Berardo di Pagliara - Umberto Adamoli


Umberto Adamoli

Berardo da Pagliara

Dramma in quattro atti




PRESENTAZIONE



BERARDO Dl PAGLIARA - primo santo aprutino - nacque in un castello che s'ergeva, formidabile, in uno dei luoghi più elevati e pittoreschi dell'ampia vallata Siciliana, ricca di acque, di pascoli, di foreste.
Sin da bambino, tendente alla misticità, ascoltava pensoso i racconti dei cavalieri, che vi giungevano, chiassosi, da ogni parte. Racconti talvolta colmi di gentilezza, di poesia, d'amore; tal' altra torbidi di cattiveria, di irreligiosità, dl sangue.
Ascoltava pensoso, e quando si ritirava in solitudine non poteva non fantasticare sul male che turbava il bene. Capiva sin da quei primi anni la tristizia, di cui erano afflitti i viventi: tristizia alla quale, per il suo temperamento, mal s'adattava. Di conseguenza, seguendo le proprie tendenze, ascoltando la voce dei boschi, i consigli dei Padri del vicino convento, lasciava la casa, le promesse, le vanità del mondo, per divenire a Montecassino frate benedettino. Successivamente, ancora giovane di anni, era eletto, per la rigidità dei costumi, per la vasta dottrina, per il profondo spirito di carità, abate del convento di San Giovanni a Venere, a Fossacesia: più tardi Vescovo di Interamnia, risollevando, con la vasta opera cristianamente illuminata, lo spirito depresso dei pretuziani smarriti.
Proclamato dopo la morte, per le angeliche virtù, santo, fu sempre vigile sulle sorti della sua amata città, sempre per essa largo di protezione, generoso di grazie.
Passavano così, in alterne vicende, le generazioni; passavano i secoli, senza che mai Interamnia affievolisse la venerazione per il suo Santo.
Nel 1947, il vescovo Gilla Vincenzo Gremigni, spinto da filiale devozione, raccolse in un prezioso libro la storia del suo grande predecessore, non solo, ma volle che al suo nome s'innalzasse, in una storica contrada, chiamata proprio del Vescovo, un degno Tempio. Tempio affidato poi al cristiano zelo dei Padri Oblati di M. V., mercè l'opera attiva e appassionata dei quali si riaccendeva in quella contrada, con una più viva fede, la luce delle anime, il fuoco delle alte idealità.
Da questo risveglio di opere, di intenti, di sentimenti è nato il dramma sacro, in cui si riproducono i i momenti più vivi e significativi del Santo di Pagliara e della dolce sorella Colomba.
Dramma sacro, di anime sublimi. Dramma scritto per la nuova festa, in un proprio dolore e con commosso animo, da un devoto figlio.

Teramo, 25 maggio 1952.

UMBERTO ADAMOLI



PERSONAGGI


BERARDO, dei conti di Pagliara

ROBERTO, padre, conte di Pagliara

MONICA, madre

RAINALDO, fratello

COLOMBA, sorella

GIANGIROLAMO, ospite

MATTEO, messaggiero

FEDERICO, amico

ENNIO, amico

MASSIO (gastaldo), amico

LUCILLA, bambina


Crociati, popolani, servitori


Costumi, usi, canti e musica del tempo

Dodicesimo secolo




ATTO PRIMO


Nel castello dei conti di Pagliara, nella Valle Siciliana. Sala bene addobbata. Porte e finestre a destra e a sinistra. Altra porta in fondo. Cade la sera in una calda giornata di maggio. La primavera sfolgora in tutta la sua bellezza.


SCENA PRIMA


(Il conte, d'aspetto nobile e burbero, siede presso un tavolo, guardando una pergamena. La contessa, snella, dal viso delicato e dagli occhi dolci, ricama nelle vicinanze d'una finestra.
Dopo un poco il conte, come molestato da un pensiero, si alza, si muove, s'avvicina alla finestra che guarda la vallata, tentenna il capo.
Il sole manda i suoi ultimi raggi. Suona l'Avemaria nella chiesa del castello. Si alza pure la contessa. Tutt'e due si segnano e recitano, in silenzio, la preghiera della sera. Subito dopo).

CONTE

Voce di Dio, voce che suona per tutti, ma non da tutti ascoltata. Se si ascoltasse si potrebbe vivere un po' meglio in questo temporaneo soggiorno, su questa terra che se ha molte cose brutte, ha pure tante cose belle: la giovinezza, la poesia, l' amore, la religione.
Se noi, in questo romitaggio, assistiamo allo scatenarsi degli uragani, che sgomenta e deprime, assistiamo pure al sorgere delle aurore melodiose, che allietano lo spirito; assistiamo ai tramonti mistici, mentre le campane riempiono di suoni, come un saluto al giorno che muore, l'animo attonito e l'ampia vallata.
Ma questo bello, teneramente sublime, che dovrebbe ingentilire e santificare i cuori e le umane opere, non è purtroppo da tutti sentito. L' odio sovrasta l' amore, la perfidia vince la bontà, la spada conculca la giustizia. Ovunque distruzione e lutto.
Così oggi, così nel passato, così forse sarà sempre.
Questa è, tra il tanto affannarsi, la dolorosa verità.
Diverso è il nostro vivere, è vero, e noi, tra tanti contrasti, potremmo, nella nostra pace, considerarci felici se....
(Pausa, come se il conte fosse alla ricerca d'una qualche parola per completare la frase).

CONTESSA

(intervenendo)

Se, che cosa...

CONTE

Se una qualche nube non oscurasse, non turbasse il mio animo di padre.

