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Vite degli Eccellenti Comandanti

Cornelio Nipote
Casa Editrice Sonzogno Milano, 1927, pagine 104

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   I, MILZIADE. 9
   VII. Dopo questa battaglia gli Ateniesi diedero al medesimo Milziade un'armata di 70 navi per andar contro quelle isole che avean dato soccorso a' barbari. Nella quale spedizione la maggior parte ne ridusse al dovere, ed alcune n'espugnò collii forza. Nel numero di queste fu Paro, isola per le sue ricchezze divenuta superba; la quale non potendo egli colle persuasioni riconciliare, trasse fuor dalle navi le sue truppe, cinse la citta di militari lavori, e le serrò il passo a' viveri. Quindi formate le vinee e le testuggini, si appressò più da vicino alle mura. Essendo in procinto di prender la città, avvenne, non so come, che di notte tempo prese fuoco a un bosco lontano in terra ferma a vista dell' isola. Della qual fiamma non sì tosto s'accorsero i terrazzani, e gli assediatiti, che venne in mente si agli uni che agli altri, esser quello un segno dato da' soldati della fiotta del re. Il che fu cagione che quei di Paro si distolsero dal rendersi, e Milziade, temendo vicina l'armata navale regia, abbruciati i lavori che aveva piantati, con gran disgusto de'suoi cittadini, se ne tornò in Atene con quante navi di là si era partito. Pertanto fu accusato di tradimento, come colui, che avendo potuto espugnare Paro, corrotto dal re, senza far nulla, si fosse ritirato dall'impresa. Tro-vavasi in quel tempo ammalato dalle ferite ricevute nel-l'assediar quella piazza. E perciò non potendo egli stesso far le sue difese, arringò per lui Tisagora, suo fratello. Esaminata la causa, fu assolto della vita, ma condannato in denaro, e la multa fu di cinquanta talenti, che è quanto si è speso nell'armata navale. Inabile a pagar questa somma, fu messo nelle pubbliche carceri, e vi mori.
   VII. Questi, benché fosse accusato del delitto commesso sotto Paro, pure altra ragione il fe'condannare. Imperciocché gli Ateniesi per la tirannia di Pisistrato, stata pochi anni prima, prendevan timore di qualunque cittadino che fosse divenuto potente. Milziade, dopo essere stato lungamente occupato nei governi, e nelle magistrature, non credevano che si potesse adattare a star la privato; specialmente parendo che l'assuefazione lo portasse al desiderio di sovrastare: essendoché in tutta quel tempo , che era vissuto nel Chersoneso , vi aveva sempre signoreggiato, ed era stato chiamato tiranno del paese, ma giusto come colui che non colla violenza, ma per volontà della sua repubblica, ne aveva conseguito il dominio, e colla bontà se l'era mantenuto Imperciocché tiranni stimansi ed appellatisi tutti coloro che hanno perpetuo dominio in una citta prima stata libera. Era poi in Milziade umanità somma, ed affabilità maravigliosa a segno, che 11011 v'era persona cosi bassa che a lui non