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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

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a cura di Federico Adamoli

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   IL RISORGIMENTO.
   restano allo Sforza. Tra Milanesi e Veneziani si fanno trattative di pace ; lo Sforza acconsente, e manda suo fratello a sottoscrivere il trattato. Ma poco dopo ei lo disdice, si separa dai Veneziani, ed assedia Milano. La desolazione e la miseria sono al colmo ; il popolo affamato costringe i magistrati della repubblica ad aprire le porte della città al nemico, e Francesco Sforza entra trionfalmente in Milano, tra la gioia e gli applausi di una moltitudine sclamante: haec est dies quam fecit Do-mìnus, exultemus el laetemur in ea, e vi è acclamato Duca (1450). In capo a quattro anni il nuovo Signore si è assicurata la sua conquista; l'imperatore Federico III gli rifiuta l'investitura del Ducato, ed ei non se ne cura; più tardi, quando gli viene offerta per danari, la ricusa. 1 sedici anni del dominio di Francesco Sforza segnano una bell'epoca d'ordine e di prosperità pel ducato di Milano: le capricciose crudeltà e le sanguinose libidini dei Visconti cessano, la sua corte diventa un tranquillo e splendido ritrovo di dotti e di letterati, il suo nome passa alla posterità congiunto all'Ospedale Maggiore di Milano ed al naviglio della Martesana; e quando la morte
   10 colpisce (1466), la successione al trono ducale è assicurata a suo figlio Galeazzo Maria.
   La Chiesa, perduta la supremazia cosmopolitica, appena cessano le agitazioni dello scisma e dei concilii, pensa a rassodare la propria signoria temporale in Italia. — Quando Martino V rientrò in Italia, trovò gli Stati della Chiesa percorsi da banditi o in balia al violento capriccio dei Vicari pontifici e dei Condottieri : coll'aiuto però di Braccio da Montone, egli riacquistò molti de' suoi dominii, ridusse i ribelli Bolognesi all'obbedienza, e, tornato a Roma, vi ristabili la propria autorità temporale (1420). Più tardi, sotto il pontificato di Eugenio IV, ricominciarono le turbolenze in Roma e le invasioni dei Condottieri negli Stati della Chiesa. Furono dapprima le violenze degli Orsini, i protetti dal nuovo pontefice, contro i Colonna, esaltati ed arricchiti da Martino V: seguirono poscia le invasioni di Francesco Sforza e di Nicolò Fortebraccio, e scoppiò da ultimo l'insurrezione dei romani, che obbligò Eugenio a fuggir da Roma travestito da frate. Ma indi a poco il pontefice, amicatosi lo Sforza, colle armi di questo condottiero, debellò i suoi nemici. Forte-braccio è ferito, e le sue schiere sono interamente disfatte. Intanto le armi pontificie, guidate da un feroce Giovanni Vitelleschi, vescovo di Recanati, col saccheggio e colla strage, erano entrate vittoriose in Roma: dopo cinque mesi di libertà, la ribellione è soffocata, e l'autorità del pontefice reintegrata dal Vitelleschi col sangue e collo spavento. Le case degl'insorti furono demolite: uno dei principali ribelli, dopo essere stato pubblicamente attanagliato con ferri roventi, finiva sulla forca in Campo di Fiore. — Il pontefice Eugenio IV lottò con Alfonso di Napoli, con Francesco Sforza, ridiventatogli nemico ; entrò in tutte le mene politiche del suo tempo, ma alla sua morte (1447), Roma e gli Stati della Chiesa ubbidivano alla S. Sede. — Sotto il pontificato di Nicolò V, i magistrati, che il popolo romano considerava ancora come suoi rappresentanti, non erano in realtà che commissari del pontefice ;
   11 governo era già tutto in mano agli ecclesiastici, e i romani chiedevano indarno di godere dei loro antichi diritti. — Fu allora che Stefano Porcari, un gentiluomo romano, eloquente, entusiasta, ardente di libertà, tentò, come Arnaldo da Brescia e come Cola da Rienzi, di trarre la sua patria di mano ai prelati, e ritornarla a vita repubblicana. I ricordi di Roma antica s'erano per lui trasformati in speranze dell'avvenire; la canzone del Petrarca « Spirto gentil che quelle membra reggi » gli pareva una profezia che lo additava come l'esecutore della grande impresa : in breve egli seppe trasfondere in alcuni amici suoi l'ardore di hbertà che io struggeva, e insiem con essi congiurò (5 gennaio 1453). Ma la congiura fu scoperta, e nello stesso giorno Stefano Porcari e nove de'suoi complici furono appiccati ai merli di Castel S. Angelo; gli altri cospiratori fuggirono ; tuttavia molti ne furono arrestati e messi a morte. — Disperso il sogno classico del Porcari, sfumarono anche le speranze di libertà per Roma; ledici anni dopo Nicola V, sedeva sul soglio pontificio Sisto IV: la Chiesa erasi completamente trasformata in una Signoria.