CONTESSA

Nubi... Felici... Parlare nuovo. Occorre considerare, mio caro, che tutto nella vita è regolato dalla divina volontà: il corso delle ore, il tempo, la fortuna, la stessa felicità. Oggi, con la luminosità della luce, con il profumo dci fiori, con le vaghe tinte dei colori, sfolgora la primavera; domani con le nebbie, il freddo, le bufere piange, con la sua melanconia, l' inverno. Oggi la giovinezza, che canta con la gioia dei freschi anni; domani la vecchiaia, che curva e afflitta va verso il tramonto.
Eterno dramma umano! Ma lasciamo andare queste malinconie. Dimmi piuttosto le ragioni del tuo turbamento. Io non le vedo.

CONTE

Eppure una ve ne è, molto seria.

CONTESSA

(un poco meravigliata)

Seria!

CONTE

Sì, seria.

CONTESSA

Sentiamo.

CONTE

Ogni padre racchiude nel proprio seno, come la conchiglia racchiude la perla, un mondo luminoso di sogni e di speranze. Ogni padre, come sacro dovere cerca di tramandare alle future generazioni a mezzo dei figli per la continuità della stirpe, per una più bella storia le conquiste, i beni, le memorie, le glorie che discendono dagli avi. Invece...

(Pausa)

CONTESSA

(ansiosa)

Invece?...

CONTE

Invece chi, con la mia scomparsa, dovrebbe raccogliere questo sacro dovere, mi sfugge...

CONTESSA

Berardo?


CONTE

(con tristezza)

Sì, Berardo. fu molto strana la condotta di questo erede d'uno dei più antichi nomi della vallata. Appena sbocciato alla vita già cammina curvo, già vuol chiudere i petali alla giovinezza. E'un po' curiosa l' immagine, ma rende bene l'idea. Egli fugge i giuochi, le feste, l'addestramento alle armi, la compagnia degli amici e delle allegre brigate, che giungono a dare un po' di movimento a questa rocca. Fugge financo la compagnia del fratello. E' lieto soltanto quando si trova nel bosco ad ascoltare la voce del silenzio.
Non basta. L' altra sera, quando nel castello, avvolto d'ombra, tutti dormivano, se ne stava sulla torre a parlare con le stelle. Con le stelle a parlare, anzichè con il padre.

CONTESSA

Lo so, lo so.

CONTE

Credo che quella benedetta abbazia di San Salvatore gli abbia un po' sconvolto il cervello...

CONTESSA

No, no, Roberto. Berardo va al convento, è vero, ma per ragioni di studio, per l'educazione religiosa, che nel vivere è pur tanto necessaria.

CONTE

Tu sei sempre buona, pronta sempre a difendere i figli. E' umano, giusto. Ma devi convenire che Berardo vive tra noi come un estraneo, con la testa sempre nelle nuvole. Siamo in alto, vicino alle nuvole, è vero, ma queste nuvole non dovrebbero intiepidire il cuore, nè far dimenticare i doveri sacri, come è sacra la vita. Berardo, come primogenito, ne ha tanti di questi doveri.

CONTESSA

Non capisco queste tue preoccupazioni. Questo nostro ragazzo ha, senza dubbio, tendenze mistiche, disdegna il chiasso, riprova le vanità mondane, ma sino a questo momento non ha ancora commesso atto che possa far credere a una ribellione ai voleri del genitore.

CONTE

Volesse il cielo. Io invece credo che Berardo si stia preparando, con l' ausilio dei padri Benedettini, a prendere il volo per luoghi lontani.

CONTESSA

Per farsi religioso?

CONTE

(flemmaticamente)

Per farsi religioso...

CONTESSA

Nulla di male...

CONTE

(interrompendola con vivacità)

Come nulla di male!

CONTESSA

Nulla di male, chè se ciò avvenisse, il fatto rientrerebbe nelle tradizioni della famiglia.
Il vescovo Odorisio, già abate del convento di San Giovanni a Venere, non era uno dei vostri? Se egli partisse, Rainaldo, d' altro temperamento, ne potrebbe prendere degnamente il posto.

CONTE

(sempre con vivacità)

No, no. Le tradizioni, di cui le famiglie storiche sono gelose, non sopportano offese, di nessun genere. Vada Rainaldo monaco. A Berardo lo scettro dei conti di Pagliara.

(S' ode un suono lento d' arpa, che giunge nella notte, da una stanza del castello. Il conte, commosso, scuote mestamente il capo).

Anche questa benedetta figliuola turba i miei sonni. Rifiutare chi per bellezza, bontà, titoli superbi poteva renderla felice e rendere felice un padre! Anch' essa,
e i segni sono evidenti, aspira al silenzio d'un qualche
convento. La vita sua s'accorda con quella di Berardo:
s' appartano, chiacchierano, rimangono la sera a rimirare
il firmamento, pregano.
Io sono credente, di fede ferma, ma non avrei voluto che la mania religiosa penetrasse così prepotentemente in questo castello, che già fu dimora di valorosi guerrieri, che ebbero pure a combattere per la Chiesa.
Ecco il compenso che dopo tanti sacrifici, tante trepidazioni, tante speranze, si raccoglie dai figli.

CONTESSA

Ma che dici Roberto. Non vorrei che tu, nella tua agitazione, anche se giustificata, cadessi in eresia. Non è mania la luce con la quale la religione illumina e riscalda l' umano animo. I tempi mutano e i figli hanno pure propri diritti. La solitudine, il canto largo e divino dei boschi, hanno favorito l' ansia mistica di questi nostri figliuoli, ecco tutto. Poi, tra tanti smarrimenti, non è male che qualcuno, con una vita religiosamente austera, tenga accesa, come le antiche vestali, la fiamma delle alte idealità e della purezza.
Chi sa che un giorno questi nostri ragazzi, con le loro manie, come tu dici, non debbano far parlare per la santità della loro vita.

