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IL RISORGIMENTO.
dell'educazione, del costume, delle abitudini intellettive; il mondo teologico-morale del Medio Evo non riposa più sulla convinzione; il dubbio non lo invade ancora e non l'agita; lo si contempla con una profonda indifferenza, e si opera come se non esistesse. Cessata la sua azione, in mancanza di una fede nuova e sicura iri altri principii, di mezzo allo sviluppo dei commerci e della ricchezza, tra gli agi della vita e il lusso delle arti e delle lettere, non sorgono altri motivi che esercitino una decisiva influenza sulla pratica, tranne quelli ispirati dal mondo materiale. Quindi è una immensa corruzione, che dalle alte classi della società si propaga fino alle più umili. — Si esamini la condotta politica delle oligarchie e dei Signori italiani, e si vedranno cancellarsi tutti i grandi scopi delle lotte del Medio Evo. Chi parla più di Guelfi e di Ghibellini'? le loro aspirazioni ei loro dogmi politici giacciono lettera morta nei libri di S. Tomaso e di Dante , ormai non si ubbidisce che alle ispirazioni del proprio interesse, non si ha di mira che il successo, non si è più trattenuti dalla vergogna dello spergiuro e del tradimento, perchè lo spergiuro ed il tradimento sono buoni quando sono utili :i grandi uomini, come Francesco Sforza, si vergognano di perdere, non di guadagnare col-V inganno (1). E coli'inganno e coi tradimenti Filippo Maria Visconti ricupera i possedimenti di Gian Galeazzo suo padre. Giovanni da Vignate s' era impadronito di Lodi. Filippo, sotto pretesto d'abboccarsi con lui, lo chiama a Milano, e ve lo tiene prigioniero. Intanto le sue truppe marciano su Lodi, e la conquistano, il figlio del Vignate è preso e mandato al patibolo insieme a suo padre. Gabrino Fondulo, un gregario avventuriero fatto generale e ministro da Ugolino Cavalcabò signor ui Cremona, un giorno invitati ad un pranzo i suoi signori, li fa trucidare e s'impadronisce della città, che poi cede a Filippo Maria per trentacinquemila ducati d'oro, riserbandosi Castelleone dove egli si ritira a godervi le ricchezze accumulate. Ma l'erario del Duca di Milano abbisogna di denaro, il Fondulo è accusato di secrete pratiche coi Fiorentini, nemici di Filippo Maria, e vien preso a tradimento, trasportato a Milano, decapitato e spogliato de'suoi tesori. Il conte Francesco Carmagnola, generale del Duca, dopo molte splendide vittorie, ritorna in dominio del suo signore quasi tutti i possedimenti di Gian Galeazzo; e tuttavia il valoroso capitano, ridotto in prima a governar Genova con trecento lance, è in seguito privato anche di questo comando, e ogni di più trascurato dal suo signore. È noto com'egli se ne vendicasse ; passato al soldo dei Veneziani, sconfisse a Maclodio le truppe del Duca, togliendogli Bergamo e Brescia. —Nel 1405, la repubblica veneta s'impadroniva di Padova; Francesco Novello, signore di questa città, ed i suoi figli, cadevano in potere della Signoria , che li condannava subito a morte. Due capi del Consiglio dei Dieci e due della Qua-rantia, entrarono nella prigione dei Carraresi, seguiti da venti carnefici. Francesco, afferrato uno sgabello, s' avventò lor contro, e per qualche momento energicamente si di'ese; all'ultimo però, stretto pei piedi e per le braccia, morì strozzato colla corda di una balestra. Il giorno vegnente, i due suoi figli Giacomo e Francesco III dovevano subire la medesima sorte. I due fratelli s'abbracciarono, ricevettero la Comunione, poi furono l'un dopo l'altro strozzati nel luogo medesimo dov'era perito il padre loro. Giacomo, cui toccò l'ultimo a porgere la testa al capestro, scrisse prima a sua moglie Belfiore da Camerino, cercando consolarla di tanta sventura. Ma queste morti non bastarono alla sospettosa Signoria della repubblica: essa impose una taglia sulla testa di Marsilio e di Ubertino, due altri figli del Carrara, che restavano in Firenze, promettendo quattro mila fiorini a chi li consegnasse vivi, e tre mila a chi li uccidesse (2). Venezia, soggiunge qui Cesare Balbo, entrava ad un tempo nella carriera delle conquiste e in quella delle scellerate virtù del secolo XV ».<
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Qualche anno dopo, la stessa Signoria, insospettitasi del Conte di Carmagnola, suo generale, che, vincitore a Maclodio, aveva lasciato liberi i prigionieri nemici, suoi antichi commilitoni — lo chiamò a Venezia, e gli fece troncare la testa. — Cosimo
(1) Macchiavelli.
(2) Sismondi. Mep. ital.