— 251 — .
— Madama di Longueville è di razza reale, madama, _ disse d'Artagnan.
— Sì, — disse la regina, — ma suo figlio?
— Suo figlio, madama, dev'esserlo pure, poiché lo è il marito di sua madre.
— E il vostro amico non ha nulla di meglio da domandare per madama di Longueville ?
— No, madama; poiché egli presume che Sua Maestà il re, degnandosi di essere il padrino di suo figlio, non può fare alla madre, per la cerimonia, un dono inferiore di cinquecentomila lire, conservando ben inteso al padre il governo della Normandia.
— Riguardo al governo della Normandia, credo di potermi impegnare, — disse la regina; — ma quanto alle cinquecentomila lire, il signor cardinale non smette di ripetermi che non vi è più denaro negli scrigni dello Stato.
— Noi ne cercheremo insieme, madama, se Vostra Maestà lo permette e noi ne troveremo.
— Continuate.
— Sicuro, madama, è così.
— Non avete voi un quarto compagno?
— Sì, madama, il conte de La Fère.
— Cosa domanda costui?
— Non domanda niente.
— Niente?
, — No.
— C'è al mondo un uomo che, potendo domandare, non chiede nulla?
— C'è il signor conte de La Fère, madama, ma il signor conte de La Fère non è un uomo.
— Cos'è dunque?
— Il signor conte de La Fère è un semidio.
— Non ha egli un figlio, un giovane, un parente, un nipote, di cui Comminges mi ha parlato, dipingendomelo come un prode fanciullo, il quale ha portato insieme al signor di Chatillon la bandiera di Lens ?
— C'è, come dice Vostra Maestà, un pupillo che si chiama visconte di Bragelonne.
— Se si desse un reggimento a quel giovane, che direbbe il suo tutore?
— Forse accetterebbe. ; — Forse!
— Sì, se Vostra Maestà lo pregasse di accettare.
— L'avete detto, signore, è proprio un uomo singolare.