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— Come sta il signor conte? Prova qualche dispiacere per la mia lontananza? L'hai veduto dopo che ci siamo lasciati? Rispondi. Ma io ho molte cose da narrarti, 6ai? In tre giorni ci sono accadute molte avventure. Ma che cos'hai ? Come sei pallido ! del sangue ; e perchè del sangue ?
— Infatti egli è sporco di sangue, — disse il conte alzandosi. — Siete ferito, amico mio?
— No, signore, — rispose Grimaud, — questo sangue non è mio.
— E di chi è? — chiese Raoul.
— È il sangue di quell'infelice che avete lasciato all'albergo, e che è morto fra le mie braccia.
- Fra le tue braccia! quell'uomo? ma sai tu chi era?
— Sì, — disse Grimaud.
-— Ma egli era l'antico carnefice di Béthune!
— Lo so.
— Lo conosci?
— Lo conoscevo.
— Ed è morto ?
— Sì.
I due giovani si guardarono in faccia.
— Che volete, signori, — disse d'Arminges, — è la legge generale, e, per essere stato carnefice, uno non può esentarsene. Da. quando io vidi la sua ferita, pensai subito male; e, voi lo sapete, era pure la sua opinione, se domandava un monaco.
A quella parola di monaco, Grimaud impallidì.
— Orsù, andiamo a tavola! — disse d'Arminges, che come tutti gli uomini di quel tempo e sopratutto della sua età, non ammettevano la sensibilità tra due portate di cibi.
— Sì, signore, avete ragione, — soggiunse Raoul. — Animo, Grimaud, fatti servire; ordina, comanda, e quando ti sarai ristorato, discorreremo.
— No, signore, no, — rispose Grimaud, — non posso fermarmi un momento', bisogna che riparta per Parigi.
— Come! che tu riparta per Parigi! tu t'inganni, è Oliviero che deve partire; tu devi restare.
— È Oliviero che deve restare al contrario, ed io partirò. Sono venuto appositamente per dirvelo.
- Ma a qual prò questo mutamento?
Non ve lo posso dire.
— Spiegati.
— Non posso spiegarmi.
Andiamo, cos'è questa burla ?