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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

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a cura di Federico Adamoli

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   IL RISORGIMENTO.
   Barbiano raccolse la famosa compagnia al S. Giorgio, dalla quale uscirono in seguito Jacopo dal Verme, Facino Cane, Ottobon terzo, poi Attendolo Sforza e Braccio di Montone, che lasciarono eredi di loro tradizioni militari Francesco Sforza e Niccolò Piccinino. Dal momento che esistettero condottieri e mercenari, ad onta dei gravi pericoli che presentavano, signori e repubbliche dovettero darsi in loro balìa, e comperare il coraggio: l'Italia fu piena di capitani e di compagnie di ventura che passavano repentinamente da uno ad altro padrone, senza fede e senza affetti, protraendo a loro vantaggio le guerre, e lasciandole quasi sempre senza decisivi risultati. Non corse però gran tempo che i condottieri diventarono formidabili a nemici e padroni; la loro potenza militare pesò sulla bilancia politica, e l'armi apersero ad alcuni di essi le vie del trono.
   Le classi sociali avevano già, nel secolo XV, raggiunto un altissimo grado di sviluppo: mentre i popoli d'Europa erano ancora dominati dall'aristocrazia feudale, in Italia, le barriere poste, in nome del cielo, fra uomo ed uomo sulla terra, erano da gran tempo rovinate. Qui dalla plebe uscivano i magistrati ed i generali, qui un povero monaco di Sarzana saliva il soglio pontifìcio, qui una famiglia di mercanti gettava le basi di una dinastia ed un soldato di ventura cingeva una corona ducale. Le industrie, i commerci, gli studi, tutte le manifestazioni dell'umana personalità erano in grande incremento; lo spirito dell'uomo libero, possente, era trasfuso in tutte le opere della vita italiana. E tuttavia fra tanto sviluppo e tanti agi, quanta decadenza del sentimento morale! L'esempio della corruzione lo davano le classi più elevate e più colte della società. Nella cancelleria pontifìcia prelati ed ecclesiastici passavano le ore leggendo le invereconde Facezie di Poggio Bracciolini, il Panormita pubblicava VErmafrodito, una laida composizione, e Cosimo de'Medici ne accettava la dedica; le lettere e le invettive degli eruditi di quest'epoca (noi lo vedremo nel paragrafo seguente) accennano a scandali, ad immoralità, a chiassose avventure d'ogni genere; la corruzione penetrava nella famiglia e vi avvelenava le sorgenti delle virtù pubbliche e private. — Dovunque si volga il nostro sguardo,
   10 spettacolo che ci si para d'innanzi è sempre quello d'un mondo morale che rovina da ogni banda.
   Un solo culto era vivo nell'anima degl'Italiani di questo periodo, ed era quello per le opere dell'ingegno, e specialmente per l'antichità classica e per l'erudizione. Gli antichi alletti, gli antichi sentimenti religiosi e morali languiscono inerti nel cuore: tutta l'attività è concentrata nell'intelligenza. In mezzo alle condizioni che ci studiammo di descrivere, svegliasi un ardor nuovo di studi, una smania di sapere che consuma tutti gl'Italiani, dai Pontefici e dai Signori all'ultimo dei cittadini. Nello stesso tempo la teologìa, la poesia, tutta la coltura del Medio Evo è lasciata in abbandono, per rivoigersi unicamente agli avanzi del mondo classico che si andavano ogni dì esumando. I Pontefici, gli Sforza, i Medici, gli Estensi, gli Aragonesi, coltivano quest' amore, e da loro carezzati e protetti, i dotti, i letterati, gli artisti sorgono e si moltiplicano a migliaia. — Nicola V mandò a cercare, a copiare, a comperar manoscritti antichi per tutta 1' Europa, impiegando a quest' uopo ingenti somme di danaro. Fu per opera sua che sorse la Biblioteca Vaticana, ch'egli lasciò, alla sua morte, ricca di 5000 volumi; fu per opera sua, e sotto la sua direzione, che si tradussero dal greco le storie di Erodoto, di Tucidide, di Polibio, la Ciropedia di Senofonte, Diodoro Siculo, la Geografia di Strabone, le opere di Aristotile, di Platone, di Tolomeo, di Teofrasto. La corte di Nicolò V fu il ritrovo dei più illustri eruditi della sua epoca: Giovanni Aurispa, Poggio Bracciolini, Leonardo Bruni, Francesco Filelfo, Lorenzo Valla, Biondo Flavio e moltissimi altri, vissero protetti, onorati, sostenuti dalla sapiente munificenza del dottissimo Pontefice. —
   11 Marchese Nicolò III d'Este riaperse l'Università di Ferrara, chiamò alla sua corte Guarino da Verona, gli affidò l'educazione de' suoi due figli Lionello e Borso,
   (1) Tiraboschi. — Leti. ital.