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XXXV.
L'Assoluzione.
Ecco che cos'era successo.
Noi abbiamo visto che non per sua volontà, ma, al contrario, abbastanza a malincuore il monaco scortava il ferito che gli era stato raccomandato in una maniera così strana. Forse avrebbe cercato di fuggire, se ne avesse avuto la possibilità; ma la minaccia dei due gentiluomini, i servi rimasti con loro e che senza dubbio avevano ricevuto le loro istruzioni, e infine, la stessa riflessione aveva indotto il monaco, senza troppo lasciar trasparire il suo malvolere, a rappresentare sino alla fine la sua parte di confessore, e una volta entrato nella camera s'era avvicinato al capezzale del ferito.
Il carnefice esaminò con rapido sguardo, lo sguardo particolare di chi è vicino a morire e che per conseguenza non ha tempo da perdere, la faccia di colui che doveva essere il suo consolatore ; fece un moto di sorpresa e disse :
— Voi siete molto giovane, padre mio.
— Le persone che indossano la mia veste non hanno età, — rispose seccamente il monaco.
— Ohimè ! parlatemi più dolcemente, padre mio, — disse il ferito, — ho bisogno di un amico nei miei ultimi istanti.
— Soffrite molto?
— Sì, ma è l'anima che soffre più del corpo.
— Noi salveremo la vostr'anima, — disse il giovine: — ma siete realmente il carnefice di Béthune, come diceva quella gente?
— Cioè... — rispose vivamente il ferito, temendo che quel nome di carnefice allontanasse da lui gli ultimi soccorsi che reclamava, — cioè... lo fui, ma non lo sono più; da quindici anni ho abbandonata la mia carica. Figuro ancora nelle esecuzioni, ma non sono io che colpisce, oh, no!
— Aveste dunque in orrore il vostro stato?
Il carnefice mandò un profondo sospiro.