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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO SECONDO. — L'ERUDIZIONE. <'>5
   Noi non possiamo seguire lo sviluppo delle Signorie nelle altre parti d'Italia. Nelle Romagne, quasi ogni città aveva un Signore, il quale non potendo dal suo piccolo Stato cavar danaro bastante pel mantenimento di una Corte, era costretto di darsi alla vita del condottiero, o di abbandonarsi ad ogni genere di violenze e di rapine. — I marchesi d' Este dominavano in Ferrara, Modena e Reggio. Al marchese Nicolò III che, dopo sedici anni di lotte, s'era fatto assoluto signore , succedevano Lionello, l'illustre protettore di dotti, poi Borso, eh' ebbe da Federico III il titolo di Duca. — In Agobbio ed Urbino i Conti di Montefeltro, già vicari dei pontefici, ebbero da questi stessi il titolo di Duca, si diedero alle armi, e fecero del piccolo loro Stato il più geniale ritrovo d' artisti e di poeti.
   Gli Stati italiani, così internamente trasformati in signorie ed oligarchie, si combattono, si uniscono, si dividono fra loro, suscitando nella penisola tante piccole guerre, che non è qui luogo da seguire davvicino. Per più di cinquant' anni noi assistiamo allo spettacolo di una continua lotta fra interessi contradditorii, che finisce coll'essere mortale a tutti. — Qual è lo Stato che avrà la preponderanza in Italia, e che assorbirà gli altri Stati? l'oligarchia borghese fiorentina o l'aristocrazia veneta? il principato militare dei Visconti e degli Sforza o la monarchia feudale di Napoli ? — Sul principio del secolo XV, v'ha un momento in cui Gian Galeazzo Visconti estende il suo dominio su molta parte d'Italia, e vagheggia una corona reale ; ma Firenze resiste, la morte coglie l'ambizioso principe a mezzo le sue imprese, è, lui morto, principi spodestati, città soggiogate e condottieri se ne spartiscono la vasta Signoria. Ladislao di Napoli rivolge le sue truppe verso l'Italia centrale, occupa Roma, l'Umbria, le Marche, ed accenna alle Signorie dell'Alta Italia: aut Caesarf aut nihil, egli dice; ma di nuovo Firenze resiste, e l'impresa muore con lui. Filippo Maria Visconti vuol riconquistare i possedimenti paterni, ed empie la penisola di guerre. Ma questa volta a Firenze s'unisce Venezia, che abbandona le vie dell'Oriente, per rivolgersi alle conquiste di terraferma; ed entrambe si oppongono ai progressi del Visconti. Filippo Maria muor senza prole maschile, e tra i pretendenti alla successione, ecco Venezia, che già estendendo il suo dominio dalla laguna fino all'Adda, mira ad impadronirsi anche del Ducato di Milano e ad avere la preponderanza italiana. Ma gli altri Stati italiani le si oppongono, e Francesco Sforza, il più possente dei condottieri italiani, pone di mezzo la sua abilità militare e politica, e il Ducato del Visconti rimane a luì, che lo ingrandisce 'e lo pone di fronte, insuperabile ostacolo, alle ambizioni dell'aristocrazia veneta. Intanto nell'Italia meridionale, caduti gli Angioini, s'instaura la nuova dinastia straniera degli Aragonesi ; e nel centro i Pontefici, perduta la supremazia cosmopolitica, malsicuri fra signori e condottieri, lottano per fondare un principato temporale, attraversano i disegni di tutti gli altri principi italiani, ma non sono nè abbastanza forti da occupare tutta Italia, nè abbastanza deboli da permettere che altri la occupi (1). In mezzo a queste lotte sorgono i condottieri, i quali, passando repentinamente dall'un principe all'altro, mantengono la preponderanza indecisa, e dell' indecisione fanno lor prò. — Quando finalmente si viene alla pace di Lodi (1454), la vittoria non è toccata nè a Firenze, nè a Venezia, nè a Milano, nè a Napoli; la pace è il frutto della stanchezza, e non fa che celare le antiche animosità sotto un diffidente equilibrio politico.
   Dai fatti cui abbiamo rapidamente accennato, sorgono spontanei i principii che governano la vita politica e morale degli Italiani nella prima metà del secolo quindicesimo. — La religione del Medio Evo, già lo notammo, è un mondo a parte, che rimane inerte nel pensiero, senza efficacia sul sentimento e sulle azioni ; gli antichi principii di moralità e di giustizia, che formavan con essa una sola ed indissolubil sintesi, diventano formule astratte, lontane dalla vita, non sostenute che dalle forze
   (1) Machiavelli. Invekmzzi. — Il Risorfiimcnto.