CAPITOLO SECONDO. — L'ERUDIZIONE.
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mazia universale, posti fra i Signori italiani che fondavano o rassodavano il loro dominio, essi pensarono a formarsi una forte signoria in Italia. « Io fui già d'opinione, diceva un oratore del Concilio di Basilea, che fosse cosa utilissima separare affatto la potenza temporale dalla spirituale; adesso però ho imparato chela virtù senza il potere è ridicola, che il pontefice romano senza il patrimonio della Chiesa, non rappresenta che 1111 servitore dei re e dei principi » (1). E non appena cessarono le preoccupazioni dello Scisma, gli sforzi dei Pontefici furono rivolti a questo scopo, non retrocedendo d'innanzi a nessuna tirannia 0 disonestà di mezzi. Accumulare ricchezze, favorire ed esaltare le loro famiglie, prender parte alle mene politiche ed alle tenebrose congiure dell'epoca, mancar di fede ai giuramenti, spegnere cospiratori e nemici debellati, ecco i mezzi di cui si giovarono i Pontefici per estendere e rassodare il loro dominio temporale in Italia.— I primi segni di queste tendenze si manifestano anche durante le agitazioni suscitate dallo Scisma e dai Concila. I successori di Martino V e di Eugenio IV ebbero, è vero, una grande idea religiosa che li preoccupò ; ma morto Pio II e perduta la speranza di salvare la cristianità contro i Turchi, tutti gli sforzi dei papi del secolo XV furono diretti ad ingrandire la potestà temporale e ad arricchire i membri delle loro famiglie. L'immensa avarizia di Paolo II, l'inverecondo nipotismo di Sisto IV, apersero la via del papato ad Alessandro VI, il Borgia.
I Pontefici ebbero la potenza temporale che agognavano, ma la fede cattolica rapidissimamente scomparve dalla coscienza italiana; e in quel secolo stesso la parola dì Macchiavelli si levo a giudicare l'opera del papato in Italia. « E poiché sono alcuni d'opinione che il benessere delle cose d'Italia dipende dalla Chiesa di Roma, voglio contro ad essa discorrere quelle ragioni che mi occorrono: e ne allegherò due potentissime, le quali, secondo me, non hanno repugnanza. La prima è che per gli esempi rei di quella corte, questa provincia ha perduto ogni divozione ed ogni religione: il che si tira dietro infiniti inconvenienti e infiniti disordini; perchè come dove e religione si suppone ogni bene, così dov'ella manca si presuppone il contrario. Abbiamo, adunque, con la Chiesa e con i preti noi Italiani questo primo ohbligo, d'essere diventati senza religione e cattivi; ma ne abbiamo ancora un maggiore il quale è cagione della rovina nostra. Quest'è che la Chiesa ha tenuto e tiene questa nostra provincia divisa. (2) »
Le tendenze manifestatesi sul finire del secolo XIV nella vita politica e sociale degl'Italiani, e che noi cercammo di far notare nel Capitolo primo, hanno nella prima metà del secolo quindicesimo il loro più rapido e largo sviluppo. L'estendersi dei Signori e delle Oligarchie, e lo smarrirsi dei principii che avevano informato la vita politica e sociale dei secoli trascorsi, sono i fenomeni più notevoli che internamente presentino gli Stati italiani di questo periodo.
Dopo vent'anni di lotta (1421-1442), Alfonso d'Aragona rimase padrone del Regno di Napoli, e si chiamò re delle Due Sicilie. Valoroso capitano, pieno d'ingegno, eloquente, affabile, generoso, splendido , egli si acquistò 1' affetto e la fedeltà de' suoi sudditi, ed una grande influenza tra i Signori italiani. Alfonso, asceso al trono, riordinò le cose del Regno, si gratificò i Baroni, accordando loro molti favori e privilegi, destreggiandosi abilmente fra i Pontefici ed i sudditi; assicurò la successione al trono di Napoli a suo figlio Ferdinando, protesse con rara intelligenza e munificenza artisti e letterati, e la sua Corte fu tra le più splendide d'Italia. I napoletani, m grazia delle sue virtù, gli perdonarono una prodigalità che li gravava di tasse esorbitanti, e lo chiamarono il Magnanimo. — Ma lui morto (1458), sotto il regno di Ferdinando, suo figlio, ricominciarono le agitazioni, che avevano per sì lungo tempo sconvolta
(1) Ranke, Eist. de la Papauté. Liv. I, Ch. II.
(2) Macchiavelli. Discorsi. Lib. I. Cap XII.