Il 5 luglio ricorre la festa della R. Guardia di Finanza, festa
nata dalle gesta compiute da suoi reparti, nelle luminose
giornate del 1918, sul sacro fiume del Piave.
E' bene, quindi parlare un po' anche di questo benemerito Corpo,
non ancora sufficientemente conosciuto.
Non è agevole precisarne l'origine. Nella storia di ogni tempo,
nella or lieta, or dolorosa storia di questa magnifica Italia
nostra, si trovano accenni ad armati somiglianti nei fini e nello
spirito agli odierni soldati dalle fiamme gialle. Monsignor
Beccaria, cappellano di Corte, li fa discendere dai veliti,
quindi dalle truppe leggere romane d'avanguardia; altri dai
pubblicani ossia dal Corpo dei cavalieri ricordati da Cicerone
come uomini amplissimi, onestissimi ornatissimi; altri ancora dai
marchesati, destinati di guardia al confine delle provincie della
Roma imperiale.
Certo l'origine è antica, come sono antiche le frontiere,
antichi i limiti dei territori entro cui ogni popolo, in
tranquilla sicurezza, svolge la propria attività, compie il
proprio ciclo, compone, nelle alterne vicende, il grande umano
poema.
Ma venendo in tempi a noi vicini, ai documenti sicuri, sappiamo
che nella smembrata Italia nostra, il primo Corpo di Finanzieri
ed ordinamento militare sorgesse in Piemonte nel 1775, sotto
Vittorio Amedeo III, con la Legione Reale leggera, che ebbe a
dare, in ogni vicenda magnifiche prove di fedeltà, di spirito
militare, di valore.
Il regno italico, prendendo a modello il famoso Corpo dei
Cacciatori Verdi, caro sovra a tutti gli altri a Napoleone,
istituiva anch'esso il suo Corpo di frontiera dalla gloria del
quale si può sicuramente far discendere la Guardia di confine
della nuova Italia.
Dalla divisa verde di allora trova spiegazione e ragione il
colletto verde nell'attuale divisa.
Nel 1861, nella patria risorta, si presentavano all'adunata con
sette divise, è vero, ma con una sola grande italiana anima e
con forti aspirazioni.
Nel servaggio avevano sempre disimpegnato il loro dovere con
onesto zelo; ma quando si trattava di operare per la patria, non
esitavano un momento a passare nelle schiere che ne propugnavano
la libertà, l'unità, la grandezza. Ed ebbero a figurare in
tutti i cimenti nazionali, riscuotendo ovunque plauso,
ammirazione, gratitudine.
L'illustre patriota Cabrio Casato, ad esempio, nel suo proclama
del primo aprile del 1848, nel governo provvisorio di Milano,
dopo le gloriose cinque giornate, di essi diceva:
"Nel giorno del pericolo non avete indugiato di ricordarvi
di essere italiani, e non solo rispettaste i vincoli fraterni ma
da prodi combatteste per la santa causa. La patria vi è
riconoscente e si compiace di rendervene pubblica
testimonianza".
Dopo la dolorosa capitolazione, il prode Luciano Manara, che ne
aveva ammirato il valore nella stessa Milano, a Brescia, sul
Monte Suello e nel Trentino, sceglieva a formare il nucleo
maggiore del suo nuovo battaglione i sette ufficiali ed i
quattrocentocinquanta finanzieri superstiti lombardi; quel
battaglione, che dopo aver pagato nuovo tributo di sangue sugli
sfortunati campi di Novara, accorreva a sostenere Roma, nella
riconquistata libertà.
E quei finanzieri di Luciano Manara erano fratelli di quei
finanzieri che stettero con il vecchio prode generale Zucchi alla
difesa di Palmanova; che bagnarono del loro sangue gli spalti di
Udine e di Vicenza; che come guide esperte e come indomiti
combattenti furono al fianco di Pier Fortunato Calvi nell'impresa
del Cadore, fulgido episodio delle armi e del valore italiano,
eternato dall'inspirato canto del primo poeta della patria
risorta.
A Roma i Lombardi trovavano già impegnati nella lotta, nella
forza pure di un battaglione, al comando del famoso maggiore
Zambianchi, i finanzieri pontifici.
Garibaldi che ne aveva grande stima, se ne valeva per le imprese
più ardite. Finanzieri quasi tutti, quantunque confusi per
ragioni di aggregazione ed anche di divisa, con i bersaglieri
lombardi e con i bersaglieri del Tebro, erano i forti di Villa
Corsini e del Vascello, erano i prodi che a Villa Spada, il 30
giugno 1849, con il loro sangue scrivevano l'ultimo meraviglioso
canto della memorabile impresa.