BERARDO

Illusioni! Illusioni!



SCENA SECONDA



(una fantesca, che entra)

I giovani conti Ennio e Federico, che sono qui fuori, desiderano....
CONTE
(interrompendola)

Ma fate entrare, fate entrare.

(I giovani, accompagnati per un tratto dalla fantesca, entrano. La fantesca si ritira).


ENNIO

I nostri rispettosi omaggi alla gentile contessa e al signor conte...

CONTE

Sempre amabili i nostri giovani amici. Quali novità?

FEDERICO

Siamo qui per avere vostre notizie e anche per invitare Berardo a una delle nostre cacce, sulla montagna.

CONTE

A una caccia? Impresa non facile il condurlo con voi. Non sapete come Berardo vive? A ogni modo tentate.

ENNIO

Vorremmo, perciò, parlare con lui... Ah eccolo!

(Mentre Berardo entra i giovani gli vanno incontro, festosi. Berardo si mostra serio, austero).

FEDERICO
O Berardo, amico dei boschi, hai inteso? Domani con noi, almeno per una volta, a una allegra partita di caccia.

BERARDO
Grazie, ma non vengo.


ENNIO

Non vieni! Come non vieni! Su, via. E' ormai tempo, anche per le tue condizioni, di muoversi, di entrare nell' umana convivenza, che ti desidera, che ti aspetta sì con i suoi diritti, ma anche con le sue feste, i suoi svaghi, i suoi godimenti.

BERARDO

(sempre turbato)

Non vengo e vi prego di non insistere.

FEDERICO

Sta bene. Ma non comprendo come, nello sfolgorio della primavera, si debba vivere nella freddezza dell' età canuta. Vieni, vieni e vedrai, con il suono dei corni, i latrati dei levrieri, il rincorrere la preda, quanti svaghi offre ancora la vita. E delizioso è il riposo, dopo la fatica, in compagnia di dame gentili e damigelle, tra fiori e acque, che cantano poesia.

CONTE

Ascolta, ascolta, Berardo, coloro che portano qui con la giovinezza, la fiamma, il canto della vita.

BERARDO

Io non ascolto padre, e perdonatemi, che solo quelle voci che trovano corrispondenza nel mio spirito, illuminato da ben altra luce, scosso da ben altro canto.

FEDERICO

(rivolgendosi a Rainaldo che vede apparire sulla porta

Ma saremo ascoltati da chi ha ben altro concetto del vivere. E' vero, amico Rainaldo?

RAINALDO

Non comprendo. Spiegatevi.

ENNIO
Per distrarlo dalle sue fissazioni, come amici, volevamo condurre domani Berardo sulla montagna, in festosa compagnia, in cerca di camosci, ma egli rifiuta.

RAINALDO

E', in fondo, coerente a sé stesso. Altri ideali sembra che illuminino, riscaldino la sua mente, il suo cuore.

FEDERICO

Povero amico! Nulla ha perduto di quando era fanciullo. Ma verrai tu, come sempre, a godere le gioie delle giovinezza, che Berardo rifiuta.

RAINALDO

Verrò, verrò.

ENNIO

Domani I boschi di monte Infornace risuoneranno dei trilli delle più belle dame e damigelle, che vi giungeranno da ogni parte, e dai canti che noi uniremo, nel nostro godimento, al mormorio delle acque, al canto del bosco.

FEDERICO

Una vera gioiosa festa, della spensierata giovinezza.

ENNIO

Anche Berardo è giovane.

FEDERICO

Di età, non di sentimenti.

(rivolto ai genitori)

Perdonate il nostro ardire.

CONTE

E' la verità, purtroppo.

ENNIO

(a Rainaldo).

Allora a domani, con l'aurora.

(Ossequiati il conte e la contessa, accompagnati da Rainaldo, i giovani se ne vanno).

FEDERICO

(passando vicino a Berardo, con pietosa aria)

Povero amico!

BERARDO

(con umiltà)

Poveri voi!

CONTE

(usciti i giovani redarguisce, con modi aspri, il figlio)

Perché hai rifiutato? Non sono niente affatto contento del tuo modo di vivere: l'ho detto or ora a tua madre. E' tempo di finirla con i boschi, i conventi, le notturne contemplazioni. Se vi dovessi continuare, per ricondurli sulla via del tuo dovere, non esiterei a usare i diritti che mi derivano dall'autorità di padre.

CONTESSA

Calma, calma, Roberto...

CONTE

Calma... Si... Ma dì a questo tuo figlio che egli è e cosa deve fare nella vita.

(Si riode il suono dell'arpa, interrotto per poco).

CONTESSA

Berardo, renditi conto dell'angoscia di tuo padre. Considera le sue aspirazioni... I suoi disegni per la continuità delle più belle tradizioni della nostra famiglia.

(rivolgendosi a Roberto).

Andiamo, andiamo Roberto: andiamo da Colomba a calmare le nostre preoccupazioni.
Vedrai, vedrai Roberto che, con una maggiore comprensione, la pace rientrerà nel nostro cuore. Tu ritroverai tutta la tua serenità.

CONTE

Si... Si... Serenità.

BERARDO

(appena fuori i genitori, costernato, chiama)

Padre! Padre!

(ma il padre, fuori ormai, non risponde).



