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Storia della Letteratura Italiana
Dalla metà del 700 ai giorni nostri
Giacomo Zanella
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 192

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a cura di Federico Adamoli

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   INTliODUZIONE. 29
   fondo dei mali e dell'inquietudine, che travagliavano il secolo. Il Werther fu tosto tradotto in tutte le lingue ; e se i funesti effetti, che spesso ha causati un'incauta lettura di quelle pagine, non lo vietassero, quel libro potrebbe dirsi il più bello dei romanzi sentimentali. Ha qualche cosa di Ossian e del Vicario di Wakefield colla chiara onniveggenza di Shakspeare ; ma Richardson, Fielding, Voltaire, Rousseau paiono ciarlieri e monotoni di fronte a questa favola di fuoco, che arde più che non isplende e per mille delicati avvolgimenti, quante sono le pieghe del cuore umano, corre vittoriosa e veloce al suo fine. Chateaubriand, Byron, Leopardi e quanti espressero nei loro canti il tedio della vita, sono figli naturali di Werther. Passata la tempesta e ritornato il sereno alla sua anima, Goethe si strinse con più amore alla vita e versò la sua allegrezza in bellissime liriche, in cui la naturalezza della forma è pari alla verità del sentimento. Quattro anni gli durò l'incendio che ha rinnovato il dramma, il romanzo e la canzone. Le dissipazioni della corte di Veimar che gli attirarono le rampogne del vecchio Klopstock, sopirono per qualche tempo quel suo ingenito ardore; poi il viaggio d'Italia colla vista delle naturali bellezze e dei classici monumenti di Roma lo ridusse a più temperate opinioni sull'arte. Scrisse allora il Torquato Tasso, YEgmont, YIfigenia, in cui al sentimento moderno ha data la- forma pura e serena dell'arte antica. Ma se Goethe si era tolto alla giovane falange dell' assalto e della irruzione, altri perseveravano o si mettevano allora per quella via : Heinse esagerava la voluttuosa morbidezza di Wieland: Klinger, avverso a Wieland, discepolo di Rousseau non trovava eccellente che ciò che fosse di mano della natura; secondo lui tutto degenerava nelle mani dell'uomo. Sturm and Drung è il titolo d'un suo dramma.
   Ma più grande de' due nominati combatteva nelle loro file un giovane disertori! del Wirtemberg, che assaggiata invano la giurisprudenza, la medicina e la milizia domandava emolumenti e gloria al teatro. Federico Schiller (1754-1805), nel 1781, pose sulle scene il suo dramma I Masnadieri, eh'è frutto non solo della rivoluzione in fatto d'arte propugnata dal poeta, ma della sua profonda avversione a tutti i sociali legami che impediscono il genio di rivelarsi. Questo dramma selvaggio che coll'enormità dei delitti spaventava gli spettatori, fu come scoppio di folgore per la Germania, che vide nascere un' infinità di romanzi sugli assassini, come da Goetz erano nati i romanzi della cavalleria. Il grido di libertà, che dopo la guerra dell'indipendenza d'America suonava per tutta Europa, ispirò a Schiller il suo dramma repubblicano: La Congiura di Fiesehi e fu il suo primo passo verso il dramma storico che lo ha fatto immortale. Molte delle sue poesie liriche sono di questo tempo, come si può vedere dalla forma tanto lontana dalla nobile castigatezza di Goethe. A Dresda legossi in amicizia con Koerner, padre del poeta, che lo trasse al culto della classica antichità e lo moderò nelle sue tendenze innovatrici. Anche gli studi a cui fu costretto per le sue Storie de' Paesi Bassi e Della guerra di trenta anni sedarono i tempestosi bollori della sua giovinezza; e l Inno alla gioja, che allora scrisse, fu come il presagio di un'arte più innocente e^ tranquilla. La filosofia di Kant venne a compiere la riforma; ed in alcune dissertazioni, nelle quali l'irto linguaggio del maestro sostituisce la facondia platonica, Schiller espose come la legge sovrana del Bello consista nella libertà morale, libertà creatrice, instancabilmente operosa, che tende a sviluppare sempre più la persona umana dai lacci dei sensi e della natura.
   Goethe osservava da lontano i procedimenti di Schiller, c l'entusiasmo, con cui la gioventù tedesca ne accoglieva i drammi, e le teorie sull'arte, rincrudiva di giorno in giorno il suo abborrimento per lui. Schiller in una sua dissertazione avea parlato con disprezzo di certi ingegni che si appagano di godere; che scrivono senza fatica e senza cura di migliorare sè stessi; che si abbandonano agli istinti della natura senza intervento alcuno della libertà morale. Goethe sentì la stoccata; ed allontanossi ancora più dall'audace avversario. Questi due astri, che poco dopo doveano illustrarsi di mutuo splendore, allora si volgeano per ben