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viltà. Nel 1831 il Berchet compose il vigoroso inno Su figli d'Italia: è pure autore di varie traduzioni in versi e in prosa (molte ne fece in gioventù), fra le quali è notevole quella di settantadue Vecchie Romanze spagnuole (1837), precedute da un buon Discorso critico. Nel 1847 potè finalmente tornare in Italia, dove fu accolto con gran festa; caldeggiò l'unione della Lombardia al Piemonte, ritrattò quanto altra volta aveva detto contro Carlo Alberto, riconoscendone la lealtà e l'affetto all'Italia. Rioccupata la Lombardia dagli Austriaci, si ritirò in Piemonte, dove fu eletto deputato al Parlamento: morì a Torino il 23 decem-bre 1851.
Nei versi del Berchet abbondano negligenze e difetti, ma si ! palesa anche un bell'ingegno poetico e soprattutto un'anima tutta accesa di nobile amore alla patria, e che sa comunicare agli altri il proprio fuoco: quanti petti, fino alle ultime battaglie dell' indipendenza, essi hanno scossi e inebriati !
Ad eccitare il sentimento nazionale e l'odio all' oppressione straniera valse pur grandemente un libro di memorie, Le mie prigioni, di un altro romantico, Silvio Pellico;8 libro che danneggiò l'Austria (fu detto con ragione) più d'una battaglia perduta. 9 II Pellico nacque a Saluzzo nel 1789: venuto a Milano, dove si era trasferita la famiglia, conobbe il Monti, il Foscolo, col quale ebbe intimissima amicizia, ed altri letterati; fu precettore in casa del conte Porro Lambertenglii, e dal 1818 al 1819 attese con fervido zelo alla compilazione del Conciliatore, dove pubblicò vari articoli. Aveva fatto rappresentare nel 1815 con grande successo, e stampò nel 1818, la tragedia Francesca da Rimini. Nel 1820 (aveva ricevuto dal Maroncelli l'iniziazione ad apprendente della setta dei Carbonari) 10 fu arrestato, chiuso ne' Piombi (famose prigioni) di Venezia e condannato, come reo di alto tradimento, a morte. Gli fu mutata la pena in quindici anni di carcere duro da scontarsi nella fortezza di Spielberg; e gli strazi di quella prigionia li conosciamo dalle Mie prigioni del Pellico medesimo, dalle Addizioni del Maroncelli a questo libro e dai Mémoires d'un prisonnier di Alessandro Andryane. Nel 1830 fu graziato, e visse da quel tempo a Torino, sempre infermiccio e dedito a pensieri e pratiche di religione: pubblicò Le mie prigioni (1832), alcune tragedie, il libretto De' doveri degli uomini, due volumi di Poesie inedite, liriche e cantiche, poemetti cioè narrativi in versi sciolti su argomenti presi dal Me-