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Storia della Letteratura Italiana
Dalla metà del 700 ai giorni nostri
Giacomo Zanella
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 192

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPO I.
   gnificò la forza del percussore. Il Goldoni d'indole mansueta e pacifica non seppe durare contro la violenza dell'avversario; cosicché stanco e noiato di una città, che pure continuava ad amare, cercò altrove un asilo, e lo ebbe in Parigi. Oarlo Gozzi, scioltasi la compagnia Sacchi, vide spopolarsi a poeo a poeo il suo teatro, e le sue Fiabe tornare alla loro prima destinazione di lusingare il sonno ai fanciulli. Pessimo giudice di poesia mostrossi il Baretti, che le pose subito dopo i drammi di Sliakspeare: si scusò più tardi col dire che le avea giudicate dietro una rapida lettura; ma che quando le vide rappresentate con que' maledetti Pantalone, Arlecchino, Tartaglia e Brighella, fu a un dito di mutare sentenza. Non so poi come aleuni osassero paragonare queste insipide fole alle commedie di Aristofane, che sotto i bizzarri e fantastici simboli degli Uccelli, delle Vespe e delle Nuvole, nascondono tanto senno politico e parlano come in niun altro secolo hanno mai parlato le Grazie. Sei critici tedesehi le levarono a eielo; se Ichiller tradusse la Turandot; se nelle Università di Germania si spiegarono e commentarono pubblicamente, vuol dire che i Tedeschi hanno un loro gusto curioso; che quello che piace a loro non sempre piace agli Italiani ; e che questi hanno il gran torto ogni volta che in fatto di letteratura non si governano col proprio giudizio.
   Nella dotta ed amabile società di Parigi ebbe il Goldoni la sua seconda educazione. Non si può misurare l'altezza a cui sarebbe salito questo mirabile ingegno, se nella sua giovinezza si fosse scontrato negli uomini che conobbe sul declinare della vita. Il Burbero benefico, l'Avaro fastoso, il Curioso accidente, il Matrimonio per concorso segnano la sua seconda maniera: non originalissimo in essa quanto nella prima; ma con tocchi più larghi e più profonda conoscenza delle umane passioni. Ebbe gli applausi di Voltaire; in Italia il Gozzi ed il Baretti deposero le armi e salutarono nell'emulo antico una gloria della nazione.
   Ora chi voglia paragonare insieme questi due insigni Italiani, che levarono tanto rumore nelle capitali di due grandissimi Stati, troverà nel Metastasio un senso squisitissimo dell' armonia, che si accosta alla facoltà musicale, ed in Goldoni un finissimo spirito di osservazione, che coglie i tratti più minuti che ti pongono innanzi scolpito un carattere. Nel Metastasio era un' arte consumatissima, acquistata con lunghe meditazioni sulle Poetiche di Aristotele e di Orazio. Il Goldoni non ebbe a maestri che il teatro de' suoi tempi e la natura. Metastasio sapendo di essere ascoltato dalle corti e dal fiore della cittadinanza puliva e ripuliva i suoi drammi, in maniera che non offendessero in guisa alcuna il superbo orecchio de' suoi uditori; il Goldoni, che si vedeva innanzi una folla bramosa di sollazzo e di riso, si abbandonava alla sua vivace e gaia natura da varcare qualche volta i limiti del convenevole. Nel Metastasio la passione spesso si rivela nella parola, nel Goldoni prorompe dalla situazione; nel primo abbonda la sentenza, nel secondo il proverbio. Quanto alla lingua, se il Metastasio peeca di povertà, il Goldoni di negligenza. Che se alcuno mi chiedesse: quale de'due sarà più lungamente letto ed ammirato , direi che la risposta ò già fatta; i drammi di Metastasio non si ristampano più; le commedie del Goldoni, quelle, s'intende, della sua maniera migliore, sono avidamente lette ed ascoltate da un capo all'altro d'Italia: l'artificio piace per qualche tempo, la natura sempre.
   Scipione Maffei colla Merope stampata nel 1714, avea tentato di tornare la tragedia alla sua eroica dignità liberandola dagli amoreggiamene della scena francese. Attinse dai Greci e più dalla natura la parola dell'amore materno, e la Merope corse tutti i teatri d'Italia senza eceitare peraltro gl'ingegni a seguire il suo esempio. L'opera in musiea regnava in tutti i maggiori teatri della Penisola. L'armonia, che naturalmente dee correre fra il canto e la parola, era già rotta; la musica si era scordata che salendo sulla scena, ove ha proprio trono la poesia, doveva accordarsi con essa, e non occupare tirannicamente gli altrui antichi de minii. Ne' primi tempi del melodramma lo stile della musica consisteva nelle parolJ cantate o vogliam dire nel canto parlato: la parola vi manteneva la sua prero-