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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO PRIMO. — CONDIZIONI DEL PENSIERO ITALIANO, ECC. 39
   Intanto l'erudizione risuscitava l'antichità; le menti sorprese ne ammirarono la grandezza, e senza discernere ne accolsero le opinioni scientifiche e le forme dell'arte. La poesia che trasformava il pensiero astratto in un mondo concreto e vivente scomparve per far luogo all'imitazione ed all'erudizione.
   Per gli eruditi ed imitatori come il Frezzi la poesia 11011 fu più V espressione patetica e spontanea della vita, quale si presentava ai loro sensi ed alla loro imaginazione, e s'agitava nel fondo della loro anima ; ma un'opera tutta riflessiva e convenzionale. Essi poetavano, non secondo l'accento del cuore, ma secondo un certo modello che avevano sempre d'innanzi ; vestivano i loro concetti astratti con certe forme di convenzione, tolte da Dante e dagli antichi poeti latini, accozzando insieme idee e miti dell'antichità con fantasmi e credenze del Medio Evo.
   Federigo Frezzi ha tutti i difetti del suo tempo. Nel suo poema, scolorita imitazione di un modello inimitabile, disarmonico insieme di elementi diversi e contrarli, si riflette un'epoca di decadenza della poesia italiana.
   Mentre il Frezzi nel Quadriregio proponevasi d'imitare la Divina Commedia, una folla di verseggiatori camminava sull' orme segnate dal Petrarca, copiando o rimaneggiando il Canzoniere. Senza affetti veri e profondi, senza inspirazione propria, essi vestivano concetti e sentimenti convenzionali di forme convenzionali, imponendosi l'affetto, l'entusiasmo, la tenerezza, la malinconia, l'impeto della passione, a qual modo stesso che si imponevano le imagini, i versi, le parole del modello petrarchesco : la loro lingua, talora ti ricorda la spontaneità e freschezza del trecento, tal altra ti fa sentire il grossolano ed il barbaro di certe forme, conseguenze del latinismo invadente e del dispregio in che tenevasi dai dotti il volgare italiano.
   I limiti imposti a questo lavoro non ci consentono che questi rapidi cenni. Le rime di questi petrarchisti del quattordicesimo secolo si possono leggere in molte raccolte (1). Se la poesia consistesse nelle amplificazioni, nella rettorica, nelle frasi, nei versi senza sentimento ed ispirazione, alcuni di questi rimatori dovremmo chiamarli poeti, e specialmente dovremmo dir poeta Buonaccorso da Montemagno, un giureconsulto e cavaliere fiorito in Pistoja verso la metà del secolo XIV, artefice non volgare di versi, e che si eleva molto al di sopra della turba de' suoi contemporanei imitatori del Petrarca. (2) Ma gli ornamenti rettorici ed i versi sonori non costituiscono la poesia, e Buonaccorso da Montemagno, al pari degli altri verseggiatori della sua scuola, cela con essi la mancanza d'ispirazione e il vuoto dell'anima.
   Ma se da questi eruditi imitatori di Dante e di Petrarca non si leva scintilla di poesia, non dobbiamo però credere che lo schietto sentimento dell'arte fosse cessato affatto in Italia. Non tutti erano obliati nell'erudizione, nè tutti vuoti di quelle idee e passioni che avevano scaldato la fantasia dei poeti trascorsi. — V' erano di quplli, che non conoscendo o dimenticando i latini, i greci, e talvolta il Petrarca stesso, si abbandonavano ai loro affetti e sentimenti, rappresentandoli in forme ancora piene di poesia e di verità: tra questi è Franco Sacchetti.
   Franco Sacchetti nacque in Firenze tra il 1330 e il 1335.
   La famiglia dalla quale egli usciva era molto antica, ed aveva per lo addietro sostenuto cariche di molta importanza nella repubblica. — Come ogni cittadino di qualche conto in quel gran centro di coltura eh' era allora Firenze, il Sacchetti fu avviato agli studii filosofici e letterarii.
   Giovanissimo ancora scrisse dei versi che gli valsero fama di elegante poeta tra' suoi concittadini : amava molto la musica e, com' era allora costume, sovente egli stesso accompagnava col canto le proprie ballate. Più tardi la mercatura e la po-
   ti) Vedi fra l'altre « Rime di M. Cino da Pitsoja e di altri del secolo XIV ordinate da G. Carducci. Firenze, Barbérà, 1862. »
   (2) Questo Buonaccorso da Montemagno si deve distinguere da un suo nipote dello stesso nome, vissuto nel secolo XV e di cui terremo parola a suo luogo.