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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   il risorgimento.
   Ad Urbano VI, eletto fra il tumulto della plebe che gridava « lo voleino romano » i cardinali francesi opposero Roberto di Ginevra che sotto il nome di Clemente VII trasferì la propria Sede in Avignone. L'unità morale e materiale del Papato fu così rotta nel suo capo supremo. Papi ed antipapi si successero contemporaneamente in Roma ed in Avignone, lanciandosi a vicenda accusa di intrusi e di simoniaci, gli uni rivelando al mondo la corruzione degli altri, tutti alternando le benedizioni alle scomuniche.
   Nel 1409 il Concilio adunato in Pisa onde metter fine allo scisma, non che riuscire in questo intento, aumenta il disordine. Benedetto XIII di Avignone e Gregorio XII di Roma, alla loro volta l'uno a Ravenna e l'altro a Perpignano, raccolgono altri due Concili, intanto che quello di Pisa, deposti i due Papi contendenti, elegge a pontefice Piero di Candìa col nome di Alessandro V. Così sul principio del secolo XV, noi vediamo la suprema autorità ecclesiastica offrire alla Cristianità lo spettacolo di tre papi e tre concilii contemporanei, e non poter trovare ili se stessa mezzo alcuno per far cessare il disordine che la sconvolge.
   I fatti cui abbiamo accennato erano le manifestazioni esteriori di una lotta che si agitava nelle arcane profondità del pensiero e della coscienza.
   Uno spirito avverso alla teocrazia presiedeva alla formazione delle teorie politiche, il pensiero vagheggiava un'ideale nuovo di ordinamento politico-religioso, e gli uomini che prendevano una parte attiva alla vita pubblica cercavano di ridurlo a teorie rigorose.
   Nel seno stesso del partito guelfo, e' erano uomini superiori appartenenti a varie parti d'Italia, che propugnavano principi politici contrari alla dominazione assoluta della Chiesa. Appoggiandosi alle tradizioni classiche dell' impero romano, che allora rivivevano col rivivere della coltura latina, essi facevano l'Italia centro di una monarchia universale, cui era dalla Provvidenza affidata la suprema potestà temporale del mondo. Dante, esule da Firenze e ramingo per le terre italiane, fu l'ispiratore possente di questi principi, e il libro De monarchia fu il programma del nuovo ordinamento politico e religioso della terra. Come ognun sa, in quel libro famoso, l'Alighieri separa teoricamente la Chiesa dallo stato, dando all'una il governo spirituale delle società umane, ma riserbando all' altro ogni autorità su ciò che spetta al governo temporale di esse. Nel tempo stesso l'Italia, sottratta a Roma ecl ai successori di Federigo Barbarossa, nel pensiero del gran poeta, doveva diventare il centro di quelle due supreme autorità.
   Una forza irresistibile dissolveva la sintesi scientifica del Medio Evo; la fede già da molto tempo non era più sola ad imporre le proprie soluzioni ai problemi dell'origine delle cose e dei destini dell'umanità; l'ardore svegliato ai tempi del Petrarca e del Boccaccio per la letteratura classica spingeva gli ingegni a cercarne di nuove nei venerati volumi dell'antichità.
   Il Petrarca, iniziato dal Barlaam alla letteratura greca, s'era ispirato allo idee di Platone, aveva sparso le sue opere di massime tolte agli antichi scrittori greci e latini, opponendo la sapienza dell'antichità al vano e pomposo formalismo della scolastica. Ancli'egli però, il grande entusiasta degli antichi, ben sentiva quanto di pernicioso per la fede cattolica si celasse in quel rapido risorgere del classicismo. Senza quasi accorgersene la sua mente smarrisce il principio unificatore del Medio Evo, e si direbbe che la luce repentina levatasi dal mondo antico gli riveli le venture rivoluzioni del pensiero, poiché già scrive: « Sentio rediit ab inferis Ju-lianus, eoque funestior, quod noviim nomen asswnpsit, animumque servai anti-quum et hosiile propositum amicitiae velo tegit... et nisi se Christus iterum vindicat aduni est. »
   Ad ogni modo le idee platoniche si diffusero specialmente nell'Italia centrale e meridionale, mentre nel Settentrione di essa un antico avversario del Cristianesimo, Averroe, guadagnava le menti degli uomini colti. Già penetrato in Italia cogli Arabi della corte di Federigo II, l'Averroismo si sparse maggiormente dopo che maestro Urbano da Bologna ebbe scritto un commento su Averroe che invogliò a conoscere il testo (1334).