CAPITOLO PRIMO. — CONDIZIONI DEL PENSIERO ITALIANO, ECC. 49
riprovato il senso, la natura e la vita reale, dopo aver svegliato nell'anima umana delle aspirazioni senza appagamento verso un ideale infinito — cessò da queste esagerate tendenze, ed accostandosi alla sua vera ed intima essenza, riconobbe che nel mondo reale v'ha pur qualche cosa di buono e di santo. La vita e le sue manifestazioni furono allora riconsacrate; nell'umano apparve il divino: da ciò la genesi del pensiero moderno e le prime fondamenta della nuova poesia.
Dante Alighieri accetta lo spiritualismo cristiano, qual era stato formulato dalla scolastica del Medio Evo: il suo ideale è posto ancora fuori dei limiti della vita terrena; l'opposizione fra lo spirito e la materia è risoluta col trionfo finale di quello su questa in una regione ultramondana; la mistica idealità medioevale domina ancora il pensiero del poeta, ma essa non è più sola. In mezzo a questi elementi è penetrato il sentimento delle cose, la vita reale vi s'agita piena e possente. Dante non è più un'anima che aneli confondersi ed obbliarsi nel seno dell'infinito; per lui la vita terrestre hai suoi beni; l'amore, la patria, l'umanità, il destino terreno dell'uomo hanno acquistato una grande importanza: egli intravede una nuova armonia tra il cielo e la terra, fra il divino e l'umano. — Il modo con cui il Medio Evo considerava la vita è dunque già profondamente modificato ; con Dante lo spirito umano tocca il limitare del mondo moderno. Nella sua Monarchia s'annidano i germi di una nuova legislazione politico-religiosa dell'umanità, nella Divina Commedia l'avvenire lampeggia attraverso le nebbie del misticismo. « Ce poéme, ha detto stupendamente il Lamennais, est à la fois une tombe et un berceau: la tombe magnifique d'un monde qui s'en va, le berceau d'un monde près d'éclore : un por-tique entre deux temples, le tempie du passé et.le tempie de l'avenir. » (1)
Le reminiscenze del Medio Evo riappariscono nel Petrarca, ma esse lottano colle nuove aspirazioni della vita. « Egli ha digrossato la superficie scabra della vita e ne ha fatto un bel marmo pulito e bianco; sì, quella vita del Medio Evo cosi ricca, ma insieme così turbolenta, mista di pedanteria, d'ignoranza, di superstizione, di passione, di astrazione, egli l'ha ritirata in forme riposate e terse. La doppia barbarie plebea e scolastica è vinta per sempre, ritorna Venere e le Grazie, si possono già presentire i miracoli del Poliziano, dell'Ariosto, di Raffaello. Ma sotto questo bel mondo plastico . . . vaneggia un pensiero indeciso, inquieto, che non vi si può adagiare. Lo spiritualismo del cristiano è qui più forte del poeta. Non è già che s'affatichi verso di quello, impaziente della forma angusta in cui sta come imprigionato, e vago di alzarvisi al di sopra: no. Lo spiritualismo non è un'aspirazione, ma un ostacolo, che egli non può vincere, che trova nella sua stessa coscienza. Ciò che crede è in contraddizione con quello cui tende. Crede allo spiritualismo e vi aspira, ma è un' aspirazione della ragione, in contrasto colle sue inclinazioni. Paganizza e si crede cristiano, sforzasi di conciliare insieme Cristo e Cupido, lo spirito ed il senso ; poi ha sospetto del giuoco, e se ne sdegna e se ne pente e fa propositi, salvo a tornare da capo. La sua imaginazione, il suo istinto artistico, l'educazione classica, la vivacità, se non la persistenza del suo sentire si ribellano contro quel misticismo cattolico platonico, a cui pur credeva, che non osava gettar via, e che è rimaso come un' invitta astrazione nel suo bel mondo plastico. Indi quella forma fìssa, chiara, ben contornata, decisa, entro cui si move un pensiero contradditorio, non fuso non uno con quello. » (2)
Nel Decamerone del Boccaccio questa contraddizione non apparisce più. Lo spiritualismo mistico del Medio Evo è vinto dalle inclinazioni tutte terrene e sensualistiche del poeta. Un mondo di aspirazioni e di fantasmi è morto nell' anima del Boccaccio; e se talora egli lo evoca, non è che per lanciarvi su il dubbio, o per
(1) Lamennais. Oeuvres posthumes. Paris, 1855. La Divine Comédie précédée d'une introduction.
(2) F. De Sanctis. Saggio critico sul Petrarca. — XII. Conclusione. Napoli, presso Morano. 1860.
Invernizzi. — Il Risorgimento. * 7