Dopo le epiche giornate romane seguivano il biondo condottiero
nella difficile ritirata. Formavano l'ultima pattuglia di quella
taciturna marcia leggendaria dieci finanzieri a cavallo.
Questi, adunque, erano i finanzieri dalle sette divise ma da un
sol cuore saldo italianissimo, che si presentavano a formare il
nuovo Corpo della patria redenta. E non ebbero mai a smentire,
con quelle civili, le alte loro virtù militari. E non vi fu
guerra, nella quale essi non partecipassero valorosamente, come
dalla consacrazione fattane da S.M. il Re, nel consegnare ad
essi, il 7 giugno 1914, la Bandiera di combattimento:
"Alla R. Guardia di finanza, che nelle lotte per
l'indipendenza nazionale e nella recente guerra libica diede
tante prove di valore e di patriottismo, consegno questa Bandiera
con la fiducia che saprà, in ogni occasione, gelosamente
custodirla e mostrarsi degna dell'altissimo onore che le viene
oggi conferito".
E nella grande guerra, nella quale partecipava con ben diciotto
battaglioni, la R. Guardia di finanza illuminava di nuova vivida
luce le sue tradizioni militari. Anzi come designazione del
destino, toccava proprio ad essa l'alto onore di accendere sul
ponte di Brazzano sul Judrio la gigantesca battaglia, sparando il
primo colpo contro i nemici che, avanti la mezzanotte tentavano
di compiere di sorpresa i primi atti di guerra.
Il marmo inalzato su quel posto ne avverte i passanti, e tramanda
ai venturi l'importante storico fatto. In esso si dice:
"Vedette insonni del confine - Le più avanzate e le più
sole - sempre - perché questo è il comando - il giuramento - il
premio".
Ed oggi sul gambo di quella Bandiera consegnata con tanta serena
fiducia da S.M. il Re, vi sono incisioni che rammentano nomi di
località che si inalzano sulla patria, come santuario di luce e
di venerazione.
Ma le gesta compiute nella grande guerra dai soldati dalle fiamme
gialle si possono dedurre, oltre che dai superbi giudizi di tutti
i grandi condottieri, anche dall'elenco glorioso dei duemila
caduti, dei cinquemila feriti e mutilati, dei mille decorati, e
dalle tre ricompense al valore che ornano la loro bandiera.
Dopo Vittorio Veneto le Armate gloriose si ritiravano. Non si
ritiravano le insonni vedette, i fedelissimi guardiani delle
porte d'Italia. Rimanevano con le tombe dei settecentomila eroi,
per continuare a vigilare, senza interruzione, sulla sicurezza,
sull'integrità economica e territoriale della Patria. Ed oggi
ancora, come ieri, come sempre, su ogni scoglio, su ogni torre
del paterno mare, su ogni cima ed in ogni varco delle patrie
Alpi, qualunque la stagione, il tempo e l'ora sta come aquila,
con lo sguardo aguzzo vicino e lontano, una guardia, una vedetta.
Può essere travolta dalla tempesta, soffocata dalla bufera,
sepolta dalla valanga, vinta ed uccisa dalla forza del numero, ma
fin che ha vita non piegata non distolta dalla sua consegna.
E sono oggi come ieri, come sempre, fedelissimi preziosi militi
del regime: militi d'oro in pace, militi di ferro in guerra. Ed
anche il DUCE ne ebbe ad esaltare le benemerenze dicendo ad essi
tra l'altro:
"Conosco la vostra storia del Risorgimento, della guerra
libica e della guerra mondiale rintessunta di eroismi memorabili
che non si possono dimenticare..".
E riaccompagnarono testé, per acquistarvi nuova gloria, le
gloriose Armate, lanciate dal DUCE alla conquista dell'impero. E
bagnano ancora lietamente ed abbondantemente di vivo sangue la
via del loro dovere, teso ora con novello vigore pel trionfo
dell'idea del Fascismo e dei destini della grande patria.
Quindi, nella ricorrenza della loro Festa vogliamo anche noi il
pensiero affettuoso e riconoscente a questi forti e sani,
benemeriti soldati dalle fiamme gialle, e diciamo anche non con
il nostro grande poeta-eroe, esaltatore di ogni virtù:
"...se la vostra opera è non dico misconosciuta, ma troppo
poco conosciuta, non per questo è meno nobile, meno
apprezzabile, meno gloriosa, e meno ispirata a nobilissime
tradizioni che io son fiero di esaltare"...
Umberto Adamoli
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