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Storia della Letteratura Italiana

Giovanni Antonio Venturi
Sansoni Editore Firenze, 1929, pagine 327

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   la lktteratltra italiana
   dottrine romantiche, una novella in ottave, La torre di Gapua, ed altre poesie. 16
   Prese parte alle battaglie dei romantici contro i classici un grande poeta vernacolo, Carlo Porta di Milano (1775-1821); la cui satira spigliata, arguta, sempre originale e piacevolissima ritrae la vita e la società milanese del tempo, e i tipi che meglio la rappresentano (chi non ricorda Giovannin Bongeel), con insuperabile verità ed evidenza. 17 Oltre che di prose italiane vivaci e facete (Sul gatto, ecc.), di spontanei versi nel suo dialetto è autore il milanese Giovanni Ra.jberti (1805-1861). Giuseppe Gioacchino Belli di Roma (1791-1863), dopo aver letto il Porta, si diede a comporre sonetti in romanesco: 18 «lo spirito fine e argutamente caustico del popolano di Roma, dice il Finzi, scoppietta nei duemila sonetti nei quali il Belli dipinse con efficace parsimonia, come in bei quadretti di genere, le scene molteplici della vita romana, nonché i sentimenti vari e i vari stati e momenti di un popolo e di una società tormentati da un profondo malessere civile, guasti nel costume e nella coscienza ». Un altro buon poeta in romanesco è Luigi Ferretti (1836-1881). Angelo Brofferio della provincia di Alessandria (1802-1866), avvocato, giornalista, deputato autorevole e facondo, scrisse con intento patriottico poesie in piemontese, che furono molto popolari; assai spesso tiene a modello e imita strettamente il Béranger.
   3. La poesia civile e patriottica fu trattata con arte eccellente da due toscani: da Giovan Battista Niccolini nella tragedia e da Giuseppe Giusti nella satira. Il primo, nato ai Bagni di San Giuliano vicino a Pisa il 29 ottobre 1782, visse sino al 20 settembre 1861: compiuti gli studi elementari e mezzani a Firenze e gli universitari » Pisa, dove si addottorò in leggerebbe a Firenze prima un impiego nell'Archivio delle Riformagioni, poi (1807) l'ufficio, che tenne tutta la vita, di professore di storia' e mitologia e di segretario e bibliotecario dell'Accademia delle Bolle Arti. La provvisione era molto scarsa (un trecento scudi all'anno), e il Niccolini non ebbe beni di fortuna sino al 1825, quando un'eredità gli portò l'agiatezza; tuttavia non chiese mai aumenti, essendo per lui « le scale del palazzo Pitti, come scriveva ad Andrea Mafìei (il 29 dicembre 1854), durissimo calle, e l'aria della corte non respirabile per il suo polmone». Nel 1811 pubblicò la sua prima tragedia, Polissena, cui molte altre seguirono