capitolo primo. — condizioni del pensiero italiano, ecc. 13
gno politico ondo affermarla ed accrescerla, sacrificando a questo fine i diritti dell' uomo, la fede, la pietà. — Incarnando in sè stessa lo Stato, essa si eleva come legge inesorabile al di sopra di tutte le classi sociali, sorveglia costantemente le forze da cui poteva temere una qualche resistenza, circonda il popolo ed il doge di spie, di delatori, degli agenti tutti di una tremenda polizia, e giunge a destare in quelli stessi cui toglieva ogni diritto, il sentimento della sua necessità e della ubbidienza dovutale, stringendo in un solo e grande interesse patrizii e plebei. Per mezzo poi degli ambasciatori eh' essa spande per tutta Europa, penetra nelle corti dei principi, ue scruta gli affetti ed i pensieri, vigila ogni movimento politico e religioso che agita l'Europa, e lo volge a vantaggio della Repubblica.
Questa potenza politica era sostenuta dalle forze del commercio, dall'agiatezza e dalla coltura largamente sparse nello Stato. Venezia padrona di Candia e delle Isole Jonie, signora dell'Adriatico, faceva un commercio attivissimo coi paesi greci e saraceni di Levante; nessun stato della Cristianità manteneva così frequenti relazioni coi Maomettani. Mentre Genova, la sua tremenda rivale, padrona delle colonie di Pera e Caffa, teneva le chiavi del mar Nero, Venezia dirigeva le sue navi verso Acri ed Alessandria. — Il popolo, escluso dal governo, ma lanciato sulle vie del commercio, vi arricchì, vi trovò tutti gli agi, tutte le ricercatezze che fanno lieta la vita materiale. Coli'agiatezza Venezia vide diffondersi tra'suoi cittadini ogni maniera di coltura, sorgere i suoi grandi monumenti, e da ogni parte accorrere sulla laguna imperatori, principi, artisti, poeti, chiamativi dall'importanza politica e commerciale, dalla vita ridente e geniale.
Come tutte le tendenze cedono d'innanzi a questa potente aristocrazia! come ogni cosa si atteggia a seconda di questa volontà! A cominciare del secolo XIV, si formò quello che fu chiamato lo spirito del governo veneto; il quale, trasfuso in tutte le sue leggi, in tutti i suoi atti, in tutti i suoi cittadini, fece sì che per molti secoli Venezia potè resistere alle insidie della diplomazia ed alla forza delle armi.
Genova intanto, dopo la rivoluzione del 1339 che aveva creato il primo Doge o Signore con Simone Boccanegra, era travagliata internamente dalle rivalità degli Adorno e dei Fregoso, partiti succeduti a quelli antichi dei Doria e dei Fieschi.
I Genovesi, nel Medio Evo, contendevano con Venezia l'impero dei mari. Stabiliti sul territorio che costituiva l'antica Liguriapadroni della Corsica, nel 1261, quando Costantinopoli fu ripresa dai Greci — essi che avevano ajutato l'imperatore Paleologo a cacciare i Latini, ricevutone in ricompensa i due sobborghi di Pera e Galata, vi stabilirono un governo proprio ed un commercio a loro esclusivamente riserbato.
Di qui lottarono sovente cogli imperatori greci, ed ebbero agio di estendere il commercio nel mar Nero, fondandovi l'importante colonia di Caffa nella penisola di Crimea.
Le navi genovesi e venete s'incontrarono poi sui mari, e le gelosie commerciali delle due repubbliche scoppiarono in molte e fiere battaglie nel Levante. Ma nell'epoca in cui siamo colla nostra esposizione, una nuova guerra si combattè sul mare italiano fra le due rivali (1378—1381).
Noi non condurremo il lettore attraverso le note vicende della guerra di Chioggia; allo scopo nostro basti l'averla accennata. Le due repubbliche uscirono egualmente stanche dalla pace conchiusa in Torino (1381) per mediazione di Amedeo VI dì Savoja; ma Venezia incamminavasi incontro a nuove epoche di glorie, mentre cominciavano per Genova i giorni della decadenza.
Le lotte degli Adorno e dei Fregoso sconvolsero per molti anni la repubblica genovese; le vittorie e le sconfitte delle due fazioni a vicenda cacciarono e vi ricondussero il doge; dal 1390 al 1394 esso fu per dieci volte cangiato. Intanto le navi di Genova cessarono di dominare l'Oceano, ed il suo commercio declinò rapidamente. Finalmente il doge Antoniotto Adorno, posto fra i torbidi interni delle fazioni e le mire conquistatrici di Gian Galeazzo Visconti, cedette la signoria della Repubblica