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Venti anni dopo (volume 3)

Alessandro Dumas (padre)
Fratelli Treves Editori, 1929, pagine 272

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   — 61 — .
   Egli difatti, aiutato da Porthos, praticava un foro, sul qual« doveva posare una delle travi traversali.
   Quel foro comunicava con una specie di tamburo praticato sotto il pavimento stesso della camera reale. Giunto a quel tamburo, che rassomigliava a un bassissimo mezzanino, si poteva con una leva e buone spalle, e quest'era faccenda di Porthos, far saltare una lastra del pavimento; il re allora si metteva in quell'apertura, giungeva coi suoi salvatori ad uno scompartimento del palco tutto coperto di nero panno; si camuffava con un abito d'operaio, già preparato, e con disinvoltura ed intrepidezza, discendeva coi quattro compagni... Le sentinelle senza sospetto, vedendo operai che avevano lavorato al palco, lasciavano passare, come abbiam detto ; la feluca era pronta.
   Il piano era stato fatto da maestro, semplice e facile, come tutte le cose che nascono da un'ardita risoluzione.
   Quindi Athos si lacerava le sue belle mani bianche e fine a togliere le pietre smosse alla base da Porthos. Poteva già passare la testa sotto gli ornamenti che decoravano la sporgenza del balcone. Ancora due oro di lavoro e vi passerebbe tutto il corpo.
   Prima di giorno il foro sarebbe compiuto e sparirebbe sotto le pieghe d'una tenda interna disposta da d'Artagnan, che si era spacciato per un operaio francese, e posava i chiodi colla regolarità del più abile tappezziere. Aramis tagliava il soprappiù della rascia che scendeva sino a terra, e dietro la quale si ergeva l'ossatura del palco.
   La luce del sole compariva sulla sommità delle case; un gran fuoco di torba e di carbone aveva aiutato gli operai a passar quella notte sì fredda del 29 al 30 gennaio; ad ogni momento i più applicati al lavoro si fermavano per riscaldarsi. Solo Athos e Porthos non avevano lasciato l'opera loro. Alle prime luci dell'alba il foro era compiuto. Athos vi entrò recando con sè gli abiti destinati al re, ravvolti in un pezzo di rascia nera. Porthos gli porse la tenaglia, e d'Artagnan inchiodò, sfoggio grandissimo ma utilissimo, una tenda di rascia nera, dietro cui sparivano il foro e quanto vi stava nascosto. Athos non avea più che due ore di lavoro per poter comunicare col re, e giusta le previsioni dei quattro amici, aveano per sè tutta la giornata, perchè, mancando il carnefice, bisognava andar a domandare quello di Bristol.
   D'Artagnan andò a prendere il suo abito marrone, e
   Porthos il suo giustacuore rosso ; quanto ad Aramis si recò