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Venti anni dopo (volume 1)

Alessandro Dumas (padre)
Fratelli Teves Editori Milano, 1929, pagine 264

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   — 58 --
   D'Artagnan aprì una vecchia cassetta che giaceva in un angolo della camera, ricolma di pergamene relative alla terra d'Artagnan, che da duecento anni era del tutto alienata dalla sua famiglia, e gli sfuggì un grido di gioia: aveva riconosciuto la grande calligrafia di Porthos e al di sotto alcune righe a zampa di mosca tracciate dalla mano nervosa della sua degna sposa.
   D'Artagnan non si divertì affatto a leggere la lettera, sapeva cosa contenesse, corse all'indirizzo.
   L'indirizzo era: al castello del Vallone.
   Porthos aveva dimenticato ogni altra indicazione. Nel suo viaggio credeva che il mondo intero conoscesse il castello al quale aveva dato il suo nome.
   — Al diavolo i vanitosi ! — disse d'Artagnan, — sempre
   10 stesso! Ero già contento di cominciare da lui, dato che non avrebbe avuto bisogno di denaro, egli che ha ereditato ottocentomila lire dal signor Coquenard. Ecco qua il migliore che mi manca. Athos sarà diventato idiota a forza di bere. In quanto ad Aramis egli dev'essere immerso nelle sue pratiche di devozione.
   D'Artagnan gettò ancora una volta gli occhi sulla lettera di Porthos. C'era una poscritta, e quella poscritta conteneva questa frase:
   « Scrivo per mezzo dello stesso corriere al nostro degno amico Aramis nel suo convento ».
   — Nel suo convento? va bene; ma quale convento? Ve ne sono duecento a Parigi, e tremila in Francia. E poi può darsi che rinchiudendo visi abbia cambiato di nome. Ah! se io fossi dotto in teologia e mi sovvenisse solamente il soggetto delle sue tesi che discuteva così bene a Crèvecoeur col curato di Montdidier e il superiore dei Gesuiti, io vedrei quale dottrina egli abbraccia e da ciò potrei dedurre a qual santo ha potuto votarsi ; vediamo, se andassi a trovare
   11 cardinale e gli domandassi un salvacondotto per entrare in tutti i conventi possibili, anche in quelli dei religiosi? Sarebbe una buona idea, e forse lo troverei là come Achille... Sì, ma sì è confessare da principio la mia impotenza, e a primo colpo io sono perduto nella mentalità del cardinale. I grandi non sono riconoscenti che quando si fa per essi l'impossibile. « Se fosse stato possibile, ci dicono, l'avrei fatto io stesso «. E i grandi hanno ragione. Ma aspettiamo un poco e vediamo. Ho ricevuto una lettera, da lui pure, che mi è tanto un caro amico, e mi doman-