Almanacco Italiano 1904 (parte seconda) di
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veto politico — dell'Austria, che agiva, diciamolo subito, da parte della triplice. Il veto è ornai un anacronismo storico che non ha più presa sui cardinali, e se le forze antirampol-liane non fossero state irreduttibili, il veto austriaco avrebbe ottenuto l'effetto opposto. D'altra parte il cardinale Gotti ebbe una buona votazione ma non tale da raccogliere i due terzi del suffragi. Oi voleva un altro candidato non di curia, lontano dal rumori della vita politica, che avesse percorso tutti i gradi della gerarchla ecclesiastica. Il cardinale Giuseppe Sarto offriva tutte queste condizioni. Nato dal popolo — da un cursore e da una cucitrice di Riese — aveva potuto,
grazie ai risparmi della sua genitrice e alle lezioni che dava privatamente, percorrere tutti gli studi ecclesiastici a Castelfranco, e a Padova. Cappellano a Tombolo nella verde età di 23 anni, divenne curato di Salzano, poscia cancelliere di Curia a Treviso e professore di Seminario. Nel novembre del 1884 veniva preconizzato vescovo di Mantova, e nel giugno del 1893 cardinale e patriarca di Venezia. La sua carriera s'era operata in modo affatto opposto a quella del suo predecessore. Il primo aveva percorso brillantemente la carriera diplomatica, e dalla nunziatura di Bruxelles era passato a Perugia arcivescovo e cardinale;
scorreva nelle sue vene del sangue bleu, ciò che non gli impedì di comprendere le grandi correnti sociali dell'epoca e di spingere la barca di Pietro verso la democrazia. Al suo scomparire, il Sacro Collegio pensò che un uomo del popolo, alieno da ogni onore e da ogni pompa, sarebbe stato un degno successore di Leoue. Ben cinquanta suffragi furono portati sul nome del cardinale Giuseppe Sarto, che pallido invocava da' suoi colleghi di poter far ritorno alla sua diletta Venezia. Non ho proprio voglia di far l'apologia nè dell'uomo, nè dell'istituzione, ma si accorderà che è uno spettacolo grandioso quello di vedere il figlio di un cursore di campagna, portato dal Conclave alla più alta dignità cui possa aspirare un uomo senza che alcun intrigo abbia avuto luogo In suo favore, invocare piangendo di allontanare da lui il calice amaro. Dopo Sisto V non s'era visto un fatto simile. L'età nostra democratica è stata attonita nel vedere il triregno sul capo del figlio della cucitrice che a Riese ha fatto sacrificii per gli studi del figlio; il quale si raccolse tosto in sè stesso, dopo la sua incoronazione, come per riflettere al grande peso, alla grande responsabilità che gli si era addossata.
Finora non è ancora uscito dal suo contegno nobile e dignitoso. Non precipitò sulla scelta di un Cardinale segretario di Stato. Il papa-vescovo, dovendo essere anche papa politico, vide, notò, ascoltò, pregò nel raccoglimento. Volle avere prima un concetto personale, razione verrà dappoi.
La stampa d'Italia ed estera ha già fatto molti pronostici sul Papa nuovo. Io, che ebbi l'onore di avvicinarlo prima del Conclave, convivendo con lui nel collegio lombardo, e che fui ammesso alla sua udienza per ben tre volte quando divenne Pio X, non ho l'ingenuità di profetizzare quello che sarà. So che la volontà di un uomo, di molti uomini non bastano spesso a trasformare una situazione. Quello che posso dire è che Pio X condurrà a termine, a mio credere, il monumento abbozzato a colpi d'idee da Leone XIII. Egli non sarà l'idea, sarà l'azione. Pel nostro paese egli non può sperare l'impossibile, una conciliazione nel puro mantenimento dello statit quo, poiché come italiano ama il paese che gli ha dati i natali, e come Papa deve salvaguardare l'indipendenza della Santa Sede, ma io credo che Pio X per parte sua non accentuerà mal il nostro doloroso dissidio interno, felicissimo se 1 tempi nuovi e l'Italia di domani sapranno trovare la formola nuova che metta in salvo le due Indipendenze, quella dell'Italia e quella della Santa Sede.
E se io debbo dire tutto il mio pensiero, temo che l'ora sospirata dei credenti e dei patrioti italiani non sia ancora scoccata. Comunque sia, il nome di Pio X, di questo figlio sorto dal popolo dell'Italia nostra, c'è arra di pace e di speranza suprema.
Roma, 20 settembre 1903.
Don Ernesto Vebcesi.
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W (Vedi annunzio di fronte al frontespizio). A
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