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I primi bolognesi che scrissero versi italiani
Memorie storico-letterarie e saggi poetici
Salvatore Muzzi
Tipografia di Giulio Speirani e figli, 1863, pagine 51

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a cura di Federico Adamoli

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   che Fabruzzo entrasse di quel novero. Né oltre a questo tempo si trova più memoria della sua vila ma sólo delle opere sue: delle quali riportiamo qui un sonetto, tratto dalla raccolta di Rime antiche pubblicate già da Leone Allacci, il quale in-siem con altri (siccome abbiam detto) cadde nell'errore di ritener perugino il bolognese Lambertazzi.
   Uomo non prese ancor sì saggiamente Nessun affar, se talor gli addivenne Che l'usanza che corre in fra la gente Il tenga folle, poi che mal sostenne.
   Mentre colui che adopra follemente Beato andrà, se per ventura avvenne Che tornasse a buon fin quant'ebbe in mente, Onde poi d'uomo saggio in voce venne.
   Questa nel cieco mondo è grande erranza Che fortuna fa il folle parer saggio, E ciascuno che piace al suo volere.
   E non guarda ragion, non misuranza, Anzi fa bene, a cui dovrìa dannaggio, E male a quei che ben dovrebbe avere.
   Questo Sonetto, dettato con passione, allude senza dubbio all'impresa de' Ghibellini d'Italia, che nello scorcio del secolo XIII. avversando*-il prepotente indirizzo de' Guelfi, che tutto toglieva alla nazione per dar tutto ai Pontefici, tentarono una riscossa, nel concetto di farsi forti; se non anzi d'unificar la Penisola, all'ombra del vessillo d'Impero. Ma toccata la peggio ad essi Ghibellini, e nelle Romagne, e in Lombardia ed in
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