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IL RISORGIMENTO.
la monarchia napoletana. Ferdinando si alienò l'affetto dei sudditi, i Baroni congiurarono contro di lui a favore di Giovanni, duca titolare di Calabria e figlio di Renato d'Angiò. L'Angioino scese in Italia, e tentò la conquista del Reame, ajutato da Jacopo Piccinino, l'ultimo dei grandi condottieri del secolo XV. Il tentativo però non riuscì, e l'Aragonese trionfante si vendicò coi tradimenti dei Baroni, e avuto fraudolente-mente nelle mani il Piccinino, lo fece uccidere. All'epoca deila calata di Carlo VIII, Ferdinando d'Aragona regnava ancora nelle Due Sicilie.
Mentre l'Italia meridionale era straziata dalle fazioni, ed Alfonso d'Aragona conquistava coll'armi il trono degli Angioini. Cosimo de'Medici fondava in Firenze la potenza di sua famiglia. — Cosimo, nato nel 1389, vivente ancora suo padre Giovanni, s'era posto alla direzione del commercio della sua casa, e aveva cominciato a prendere parte attiva al governo della repubblica. Quando poi Giovanni de'Medici morì (1428), egli si trovò a capo del partito popolare avverso agli Al-bizzi. Altrettanto ricco quanto ambizioso, stretto in relazione cogli nomili., più eminenti dell'epoca sua, accorto, prudente, liberale, a quarant' anni Cosimo de' Medici era già considerato come il primo cittadino di Firenze. Niuno meglio di lui seppe trar profitto da questa sua posizione e dalle condizioni in cui si trovavano allora i partiti della repubblica. 11 timore di una sollevazione come quella dei Ciompi era cessato; gli uomini nuovi, usciti dalle file popolane ed arricchiti dalle industrie e dal commercio, crescevano con tendenze sociali assai moderate, e s'accostavano alla parte di ricca borghesia capitanata dai Medici. Cosimo colle ricchezze, colla liberalità, coi modi prudenti, affabili, cortesi, erasi procacciato degli amici e delle aderenze in tutte le classi della società fiorentina; molti dei Grandi stessi, tuttora esclusi dal governo per opera delle due fazioni dominanti lo Stato, volontieri si avvicinavano a lui. D'altra parte la fazione degli Albizzi era smembrata da invidie e da odi intestini, mentre quella dei Medici restava compatta e concorde (1). È ben vero che il dominio degli Albizzi era stato segnalato da molti brillanti successi. Nelle guerre contro Gian Galeazzo Visconti, contro re Ladislao, contro Filippo Maria, la libertà fiorentina era stata efficacemente difesa contro le mire conquistatrici di questi principi. L'acquisto di Pisa e di molte altre città della Toscana, aveva esteso i confini della repubblica; la ricchezza della città s'era notevolmente accresciuta; le manifatture della seta e dei drappi d'oro erano venute in gran iiore; nel 1422 una nave mercantile fiorentina salpava dal porto di Livorno, stabilendo relazioni commerciali con Alessandria; un'ambasceria recava da Firenze a Babilonia r;cch doni per quel sultano.
Le arti erano molto prosperate, e nel 1417 erasi affidata a Filippo Brunellesco l'impresa di slanciare la cupola di S. Maria del Fiore: gran parte della gloria artistica e letteraria che circondò più tardi il principato di Cosimo, è dovuta alla colta ed operosa oligarchia degli Albizzi. Ma le guerre del 1423 col duca Filippo Maria Visconti scemarono le ricchezze della repubblica, e la fallita impresa di Lucca risuscitò le ire e le accuse contro gli Albizzi. Cosimo, senza nulla direttamente tentare contro i suoi avversari, nè contro lo Stato, ma anche senza nascondere le proprie opinioni, volse a suo vantaggio tutte le forze sparse del malcontento, e si creò una potenza personale, che minacciava la repubblica. La sentirono gli Albizzi, e congiurarono per abbatterla. Per qualche tempo il prudente consiglio di Nicolò d'Uzzano li tenne in freno ; ma mancato questi di vita, il violento orgoglio di Rinaldo degli Albizzi. volle mandar ad effetto il disegno di cacciare i Medici da Firenze. Il Gonfaloniere e gli Otto della Signoria pei mes di settembre e di ottobre del 1433 7 sortirono tutti a lui devoti ; Cosimo fu arrestato, processato e mandato a confine. Fu, dice Macchiavelli, dovunque passò ricevuto onorevolmente, e non come sbandito, ma come posto in supremo grado onorato. — L' esilio di Cosimo non poteva per ò essere molto lungo. In capo ad un anno, i moltissimi amici ch'egli aveva in Firenze,
(1) Macchiavelli —
Stor. fior. Lib. IV. 9 XXVII.