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I primi bolognesi che scrissero versi italiani
Memorie storico-letterarie e saggi poetici
Salvatore Muzzi
Tipografia di Giulio Speirani e figli, 1863, pagine 51
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tempi, senza rovistarla negli archivi delle città, e trarla fuori dalle ordinanze e dalle provisioni de'Municipi. Per ciò adunque che riguarda i nove poeti di Bologna, che dettarono versi italiani negli esordi della lingua nostra, ho qui raccolto con pazientissima diligenza quanto ne concerne la vita e gli scritti, affiuchè non durino questa fatica coloro che avessero vaghezza di dettare una storia ben compiuta e bene ordinata dell'italiana letteratura.
E detto comunemente che i Bolognesi, i quali scrissero da principio il bel volgare, adoperarono una migliore favella di quella usata dai Siciliani e dai Romagnoli, che li precedettero. Vuoisi però primamente avvisare che questa sentenza non è di Dante, siccome alcuni vanno predicando, ma ch'egli narra d'averla udita da altri: e solamente aggiunge che quella forse non era mala opinione. Ma poi da quella dubbiezza a un tratto si discioglie, e conchiude che il parlar comune de' Bolognesi non era illustre, e che i grandi dottori e gli uomini di piena intelligenza nelle cose volgari usavano parole al tutto diverse da quelle del minuto popolo bolognese. Da queste frasi è manifesto che il linguaggio de' Bolognesi nei giorni di Dante era in sì grande pregio non per le mozze parole delle fantesche e de' servi, ma per quelle che s'adoperavano in quel concilio nobilissimo d'Italiani maestri, che detto era Università. A questa convenivano ben diecimila discepoli, che da que' sapienti apprendevano non pur le scienze ma le più elette e sincere voci, e sparsi quindi per la città fra i cavalieri e le gentildonne, vi diffondevano un bel costume di polita favella; onde per opera di costoro nel principio del trecento Bologna fra le città d'Italia teneva quel luogo, che nel dugento occupato aveano Palermo e Napoli per le corti leggiadre di Manfredi e di Federigo. Ed ecco mauifesta la verità di quel dettato di Dante, col quale asserisce che il parlar gentile sempre siede