Un volo di 55.000 chilometri
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Fui ospitato simpaticamente dai reverendi Padri della Missione Cattolica, con i quali cenai, rievocando episodi del mio viaggio.
Alle 10 andai a dormire per essere svegliato alle 2 di notte. Ma per vari piccoli contrattempi non potemmo essere a bordo, e disormeggiarci prima delle 3.30.
La luce era molto scarsa, perchè la luna scemava ed una leggera foschìa era diffusa sulla terra e sulle a eque calme e silenti.
La città dormiva profondamente. Sonnecchiavano anche le imbarcazioni, immobili alla fonda nel porto. Solo due anime ansiose di rivedere la terra natia non avevano nè davano pace ai pochi pazienti che le assistevano.
Il rombo prepotente del motore, la cui eco si ripercosse sulle oscure montagne della Siria, ruppe la calma di quella notte autunnale. Alle 3.40 ero in volo.
La luna era ancora molto alta e si rifletteva sul mare in un freddo riflesso d'argento. Feci rotta alla bussola in direzione di Capo Anamur, abbandonando sulla destra la costa dell'Asia Minore.
Navigai così per circa due ore e mezzo nella grigia e fredda caligine notturna : sotto, l'immensa distesa plumbea del mare, sopra, il cielo stellato nel chiarore lattiginoso del riverbero lunare; all'orizzonte la foschìa grigia, che nascondeva il confine tra l'acqua e il cielo.
Alle 5.30 avvistai sulla destra una massa scura; era la costa dell'Asia Minore: era il Capo Anamur, il cui splendido faro lanciava ad intervalli la sua vivida luce.
Quella massa nera, greve, della terra, aveva un aspetto quasi di mistero e mi sembrava più vicina di quanto non lo fosse realmente.
Per governar bene in rottaì mi servivo delle stelle, cambiando circa ogni mezz'ora l'astro di riferimento, per tener conto della rotazione celeste. Alle 6 cominciò ad albeggiare, e alle 6.20 alle nostre spalle sorgeva il sole, affacciandosi sopra una giornata magnifica di serena calma. 17. - F. De Pinedo — Uti volo di S5.000 chilometri.