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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

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a cura di Federico Adamoli

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   IL RISORGIMENTO.
   risiici, come Dolcibene e Gonnella. — In quasi tutti il Sacchetti con un tocco rapido » adombra un lato morale, politico o religioso della società tra cui vive, e spesse volte dopo aver riso e fatto ridere il lettore su quanto ha narrato, termina con osservazioni che rivelano la rettitudine dell'animo suo e la penetrazione della sua mente.
   Certo è che moltissime delle burle e delle arguzie del Novelliere fiorentino mancano di finezza, di leggiadria, di urbanità; il fondo talora scipito affatto, tal altro grossolanamente licenzioso di talune novelle, ne rende la lettura assai stucchevole. Ad onta però di questo difetto non è men vero che in esse possiamo sorprendere, per dir così, in atto la vita di Firenze e dell'Italia all'epoca del Sacchetti; ò questo un libro che contiene molti degli elementi necessarii per ricostruire l'ideale d'una vita spenta da quasi cinque secoli.
   Il valore artistico delle Novelle del Sacchetti consiste tutto nella vera e schietta rappresentazione della realtà. Qui noi troviamo degli uomini viventi, degli affetti e delle passioni che si manifestano in una varietà grande di azioni. I personaggi del Sacchetti parlano ed operano come parlavano ed operavano i suoi contemporanei nelle corti dei principi, nei conventi, tra le pareti domestiche, sulle pubbliche piazze. Il poeta riepiloga in brevi racconti la vita del suo tempo; poco inventa, moltissimo descrive, raramente addolcisce una linea o carica una tinta. Egli s'aggira fra gli uomini, li adocchia, sorprende un carattere, una passione, un vizio, una virtù vivente in un individuo e la ritrae qual è. E £a tutto questo colle forme ingenue, vivaci, energiche, pittoresche della lingua del popolo.
   Nel Proemio alle sue Novelle il Sacchetti dice che riguardando allo eccellente poeta fiorentino messer Giovanni Boccaccio fu indotto a scrivere \ nel fatto però i suoi racconti non rivelano 1' arte riflessa e finissima del Decamerone. Uomo discolo e grosso, com' egli dice di sè stesso, scrivendo ha dimenticato le forme classiche e l'erudizione del grande modello che s'era proposto d'imitare. «Artista inconsapevole egli ha uno stile di una semplicità unica, animato, drammatico ; parla più che scrive, e somiglia soltanto al Celimi» (1).
   L'ordito delle Novelle del Sacchetti è sempre molto semplice. Pochissimi personaggi, un'azione che si sviluppa spontaneamente, un dialogo vivace e rapido, delle circostanze appena accennate, ma che concorrono naturalmente all'esito finale, po.1 un motto arguto od una facezia d' uno dei personaggi, infine una brevissima considerazione del narratore. — Tali ne sono per lo più gli elementi. Non è però da credere che questo sia un tipo immutabile uniformemente ripetuto in tutte le Novelle : esso riproducendosi, assume tutta la molteplice varietà del contenuto; il fondo e la forma si contemperano e si fondono quasi sempre con inimitabile spontaneità.
   Questi sono i caratteri più generali delle opere letterarie di Franco Sacchetti.
   Dopo il quale poniamo Antonio Pucci, un verseggiatore suo concittadino e contemporaneo, che figura nella novella 175, e che viene ricordato dagli storici della poesia italiana in grazia della spontaneità tutta popolana delle rime che ci lasciò. Di lui abbiamo però scarsissime notizie. Certo nacque in Firenze da un fonditore di campane ed esercitò egli stesso questo mestiere. Fu poi trombetta del Comune, e in seguito approvatoli dei saldamenti che si facevano dai debitori della repubblica. « Gli dispiacevano le guerre; non però quelle che si prendessero per onore ed accrescimento della città. Fu uomo di gran religione; ma non sì che risparmiasse il papa e i cardinali quando s'inframettevano nelle cose del Comune, e non avesse che dire dei frati. Ma sopra tutto egli amò Firenze; Mercato vecchio gli pareva la più bella piazza anzi la più bella cosa del mondo, e scrisse un Capitolo delle .sue proprietà (2): pare vagli una nuova iliade la guerra con Pisa del 62; la quale descrisse, con minuzia di cronista e talvolta con ardore più che da rimatore, in sette cantari d' ottava rima: compendiò in terzetti la cronica del Villani nel suo Centiloquio (3). Dovea
   «
   (1) Settembrini — Lezioni di Letteratura italiana. Voi. 1. XXVI.
   (2) Rime antiche che seguono la «Bella Mano» di Giusto de'Conti. — Verona 1750.
   (3) Delizie degli eruditi toscani. — Firenze 1772, voi. VI.