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IL RISORGIMENTO.
Intanto l'aristocrazia veneta si faceva ogni di più potente e tremenda. Occcupata nel far passare lo spirito che la governava in tutte le leggi dello Stato, distratta dalle imprese marittime e commerciali, essa fin oltre la metà del secolo XIV, non era entrata nelle lotte politiche della Penisola. Soltanto quando Mastino della Scala, signor di Verona, ebbe esteso il suo dominio dai confini del Tirolo fin quasi alle porte di Firenze, lasciando intravedere più vasti ed ambiziosi disegni, Venezia si unì a Firenze per abbatterlo: il risultato di questa alleanza fu l'unione di Treviso alla repubblica veneta. Nel secolo XV però, Venezia, non paga di sua potenza marittima, si volse alle conquiste di terraferma, ed entrò nelle lotte delle Signorie italiane. Quando dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti, le città soggiogate ed i principi spodestati si ribellarono, Venezia tolse Padova e Verona a Francesco Carrara, ed ebbe Vicenza dal nuovo duca di Milano Filippo Maria. — Dopo tali conquiste, in seno ai consigli della repubblica, prevalse, per qualche anno ancora, il pensiero delle imprese marittime e commerciali, più conformi al genio ed alle tradizioni di Venezia. Questo era infatti il consiglio che il doge Tomaso Mocenigo dava, morendo, ai propri concittadini. « Venezia, egli diceva, impiega nel suo commercio, in diverse parti del mondo, un capitale di dieci milioni di ducati, che frutta un guadagno di quattro milioni l'anno. Il nostro commercio impiega tremila navi mercantili, la nostra potenza navale è assicurata da quarantatre galere e da trecento vascelli di minore grandezza, la nostra zecca ha battuto un milione di ducati nel corso dell'anno. Dai soli Stati di Milano noi tiriamo un milione di ducati in generi, e il valore di novecento mila in drappi; il vantaggio che ricaviamo da questo commercio si può valutare a seicento mila ducati. Se persisterete nel sistema al quale andate debitori della vostra grandezza, attirerete a voi tutte le ricchezze del mondo cristiano. Ma la guerra vi rovinerà. La guerra di Verona e di Padova v è costata novecentomila ducati, e le spese per difendere queste città assorbono tutte le loro rendite. A mio successore scegliete un uomo distinto per probità e per saviezza, ma guardatevi da Francesco Foscari: s'egli riescirà doge, voi avrete subito la guerra, ed una guerra che trarrà seco la miseria e la vergogna (1). » — Ma uno spirito nuovo distraeva la repubblica da'suoi lontani interessi d'Oriente, trascinandola in mezzo alle lotte degli interessi italiani. Francesco Foscari fu doge (15 aprile 1423), e ben presto le guen e cominciarono. Il nuovo doge, uomo ambiziosissimo, pieno di coraggio e di fermezza, trasfuse nei consigli della repubblica la febbre di gloria e di conquiste che lo tormentava. L'occasione delle imprese la offrì il conte di Carmagnola, generale di Filippo Maria Visconti. Questo condottiero abbandona il suo signore che l'aveva duramente offeso, eccila la Signoria \eneta ad unirsi ai fiorentini ed al duca di Savoia contro il Visconti di Milano, e passa agli stipendi di Venezia, generale supremo dell' esercito di terraferma. La guerra s'apre, e Brescia (142G) e Bergamo (1428) rimangono ai Veneziani. In seguito, questi tolgono Ravenna ai Polenta (1440); nel 1441 si impadroniscono di Peschiera, Valleggio e Lonato; nel 1448 di Crema; nel 1445, dopo molti contrasti colla corte Pontifìcia, assicurano A possesso del Friuli, occupato nel 1417, ed appartenente già al Patriarca d'Aquìleia. — Francesco Foscari dogava glorioso di sue conquiste, caro alla nobiltà povera, ch'egli aveva sempre favorito, e favoriva tuttora, circondato da numerosa e potente famiglia, pieno di d'un'autorità non goduta mai da nessuno de'suoi predecessori. Non poteva questa potenza minacciare un giorno l'oligarchia? La sospettosa e vigile aristocrazia veneta lo sentì, e colla usata sua crudele fermezza non tardò ad abbatterla, troncando a mezzo un sogno d'immensa ambizione. — È troppo nota la tragedia della famiglia Foscari, per doverla ripetere qui. Perduti i figli, il vecchio e venerando doge (a
veva 80 anni di et
à e 34 di dogato), si vide un giorno privato anche del berretto ducale, e morì udendo il suono delle campane che annunziava il suo successore (1457). Il popolo veneziano mormorò parole d'affetto e di compassione pei glorioso e vecchio suo doge, ma il Consiglio proibì con un bando che niuno osasse
(1) Mann Sanuto. Vite dei Buchi di Venezia.