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Vi erano degli uomini, che guardandolo, si domandavano 6e non faceva un sogno e se quella rigura di marmo era realmente al suo servizio e se si sarebbe animata al momento
opportuno.
La Ramée congedò le guardie, raccomandando loro di bere alla salute del duca; indi, allorché furono partite, chiuse le porte, si pose le chiavi in tasca e indicò la tavola al principe in modo che voleva dire: Quando monsignor vuole, è tutto pronto.
Il principe guardò Grimaud. Grimaud guardò l'orologio a pendolo; erano appena le sei e un quarto, e la fuga era fissata alle sette; si doveva quindi aspettare tre quarti d'ora. Il principe per guadagnare un quarto d'ora prese il pretesto d'una lettura che lo interessava e chiese di terminare il capitolo. La Ramée s'avvicinò, guardò per di sopra le sue spalle qual era il libro che aveva sul principe tanto potere da impedirgli di mettersi a tavola quando il pranzo era servito.
Erano i Commentari di Cesare, che egli stesso, violando gli ordini del signor di Chavigny, gli aveva procurato tre giorni prima.
La Ramée si ripromise in cuor suo, di non trasgredire mai più i regolamenti del carcere del torrione. La Ramée, aspettando, sturò le bottiglie ed andò ad odorare il pasticcio .
Alle sei e mezza il duca si pose a tavola, dicendo con gravità :
— Decisamente, Cesare era il più grande uomo dell'antichità.
— Davvero, signore? — disse La Ramée.
— Sì.
— Eppure io amo meglio Annibale, — disse La Ramée.
— E perchè mai, mastro La Ramée? — domandò il duca.
— Perchè non ha lasciato Commentari, — disse La Ramée col suo sorriso grossolano.
Il duca comprese l'allusione e si mise a tavola, facendo segno a La Ramée di porsi in faccia a lui.
Il bargello non se lo fece ripetere due volte. Non- c'è fisionomia più espressiva di un vero ghiottone che si trovi di fronte ad una buona tavola apparecchiata; perciò ricevendo il suo piatto di minestra dalle mani di Grimaud, la faccia di La Ramée presentava il sentimento della perfetta beatitudine.
Dumas. Venti anni dopo.