanimo, e gli uomini gli avevano falsato lo stile e l'indirizzo.
La seconda canzone è meno retorica della prima. In essa l'A. lascia in disparte i Romani e i Greci, per esaltare di nuovo gli Italiani morti al servigio di Napoleone, siccome quelli, che con dolce inganno il Poeta immagina entusiasti patrioti, portanti da per tutto in cuore il nome sacro della Patria, adorata da Lui classicamente.
Nell'uno e nell'altro componimento, l'A. si mostra già maturo quanto a pratica di lingua e di verso, di intreccio di rime, di armonia, di facilità; però, notò il De Sanctis, gli manca la chiara percezione di un mondo, generato dal seno delle sue meditazioni.
4. — Ma con un cuore nato al bisogno di amare; con la certezza di non poter essere mai corrisposto da