SCENA TERZA



BERARDO

(rimasto solo e afflitto, ascoltando il suono dell' arpa)

Santa sorella! Soltanto tu mi hai saputo comprendere. Colomba di nome, Colomba di fatti. Limpida come l'acqua che discende, con lieve mormorio, dalle rocce del Gran Sasso; luminosa come la stella del mattino; mistica come l' aurora. Talvolta il cielo si compiace di mandare sulla terra, a testimonianza della sua perfezione, qualcuno dei suoi angeli. Colomba è uno di questi angeli.

(rivolgendo quindi la parola a Rainaldo, il quale, tornando,
si è fermato, in ascolto, sull' uscio)

E' vero, fratello?

RAINALDO

(che avanza)

Sì, è vero: Colomba è una santa e benedetta essa sia che con la sua grazia, la sua innocenza, la sua fede apre il cuore a tutte le gioie, a tutte le speranze. Ma osservo, e con rammarico, che da qualche tempo nubi avvolgono la casa dei discendenti dei conti dei Marsi. Talvolta ombre piovono sulla povera vita, che fanno deviare dal giusto cammino; tal' altra anche la troppa luce, che abbaglia, conduce allo smarrimento. La via a te assegnata dalla tradizione, non è quella che tu vuoi percorrere, fratello. Il padre vive in questi giorni, per il tuo procedere, e tu lo sai, ore di tristezza. Desisti, fratello, per la pace della famiglia, dai tuoi disegni. Il Cielo, ovunque si militi, quando si compiono opere buone, si può sempre conquistare.
La famiglia, dono di Dio, è bella come è bella la religione, la poesia, la santità; come è bello il canto. L' atto che tende a tenere in vita la Creatura, per inalzare l'inno di gloria al Creatore, non dispiace al cielo.

BERARDO

Anche nelle tue parole sento il rimprovero che mi è stato inflitto, poco prima, dal genitore. E' vero, fratello, che è dovere cristiano di mantenere in vita la vita, come si mantengono gli affetti nel cuore, la lampada nel tempio. Ma è anche dovere, maggiore dovere, raccogliersi in silenzio e pregare. Pregare per quelli che non pregano; pregare per quelli che hanno smarrito la retta via; pregare per quelli che offendono il Signore.
Ogni uomo, bene o male, ha un suo ideale. Io ho l' ideale di combattere, con la preghiera e con la penitenza, lo spirito del male.
Poi, perchè tanto rammaricarsi? Io non sono solo.

RAINALDO

(che ha capito l' allusione del fratello, l' interrompe)

No, no, Berardo. Non intendo usurpare il posto che non mi spetta. A ognuno, per non errare, i propri doveri, i propri diritti. Poi anch'io ho una mia idea: fra giorni, con il consenso paterno, lascerò questi monti, forse per non più tornarvi.

BERARDO

(con meraviglia)

Ma che dici, fratello!


RAINALDO

Dello spavento della fine del mondo del mille e non più mille non è rimasto che un pallido ricordo. Alle processioni di penitenza, nel risveglio religioso, come tu sai, seguirono le compagnie dirette a liberare, dagli infedeli, il Sacro Sepolcro. Io andrò a far parte, anche per l' onore della famiglia, di una di queste compagnie.

BERARDO

Anche i tuoi intendimenti concorrono, fratello a costituire il nuovo ordine.
I nostri, giunti dalla Marsica in questo castello, vi ebbero a compiere, per affermarvisi, atti di valore, di generosità, di umanità; ma ebbero pure a imporre, con la forza delle ambizioni, la superiorità delle loro attitudini, non sfuggendo alle luci e alle ombre, con le quali si alterna l' umana operosità. Ma oggi a tale storico ciclo altro ciclo subentra, che vorrà solo significare, per tutti: lavoro, preghiera, giustizia, fratellanza, pace.
Credo che ciò sia stato da te ben compreso. Sarai ancora l'uomo d' armi, è vero, non più per commettere soverchierie, ma per andare a rivendicare, in una luminosa visione, la terra bagnata, per la nostra redenzione, dal divino sangue.
Non posso quindi non approvare il consenso paterno, ma nel medesimo tempo non posso, fratello, spegnere la fiamma che misticamente arde nel mio cuore.

RAINALDO

L' epopea dei conti di Pagliara, di questa antica famiglia, va in tal modo verso l' ultimo canto, canto illuminato però dalla luce della fede che mai tramonta.

(Si riode il suono dell' arpa, che taceva. Berardo e Rainaldo, in dominio di melanconici pensieri, chinano, commossi, il capo).



CALA LA TELA






ATTO SECONDO

SCENA PRIMA


(Nella sala del primo atto. La contessa, seduta presso un tavolo, legge in una pergamena. A un lieve rumore si volta e vede avvicinarsi, mesto, Berardo).


BERARDO

Madre mia, mia dolcissima madre!

CONTESSA

Berardo... figliuolo mio caro... Leggo nel tuo volto i segni di una profonda sofferenza...
Oh! se potessi toglierti dal cuore ogni pena e ridarti il sorriso della spensierata fanciullezza. Ma come posso liberarti dal tormento del tuo spirito?

BERARDO

Col comprendere il mio stato e col dirmi la tua parola di conforto. Il padre, e ciò maggiormente mi addolora, continua a guardarmi con aria di rimprovero.

CONTESSA

Non per malanimo. Egli, come legge sacra, considerava in te l' erede che doveva raccogliere e tramandare ai tardi nepoti il nome dell'antica casata dei Pagliara. Tu, invece da altro spirito mosso, cammini verso altra meta.

