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Storia della Letteratura Italiana
Dalla metà del 700 ai giorni nostri
Giacomo Zanella
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 192

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a cura di Federico Adamoli

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   intlioduzione. 29
   corso, quando al levarsi d'un sole, che avrebbe spento ogni altro luminare poetico, il Byron, egli abbandonò l'uso del verso, e cercò palma non contrastata <^llo scrivere m prosa. L'apparizione di Waverley nel 1814, due anni dopo il Chi lue tiaroid di Byron, ecclissò sull'istante la gloria de' precedenti romanzi-Kichardsoii colle sue pitture di famiglia e Fielding di costumi del popolo parvero coloritori ben poveri verso un ingegno che abbracciava tempi e persole avvenimenti e caratteri con pari libertà di immagini e fedeltà di pitture; che i più alti fatti della stona intrecciava alla sua favola; ed il racconto vestiva d'uno stile vario secondo il soggetto, e sempre con lieve tinta poetica, come conviene al romanzo.
   ba quel giorno prodigi tennero dietro a prodigi: l'operosità dello Scott è *enz» esempio nella storia degli scrittori. Ammalato e reso inetto alla penna, egli dettava doleva dire che le malattie si vincono collo sfidarle; nella stessa guisa che coli abbrancare fortemente la ortica se ne schivano le punture. La Sposa di Lammermoor, la Leggenda di Montrose, e gran parte dell' Ivanhoe furono da lui dettati durante una tormentosa malattia. Nel colmo della fama e della fortuna volle avere una residenza campestre che non fosse nella sola immaginazione; ed eresse il suo Abbotsford colla bizzarra magnificenza di un feudale_ castello, donde il fallimento della ditta Constabile con cui era legato di affari, lo avrebbe rimosso, se raddoppiando lo sforzo della sua mente, non avesse cercato nella penna la sua salute. Trovato debitore di 100,000 lire sterline, m meno di cinque anni col suo ingegno pagò due terzi della somma; ma questi ultimi lavori, e speeialmente la Vita di Buonaparte sentono della fretta e affannosa ansietà dell'autore. Tanta era la sua facilità nello scrivere, che Waverley non gli costò che le sere di un mese di estate; ond'egli scherzando diceva ad un amipo essere tanta la velocità della sua penna da essere tentato di staccarne le dita a vedere se da se sola senza 1'ajuto della sua testa scrivesse parimenti bene. Ma la fretta non è mai bene. Nel penultimo anno della sua vita sopra una fregata, che il governo inglese pose in mare per lui, visitò l'Italia in cerca di sa ute, ed è singoiar tratto del suo ingegno, che di tutti i nostri monumenti antichi e moderni non gli piacesse che un feudale castello nella campagna di Roma. Se è vero che ne' suoi ultimi istanti dicesse chc moriva tranquillo, perchè in tanti suoi libri non v'era una linea che offendesse la religione o il pudore, è più ancora da deplorare che non abbia potuto nè possa il suo esempio contenere la turba, che ogni dì va peggiorando de' suoi imitatori.
   Se lo Scott nella memoria del passato cercò un sollievo ai dolori del presente Giorgio Byron (1788-1824) ha espresso ne' suoi poemi questi dolori; il dubbio di tutte le cose umane e divine, ed un fastidio della vita che pende alla disperazione. Lo Scott si tolse alla poesia per tema di essere oscurato dal Byron. Non so quanto fosse ragionevole questo timore; poiché se si paragoni la forza d'immaginazione di questi grandi ingegni, credo che la vittoria sia dal lato del romanziere. E certo che più poderosa ala si vuole ad uscir di sè stesso, portarsi in tempi lontani, popolare la scena di personaggi che si atteggiano e parlano secondo 1 ìndole loro, non dello scrittore, che non sia trasportare sè stesso nell'azione, animare ì personaggi de' propri sentimenti e pensieri, e sotto gli altrui lineamenti mostrare Li ogni occasione sè stesso. Shakspeare e Scott scompaiono nelle loro creazione; Byron sotto la veste del Corsaro, di Lara, di Aroldo, e di Manfredo è sempre lui con quel suo satanico orgoglio che si fa gloria della enormità delle colpe. Le donne stesse, Medora, Aidea, Gulnara, Zuleika, ingenue, miti, affettuose sono qua i si confanno colla superbia di un oppressore più che colla devozione di un amante. Ora non v'ha dubbio che nel primo caso l'immaginazione è più grande; quindi io credo che Scott avrebbe disputata e forse tolta a Byron la palma, se quella precipitosa sua furia nel comporre gli avesse lasciato tempo di raccogliere i pensieri e di limare lo stile, come ha fatto il suo emulo. Perocché s'inganna chi