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Storia Letteraria d'Italia
I primi due secoli
Adolfo Bartoli
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 552

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO vwmo.
   ORIGINI DELLA LINGUA ITALIANA
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   Quando Roma mandava le sue legioni a conquistare l'Italia, la Spagna e la Gallia, essa non avrebbe certo pensato che quelle armi portavano con sè qualche cosa che avrebbe sopravvissuto a lei stessa, ricongiungendola anche dal suo sepolcro alle più lontane generazioni. E quando i popoli di quelle terre combattevano per la loro indipendenza, chi avrebbe detto ad essi : i vostri più tardi figliuoli parleranno quella lingua medesima che ora vi suona barbara e detestata sulle labbra dei vostri nemici? I furori delle guerre e delle conquiste passeranno; passerà la potenza e la grandezza di questo popolo che viene oggi a soggiogarvi; voi vedrete vinte, incatenate, umiliate le superbe aquile romane ; quel nome che fu terrore del mondo, sarà cancellato, e pure il suggello della conquista rimarrà indelebile sopra di voi, rimarrà sul labbro di cento generazioni che usciranno da voi, e che si glorieranno di essere eredi della favella e dello spirito latino % Così fu. L'antica civiltà della Magna Grecia e dell' Etruria, la forte Gallia e la Spagna si romanizzarono, non solo nelle idee e nelle leggi, ma anche nella lingua, la quale, non imposta già dalla forza, ma accolta anzi spontaneamente, divenne come cosa propria di quei popoli, che andarono a poco a poco dimenticando o spregiando la favella loro nativa, per amore della nuova che veniva da Roma, madre e signora del mondo (1). Lenta, graduale, difficile, ebbe ad essere da principio la sostituzione del latino agli idiomi indigeni; e se pure mancassero i fatti a provarlo, sarebbe agevole intendere che alcuni di quegli idiomi più degli altri doverono resistere, che alcuni anzi non si lasciarono o per lungo tempo o mai sradicare affatto dal suolo dove eran nati, dove li aveano alimentati e cresciuti il tempo, le tradizioni, la civiltà. L'Etruria, per esempio, che fu già «principe della gentilezza italiana », non ebbe a cedere il campo senza contrasti al fortunato nemico, al quale essa aveva date le prime pompe della maestà ed insegnate le arti del lusso. Così gli Iberi, gli Aquitani, i Galli, i Celti, chi più lungamente chi meno, conservarono i loro dialetti finché fu possibile ; finché l'onda sempre crescente, che dalla grande Città si allargava tempestosa, non ebbe tutto sommerso, città e campagne, piani e monti, palazzi e tugurii. L'esempio di Cuma resta unico, per ora, nella storia; e noi vorremmo poterlo creder non vero! Le condizioni però di questa
   (1) « I popoli Italici divengono tutti legalmente bilingui, scrive il signor Galvani, e nei due idiomi che usano, ossiano il vario vernacolo ed il comune Romano, al primo accordano una vita passiva che il tempo farà sempre più bassa, al secondo una vita attiva ch'esso tempo potrà rendere connaturale. Rimane così il primo, municipale proprietà ed eccezionalità non più ambita, ma spesso voluta nascondere : vive e vivrà invece il secondo negli scritti, nella celebrità dei fóri e tra le bocche di tutti i gentili... Il dire Romano, meglio che imposto agli Italici, creduto conquistato dai medesimi, si usa oggimai da loro come propria 'cosa. Belle genti e delle favelle loro in Italia, 215.
   bartoli. Letteratura Italiana. 1