BERARDO

E' vero, e al rimprovero paterno sembra che altre voci giungono a me, come provenienti dalle tombe degli avi. Ma mentre, in pena, ascolto quelle voci, altra voce di ben altra forza giunge pure a me a rasserenare, a pacificare, a placare il tormentato mio spirito.
Dolce è, madre, quando torbidi istinti umiliano l' umanità, ascoltare la voce del Signore. Anche se non vi fossero nell' oltretomba premi particolari, è sempre grande gioia giungere al trapasso guardando sereno il ciclo, al quale si è ubbidito.

CONTESSA

Santo è il tuo parlare, figliuolo.

BERARDO

(inginocchiandosi per poco dinanzi alla madre)

Tu madre buona, che mi hai educato, che hai seguito, con bontà, l' evoluzione del mio spirito, che hai a me donato, con la vita, un po' della tua anima eletta, mi comprenderai, mi benedirai, ancora una volta, nell' ora penosa del distacco. Io debbo andare. Domani all' alba, sollecitato dagli eventi, lascero' questo caro luogo natio.

CONTESSA

E dove andrai, figliuolo...

BERARDO

Dove andrò non so ancora con chiarezza. Ho inteso parlare, dai padri Benedettini del vicino convento, d'una antica abbazia, collocata sulla sommità d'un colle, verso mezzogiorno, che ha per regola il silenzio, per pratica la meditazione, lo studio, il lavoro. Se vi giungerò, in quella abbazia arresterò il mio cammino.

CONTESSA

(guardando il figlio con tenerezza)

Ti benedico, figliuolo. L' affetto di madre avrebbe desiderato che voi tutti foste rimasti a confortare la solitudine e gli anni desolati della nostra vecchiaia, che s'avvicina senza fermarsi. Tra non molto questo nido ove cinguettaste come uccelli, rimarrà vuoto, desolatamente vuoto. Voi, nella vostra esaltazione. non potrete mai comprendere la ferita che, con la vostra partenza, aprirete nel nostro povero cuore.
Non m'illudo. Dopo te, dopo Rainaldo, anche Colomba spiccherà il mistico volo. In questo abbandono, nell'uggia dell' inverno, tra poco, io e tuo padre, sederemo attorno al caminetto, soli e afflitti ad attendere l'ultimo giorno. Penosa visione. Ma nessuna protesta, nessuna ribellione alla volontà divina. Se a voi sarà concesso di fare un po' di bene in questo tempo del più grande disordine morale e religioso, andate pure, figliuoli, con la nostra benedizione. Il Signore, che tutto vede, ci aiuterà, compenserà il nostro sacrificio.
(alzandosi)

Va, figliuolo; segui con animo forte la via che il Signore ti ha tracciato. Io resterò gelosa custode di tanti dolci ricordi, e saprò, te lo prometto, essere forte dinanzi a tutti e soprattutto dinanzi a tuo padre, perchè egli possa ritrovare la sua serenità.



SCENA SECONDA



CONTESSA

(a Colomba che entra, nella sua luminosa bellezza)

Vieni figliuola...

COLOMBA

Mamma ti porto questi fiori, colti in giardino...

CONTESSA

Grazie...

COLOMBA

Mamma... Tu piangi...

CONTESSA

Il mesto dramma, che si svolge inesorabile intorno a noi, sta per concludersi. Domani Berardo lascerà, per sempre, questa rocca di fasti, di poesia, di pietà. Gli eventi, come le stelle, seguono, senza arrestarsi, il loro corso. Legge divina.
Mia figliuola, mia piccola santa, confida anche tu a tua madre, giacchè hai rinunciato al mondo, le aspirazioni, le pene che si agitano nel tuo animo di fanciulla. Parla, parla.

COLOMBA

(come inspirata)

La vita, madre, nel suo mistero, non è che una sequela di vicende, di contrasti, accanto alla gioia vi è il dolore; accanto al riso vi è il pianto; accanto alla vita vi è la morte. Chi ama il chiasso, chi ama il silenzio, chi ama la ricchezza, chi disprezza la ricchezza. Io amo la povertà, la solitudine, il canto del bosco che scuote il mio spirito assetato di cielo.

(Pausa)

CONTESSA

Parla, parla, figliuola.

COLOMBA

Non so, dopo la partenza di Berardo, che cosa farò. Forse per il tuo amore rimarrò, mamma. Forse un mattino troverai vuota la mia cameretta, e invano mi chiamerai.

MADRE

(ansiosa)

E dove andrai?

COLOMBA

Dove vorrà il Signore. Il suono che io odo nella profondità del mio animo, mi guiderà verso il mio destino. Un qualche speco, il più nascosto dei nostri monti, sarà forse la mia nuova dimora.

BERARDO

(che è stato ad ascoltare in raccoglimento in un lato, come parlando a se stesso)

Santa sorella! Anche il tuo animo è stato illuminato dalla luce, che scende dalle melodie delle stelle. Te beata!

COLOMBA

(continuando)

Ma nel distacco, mamma, e il cuore mi sanguinerà, non potrò non ricordare le tue cure, le tue veglie, le tue carezze dolcissime.

CONTESSA

Amor di madre.

COLOMBA

Amor di madre, amor di paradiso.
E con te non potrò non ricordare il genitore nella sua bontà, nelle sue ansie, nelle sue preoccupazioni per la mia felicità.

(Pausa. Rivolgendosi quindi al fratello sempre come inspirata)


Visioni di luci mi si sono affollate e mi si affollano nella mente accesa d' ardore mistico, fratello. Io tramonterò, a metà cammino, come stella non vista, nella nebulosità dello spazio. Tu invece, andando avanti, risplenderai, nelle umane vicissitudini, come stella di prima grandezza. Il cammino ti condurrà, anche contro la tua volontà, dal silenzio del chiostro ai rumori d'una città; da una cella muta a un tempio fervido di voci, di suoni, di canti.

