capitolo primo. — condizioni del pensiero italiano, ecc. 3
Nei principati queste tendenze antiteocraticlie si trasformavano in lotte aperte coll'autorità ecclesiastica e in negazioni recise d' ogni sua ingerenza. I Visconti, i signori più potenti d'Italia, attaccati nel 1317 da Papa Giovanni XXII durano per quasi un secolo in lotta coi Pontefici. Da Matteo I.° a Gian Galeazzo, essi rispondono agli interdetti ed alle scomuniche papali, vendicandosene sul clero dei loro stati, raddoppiando le imposte straordinarie sui loro beni, e spendendole nelle continue loro guerre di conquista. Ego sum papa et imperalor et dominus in omnibus terris meis, diceva Barnabò Visconti, e un giorno che i legati del Papa gli recavano una bolla di scomunica, incontratili a mezzo il ponte sul Lambro, « o mangiare o bere » — disse loro, — ed i Legati dovettero ingoiare la bolla.
La chiesa stessa provò ne' propri stati gli effetti di questo moto d'indipendenza della società laica. Mentre i Pontefici dimoravano in Avignone, le città ad essa soggette nelle Romagne, nella Marca e nell'Umbria, si ribellarono favorendo il sorgere delle signorie dei Malatesta a Rimini, Pesaro e Fano, dei Montefeltro nella Marca ed in Urbino, dei Varano a Camerino, dei Polenta a Ravenna, degli Orde-laffi in Forli e Cesena, dei Manfredi in Faenza, degli Alidosi in Imola; delle terre della Chiesa poche ne rimasero senza principe.
Roma, commossa dalle splendide reminiscenze della sua antichità vivificate dalla fantasia di Cola da Rienzo, si ribella ai vicari pontifici e instaura quell' effimera repubblica classica, che destò tuttavia un grido di gioia in tutta Italia, come se quel buono stato avesse in sè qualche cosa di sommamente affine al carattere nazionale ed alle attuali aspirazioni degli italiani.
La chiesa fece ogni sforzo per ristabilire la propria sovranità temporale in Italia. Il cardinale Egidio d'Albornoz spedito da Avignone a capo di mercenari stranieri, sperperando e depredando città e castella in breve riassoggettò gli stati della chiesa all'ubbidienza del Pontefice. Al suo arrivo in Italia, egli non aveva trovato fedeli al Papa che i due castelli Montefiascone e di Montefalco, ma quando Urbano V fu per qualche tempo in Roma (1367), tutte le città della Romagna, della Marca e dell'Umbria ubbidivano alla S. Sede.
Poco dopo scoppiò di nuovo una violenta ribellione contro la Chiesa. Essa da Avignone governava i suoi Stati in Italia per mezzo di Legati, che « attendevano a divorare le rendite della camera pontificia, e tutti a cavar denaro per ogni verso, nò giustizia era fatta da loro » (1). Le memorie del tempo sono piene dell'indignazione sollevata dal governo di costoro; una occasione qualunque poteva farla scoppiare in aperta ribellione rivolta.
E 1' occasione non si fece aspettare. Nel 1375, Guglielmo di Noellet, cardinale legato di Bologna ad un tratto distolse dall'Alta Italia le truppe di Giovanni Acuto, militanti al soldo della chiesa nella guerra che la lega guelfa moveva a Barnabò Visconti, rivolgendole verso la Toscana allo scopo di occupar Prato e forse d'impadronirsi di tutto il territorio della repubblica fiorentina.
I fiorentini improvvisamente assaliti trattengono con danari l'armi dell'Acuto (2), si staccano dalla lega guelfa, si uniscono a Barnabò Visconti ed a tutte le città nemiche della Chiesa, e sebbene l'impresa fosse subito abbandonata dal Legato, essi dal canto proprio continuano la guerra creando otto cittadini che l'amministrassero con autorità di potere operare senza appello e spendere senza rendere conto (3). Intanto le città della Chiesa istigate, protette dai fiorentini, insorgono. In pochi giorni ottanta fra città, castella e fortezze si sottraggono al suo dominio. I Perugini s'impadroniscono delle fortezze della loro città ; Antonio conte di Montefeltro s'impadronisce di Urbino e eli Cagli; Rinaldino di Monteverde si fa signore di Fermo; Forli caccia i satelliti del Papa ed acclama signore Sinibaldo di Francesco Ordelaffi ; Cesena,
(1) Muratori. Annali 1375.
(2) Gli pagarono, dicesi, centotrentamila fiorini, gravandone i chierici di settantacinquemila.
(3) Machiavelli. Sior. fior. lib. III.