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Venti anni dopo (volume 2)

Alessadro Dumas (padre)
Fratelli Treves Editori Milano, 1929, pagine 272

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   — 54 - -
   _ Parlate, o signori, — disse il principe salutandoli;
   — prima di tutto parlate, poscia ci faremo i complimenti d'uso. Presentemente la cosa più importante per noi si è di sapere ov'è il nemico e ciò che fa.
   La parola era naturalmente diretta al conte de Guiche: egli era non solamente il maggiore di età dei due giovani, ma era puranco presentato al principe da suo padre. D'altronde conosceva da molto tempo il principe, e Raoul lo vedeva per la prima volta.
   Il conte de Guiche raccontò dunque al principe ciò che aveva veduto dall'albergo di Mazingarbe.
   Intanto Raoul contemplava quel giovine generale già tanto famoso per le battaglie di Rocroy, di Friburgo e di Northingen.
   Luigi di Borbone, principe di Condé, che dopo la morte di Enrico di Borbone suo padre, si chiamava per abbreviazione e secondo l'uso del tempo Monsignore il principe, era un giovine dai ventisei ai ventisette anni appena, dallo sguardo d'aquila, dagli occhi grifagni, come dice Dante, dal naso ricurvo, dai lunghi capelli ondeggianti in anella, dalla statura mediocre, ma ben proporzionata, con tutte le qualità d'un gran guerriero, cioè: colpo d'occhio sicuro, rapida decisione e coraggio favoloso, cosa che non gli impediva d'essere uomo elegante e spiritoso, benché oltre alla rivoluzione che faceva nella guerra colle sue nuove idee che vi apportava, egli aveva pure fatto rivoluzione a Parigi fra i giovani della corte, di cui era il capo naturale e che in opposizione agli eleganti della corte antica, di cui Bas-sompierre, Bellegarde ed il duca d'Angoulème erano stati i modelli, veniva chiamato il damerino.
   Alle prime parole del conte de Guiche ed alla direzione che aveva preso il rimbombo del cannone, il principe aveva tutto compreso. Il nemico aveva dovuto passare la Lys a Saint-Venant e marciare sopra Lens, nell'intenzione certamente d'impadronirsi di quella città e di separare l'armata francese dalla Francia.
   Quel cannone che udivano, le cui detonazioni dominavano di quando in quando le altre, erano pezzi di grosso calibro che rispondevano ai cannoni spagnuoli e lorenesi.
   Ma di qual forza era quella truppa ? Era un corpo destinato a produrre una semplice diversione, o era l'intera armata? A quest'ultima interrogazione del principe, de Guiche non sapeva che rispondere.