BERARDO

(con commossa meraviglia)

Ma che dici, sorella...

COLOMBA

Sì, il tuo nome, per la santità della tua vita e delle tue opere, si ripeterà venerato nei secoli.

BERARDO

Belle le tue parole, bella la tua visione, sorella, bella come un sogno di anima eletta, ma resta sogno. All' uomo non è consentito tentennare dinanzi agli alti voleri, nella vita e nella morte. Ma per le mie qualità non potrò mai essere l'uomo suggerito alla tua fantasia dall'affetto di sorella. Io non vedo dinanzi a me, per le mie attitudini e per la mia pace, che un chiostro solitario. Più che nella folla, più che nella città rumorosa, nella solitudine meglio sento la voce di Dio, la pienezza della divinità.

COLOMBA

Nella solitudine meglio si sente l' anima divina, e noi lo sappiamo per esperienza, fratello. Ma per ristabilire sulla terra, nella sua pienezza, il regno di Dio, diversi sono gli ordini, nei quali operare. Agli uni è necessario il silenzio dell' eremo per far giungere l' invocazione all'Altissimo con la purezza delle stelle luminose; agli altri è necessaria la lotta per ricondurre sulla buona via, con la parola e con l' esempio, il gregge smarrito.
Ognuno, quindi, nella santa ubbidienza, deve accettare la stia missione.

BERARDO

Se così è, sia fatta la volontà di Dio.

CONTESSA

Veggo, figliuoli, che la vostra anima è tesa verso più sublimi aspirazioni e che nulla ormai vi può trattenere dal seguire la luminosa via del Signore. Ancora vi benedice il mio cuore di madre che mai cesserà di palpitare per voi nelle ore dolorose dell' abbandono e dell' attesa.




SCENA TERZA




FAMIGLIO

Il signor conte avverte che tra poco sarà qui con il barone Giangirolamo, giunto in visita da Interamnia.

CONTESSA

Una visita?

BERARDO

Noi andiamo, mamma.

CONTESSA

Andate pure...

(Usciti i figliuoli la contessa s' avvicina al tavolo, prende i fiori e dice quasi a se stessa)

Colomba... il fiore più bello tra tutti i fiori, anche tu lascerai questa casa per non più tornarvi...
Oh! Signore, aiutami a soffocare l'angoscia che, in silenzio, mi dilania il cuore.

(entrando il conte e Giangirolamo)

GIANGIROLAMO

(andando verso la contessa e inchinandosi)

Saluto la gentile castellana del castello dalle mille leggende.

CONTESSA

Molto cortese. Siate il benvenuto.

(indica una sedia)

Roberto molte volte parla di voi come dell' amico più caro dei lieti anni della giovinezza.

GlANGIROLAMO

Oh, lieti anni davvero!

ROBERTO

Ed è sempre gran gioia per noi averti ospite in questo nostro romitaggio.

CONTESSA

Ma non è certamente cosa dilettevole salire su questi monti, regno di silenzio e di noia.

GIANGIROLAMO

Anzi, oltre al piacere di porgere omaggio alla contessa e di riabbracciare il caro amico, è cosa assai gradevole allontanarsi dal fastidio della città corrotta.
Beati voi in questa vostra vita di purezza e di godimento. Venendo su, a mano a mano, i polmoni, invero, si dilatavano, il sangue si purificava, l'anima acquistava, nel fresco paesaggio, una gioiosa serenità. La cerchia dei monti, l'azzurro del mare lontano, la voce dei ruscelli, il canto del bosco fanno vivere qui una vita davvero di sogno.
Potessi anch' io trascorrere qui i miei giorni!

CONTESSA

Si dice così tanto per dire. Si è in città, si vorrebbe vivere in campagna; si è in campagna, si vorrebbe vivere in città. La verità è che nessuno è mai contento a questo mondo.
Quali novità portate dalla Città dei fieri pretuziani?

GIANGIROLAMO

Fieri un tempo. Oggi i pretuziani, pur di vivere, si adattano, rassegnati, al governo del più forte. Elevano inni, intonano osanna a ogni nuovo padrone. Sorte comune, d' altra parte, dei popoli schiavi.
Una certa libertà, un certo prestigio parevano riconquistati con l' arrivo del duca delle Puglie; ma con il ritorno del duca di Spoleto, le cose sono tornate come prima e, con le immancabili rappresaglie, peggio di prima.
Si pensa, tra tanta miseria, con il cuore sanguinante, al glorioso passato.

CONTE

Vi è davvero da piangere.


CONTESSA

Vicende umane! Non vi sono altre novità?

GIANGIROLAMO

Vi si continua a nascere, nel corso inesorabile del tempo, e vi si continua a morire. In queste alternative vi si svolgono tutti gli altri eventi di bontà e di cattiveria; d'amore e d'odio; di sereno e di tempesta. Ai vecchi che se ne vanno, fiaccati dagli anni e dalle disillusioni, seguono i giovani con la baldanza dell' età e delle care utopie.

CONTE

Nella Curia, che cosa vi avviene nella Curia?

GIANGIROLAMO

Che cosa volete che vi avvenga! Non sono più i tempi di Gregorio VII. Vi si va avanti alla meglio. Il vescovo Uberto è, senza dubbio, buono, ma non sfugge alle debolezze, ai difetti del tempo. Non ha, a ogni modo, quelle qualità necessarie per risollevare lo spirito fiaccato del pretuziano popolo.
E' strana davvero la condotta di questo popolo. Mentre da un lato frequenta con spirito almeno apparentemente religioso, oratori, cappelle, chiese, si perde, dall' altra parte, in pericolose licenze. Ovunque odi, tradimenti, falsità, vendette, saccheggi. Lo stesso spirito cavalleresco verso la donna e verso l'amico è quasi scomparso.

