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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   38 IL RISORGIMENTO.
   Nè al difetto d'ispirazione suppliscono le amplificazioni verbose e gli artifici rettorici di che è pieno il Quadriregio : tutto ciò riesce tanto noioso quanto le spiegazioni meteorologiche e geologiche d'Amore e delle Ninfe, o i sermoni di Minerva sui vizii, sulle virtù e sulle loro specie rispettive.
   Nel Quadriregio in luogo del Poeta troviamo l'imitatore e l'erudito. Incapace a creare nuove forme, il teologo di Foligno le toglie a prestito dalla Divina Commedia, dai poeti latini e dall'antica mitologia; imagini, versi, frasi, parole, tutto egli prende da Dante, e tutto in sua mano impallidisce e muore. — Tuoi descrivere l'età dell 'oro? (1) ed ecco che Virgilio, Ovidio, Tibullo gliene forniscono le imagini ed i colori. Vuol presentarci Venere, Cupido, Minerva, le Ninfe, i Fauni, i Satiri? Ed ecco che questi numi e miti antichi sono meccanicamente riprodotti dai poeti greci e latini, contrastando col fondo essenzialmente cristiano del poema. Si dirà: questa era allora una tendenza comune ai poeti, e Dante ne aveva offerto egli stesso l'esempio. Sì. ma i miti antichi accolti nella Divina Commedia vi stanno come parti di un mondo che abbraccia l'umanità intera, e sono rivivificati dallo spirito che pervade l'universo Dantesco; nel Frezzi nvece sono cosa morta, forme di un mondo poetico spento, fuori dell'anima del poeta, riprodotte talora con erudita diligenza dai grandi poemi dell'antichità.
   Nel Quadriregio incontriamo personaggi contemporanei del Frezzi, appunto come nella Divina Commedia. Ma con questa differenza, che nella Divina Commedia sorgono d'innanzi a noi vivi ed operanti colle loro passioni e colle loro virtù; mentre nel Quadriregio non facciamo che contemplarli; essi ci passano d'innanzi come figure sui vetri d'una lanterna magica. (2) In luogo di presentarci i vtzii e le passioni operanti in un individuo, e farci così cogliere il generale nel particolare, il Frezzi astrae la virtù od il vizio, e vi ragiona su da teologo e moralista.
   Ma non c'è poesia se non quando il pensiero armonicamente si contempera e si fonde in una forma sensibile. Sotto l'arcano impulso delle ispirazioni, il poeta vede il proprio concetto incarnato in una imagine, in un individuo, in un'azione, nella vita della natura ; quei fantasmi s'agitano dentro di lui, lo commovono in un modo determinato, ed egli trasfonde in altri e perpetua la sua commozione estrinsecandola in una forma. Queste creazioni o fissano un momento della vita dell' umanità, o durano lontane quanto il cuore dell'uomo.
   Che cosa ha creato il Frezzi? dov'è la poesia nel Quadriregio? Noi ve la cerchiamo invano. Si trovano qua e là alcune bellezze di stile, alcuni versi abilmente fatti ; ma in tutto ciò si rivela lo studio e l'artificio tecnico del verseggiatore, non l'ispirazione del poeta. (3) I versi, diceva Voltaire, per essere eccellenti, debbono riunire suono, titolo e peso, come le monete. Chi ricorda situazioni o personaggi del Quadriregio? Pallidi fantasmi, essi ci passarono innanzi senza scuotere l'anima nostra nè lasciarvi orme durevoli. Questo poema nulla aggiunge alla storia dell'arte, ed è monumento d'una grande poesia che decade.
   Quelle grandi concezioni accoglienti nel loro giro l'umanità presente e passata, il suo stato mondano ed ultramondano, composizioni riflesse aventi per base un' opera spontanea della fede, che vivificate dall'arte, s'erano fissate nella Divina Commedia od avevano istoriato le pareti dei chiostri e dei cimiteri — quelle grandi concezioni erano scomparse. Il mondo e la vita apparivano al pensiero sotto un aspetto più umano e conforme alla realtà: il sovranaturale gli si dileguava d innanzi in un colle forme in cui era vissuto durante il Medio Evo. Cessò allora la fede nelle antiche idee religiose, morali e politiche; l'unità del Medio Evo si sciolse, e nell'anima si fece un vuoto immenso.
   (1) Vedi (Cap. II, Lib. II) i versi dove Minerva descrive il suo regno, versi che abbiamo riferiti più sopra.
   (2) Cap. II, Lib. 11.
   (3) Vedi ad esempio il canto XIII. Lib. II da noi riferito più su, dove il poeta trova la Fortuna che aggira sulle sue ruote diversi contemporanei del poeta stesso