CONTESSA

E' doloroso.

GIANGIROLAMO

E' doloroso, sì. Ci vorrebbe, perciò, un Vescovo nuovo; un Vescovo che con la dottrina, la semplicità, la purità dei costumi, lo spirito di carità, e, soprattutto, con l' esempio avesse la capacità di riafferrare l' anima smarrita di questi pretuziani e ricondurla sulla buona via.

CONTE

E dove si va a pescare un tal Vescovo?

GIANGIROLAMO

Speriamo che la provvidenza, o prima o dopo, mandi questo Vescovo.

CONTE

Lo manderà quando noi non vi saremo forse più.

GIANGIROLAMO

Se non vi siamo noi, vi saranno i nostri figli.

(Pausa)

Appunto: e i vostri figli?

CONTE

(con un parlare un poco sibillino)

Sono su le rime, come le aquile, con lo sguardo lontano, pronti a spiccare il volo. Agitano già le ali, come gli uccelli che stanno per abbandonare il nido.
Non vi è pietà. Tra non molto resteremo soli a riempire di lamenti questo vecchio castello. Resteremo qui, curvi sulla nostra età, ad attendere, come i vecchi di Interamnia, la nostra ultima ora.

GIANGIROLAMO

Non lieto il caso. E la fanciulla che doveva giungere da Penne a portare a questa rocca, con la freschezza degli anni, grazia, poesia, bellezza?

CONTE

(con tristezza)

Altro miraggio attrae il cammino di Berardo.

GIANGIROLAMO

E il maritaggio di Colomba con il conte...

CONTE

(sempre con tristezza)

Nel suo tramonto non vi è stata aurora. Anche Colomba ha rinunciato alle gioie del mondo.

GIANGIROLAMO

E' ciò molto penoso per voi, non per i figli. Nella vita tutto è illusione, tutto è inganno. Il destino spesso si diverte a preparare fioriti giardini, con rosee tinte per poi frantumare, sconvolgere, a un tratto, ogni cosa, e scuotere, ferire, lacerare il nostro povero cuore.
Si va, si corre, si corre su questa povera terra, si lavora, si fantastica, si sogna, si gode magari, per poi finire, miserevolmente, in un baratro senza fondo.

CONTE

Purtroppo, è la verità.

GIANGIROLAMO

(riprende a parlare in un' aria di maggiore cupa agitazione.)

E' la verità, e di tenebre, dopo tanta luce, è stata avvolta la mia povera vita. E ora, amici, cammino, giro, penetro nei boschi, salgo sui monti, elevo al cielo i miei lamenti, senza trovare più pace.

(qualche lagrima, che si asciuga, solca il suo viso)

Perdonate!

CONTESSA

(con pietosa voce)

Sapevamo la vostra sventura, ma temevamo di parlarvene.

GIANGIROLAMO

Anch'io, in una vana illusione, temo di parlarne a me stesso. La vita, come si vede, pur con qualche squarcio di sereno, finisce con l' essere travolta dalla tempesta. Lasciate, quindi, senza rimproveri e senza pene, che i nostri figli seguano quella vocazione che solo potrà dar loro la vera pace.
Se fossi più giovane vorrei anch'io andare ad attendere il tramonto nel religioso silenzio dì un convento.

CONTE

Potete aver ragione. Ma oltre a quelli del chiostro altri doveri, per la sua continuità, impone la vita. Se Berardo, ad esempio, mettesse in atto il suo disegno, verrebbe a un tratto a distruggere le ansie, le conquiste, la gloriosa operosità degli avi.

(S'ode un canto in coro, lento, patetico, che a mano a mano s' avvicina. Rimangono in ascolto. Il conte, che s' avvicina alla finestra per guardare, scuotendo la testa, riprende a parlare. Il canto per un po' cessa)


CONTE

Altro fanatismo, altri fanatici. Ogni età ha le sue bizzarrie. Noi abbiamo quelle dei crociati. Vanno, vanno, lenti e oscuri come il destino. Vanno e cantano per confortare le ansie, le sofferenze, il peso del loro cammino. Molti, nel religioso ardore, nella disciplinata compattezza, si faranno onore; altri finiranno come ebbero a finire le cenciose turbe di esaltati che compromisero la nobile impresa di Pier l'Eremita.
Comunque gli eventi si considerino, bisogna sempre finire col dire: povera vita!

GIANGIROLAMO

E allora questa vita vale proprio la pena dì viverla?

CONTESSA

il ritornello eterno degli afflitti. Per un sereno giudizio bisogna considerare la vita nella sua realtà, e non secondo il nostro turbato stato d' animo. Bisogna considerarla, per non disperare, come si considera la natura con tutti i suoi fenomeni. E soprattutto nella sventura, per i fini ultimi, si deve saper soffrire, saper morire, senza maledire.

GIANGIROLAMO

(molto lentamente, angosciosamente)

Saper soffrire... senza maledire.

(Si riode il canto, che si va perdendo in lontananza. Rimangono ancora, muti, in ascolto. La contessa, che si è avvicinata alla finestra, apre le tende. La luce lunare penetra a illuminare lei e uno parte dello sala).


CALA LA TELA



ATTO TERZO


Nello stesso castello, in una sala a pianterreno, con armi vecchie e quadri. Dopo qualche anno.


SCENA PRIMA


(Entrano parlando un frate benedettino, che è Berardo, e Massio il Gastaldo, custode del castello).


BERARDO

(guardando attorno)

Povero castello. Tutto finisce su questa terra: ricchezza, povertà, gioie, dolori. Tutto, tranne lo spirito, che è immortale, come è immortale la divinità.

(mettendosi a sedere presso un tavolo, al gastaldo)

Sedete. Continuate il racconto, vi prego.

GASTALDO

(che ascolta commosso)

E dopo la vostra partenza parve che un velo nero scendesse a rendere fredda e tetra questa vallata. Tutti ricordavano il vostro profondo spirito cristiano, la vostra bonta', la vostra generosita' e tutti portarono, per qualche tempo, vivo nel volto il segno della mestizia. Silenzio era ovunque, cupo silenzio.
Dopo di voi partì Rainaldo vostro fratello, con una compagnia di crociati, diretta in Terra Santa.
Vostra sorella restava a confortare i genitori. Ma un mattino fu trovata vuota la sua cameretta. Aveva lasciato uno scritto tenue come un sospiro:
- Mamma perdonami. Vado. Seguo la voce del Signore. -
Pare che si rifugiasse nel silenzio d' una grotta, sull' alta montagna. Il dramma faceva sentire la sua fatalita'.
La religione è santa ma, per l' espiazione dei peccati, semina, a piene mani, di spine pungenti, la via degli uomini.

BERARDO

Cara sorella! E la mamma?

GASTALDO

Appariva calma, come rassegnata, ma dopo la partenza della figlia erano evidenti i segni dell' interiore tormento. Spesso fu vista aggirarsi sola, per il bosco, e fu udita chiamare - Colomba, Colomba. -
Il castello risuonava dei suoi lamenti. Deperiva di giorno in giorno. Non avvicinava, non ascoltava più nessuno, nella sua tristezza. Pregava, pregava.
Una sera, in un tramonto di fuoco, che incendiava la rocca, partiva anch' essa, per il viaggio che non ha ritorno.

BERARDO

Santa madre! I voleri del Signore, per una maggiore letizia in cielo, non le concessero di godere appieno le gioie terrene.

GASTALDO

Anima candida. La vallata pianse. Tutti, nella vallata, la ricordano con affettuosa venerazione. Era, nel suo profondo spirito di cristiana carità, la dea benefica, la consolatrice degli sventurati.

BERARDO

Il padre?


GASTALDO

Si diede, forse per sopire l' affanno, alla caccia. Tornava la sera alla rocca, stanco, sfinito, disfatto. Correva come folle di valle in valle, di bosco in bosco, di rupe in rupe, senza badare al pericolo. Si temeva che qualche volta uscisse e non più rientrasse. Talvolta qualcuno lo seguiva, non visto, con affettuosa pietà. Nella rocca rimaneva chiuso nel suo appartamento e nella sua tristezza.
Nell' ultimo tempo fu visto pregare a lungo nella sua cameretta.
Di sera rimaneva sulla torre, con lo sguardo alle costellazioni. Pareva che si sforzasse a penetrarne il mistero.
Partiva per ultimo e partiva bene. Ora è là, vicino alla compagna, a dormire il sonno che non ha risveglio.

BERARDO

Loro beati!

GASTALDO

Ora vi prego, raccontatemi qualche cosa della vostra vita.

BERARDO

Non e' lunga, nè avventurosa la mia storia. Vengo dal silenzio d' un chiostro, con una tempesta nel cuore. Credevo di vivere dimenticato, nella solitudine, quando molte voci, come una burrasca, giungevano a rompere la mia pace. Essendo la missione che mi si voleva affidare, fuori dei miei desideri, superiore alla mia capacità, pregai affinché si cercasse persona di me più degna, ma non mi si volle ascoltare. Essendo stato eletto all' alta dignità episcopale, come mi annunziavano i canonici, giunti da Interamnia, dal clero e dal popolo, non era lecito rifiutare.
Ebbi, nell' insistenza, a rivolgere una supplica a Roma, per esserne dispensato, a motivo della povertà del mio ingegno, dell' umiltà della mia persona, ma neppure Roma mi volle ascoltare. Mi si imponeva l' ubbidienza. Ubbidire sì, ma non confermare, con il silenzio, l' inganno.

GASTALDO

A me sembra che esageriate, nel giudicarvi. Ritengo che il popolo, nelle sue intuizioni, non abbia errato nel riconoscervi quelle qualità che io avevo capito in voi, sin dagli anni dell' adolescenza. E nella voce del popolo dovete pure sentire la volontà, la voce di Dio.
Non persistete negli scrupoli. Accettate.

BERARDO

Se rivedessi la santa sorella! Ne aveste più notizie dopo la partenza?

GASTALDO

Una volta cacciatori, penetrati nel folto della selva, videro una figura di donna, avvolta di luce. Quando, colmi di meraviglia, stavano per raggiungerla, ella scomparve, tra gli alberi, come fantasma.
Altra volta, e il fatto si racconta nella vallata come novella, un cavaliere dall' aspetto nobile, dai modi cortesi, giunse nella selva dinanzi a una grotta, che pareva avesse vita. Vita aveva la grotta. Compariva sul limitare, al rumore, una donna leggera come colomba, mistica come un tramonto. Nacque tra i due, in quella solitudine, un canto lieve, che saliva armonioso dall' anima commossa. L' uno, il bel cavaliere, esaltava l' amore, la poesia, la santità della famiglia; l'altra, la dolce solitaria, in una spirituale luce, la gioia, la bellezza, il gaudio del cielo, dei beni celesti. Ma mentre il cavaliere, vinto dall' angelica apparizione, si prostrava, ella svaniva.
Quell' angelo non poteva non essere che vostra sorella.

BERARDO

Siamo qui fuori del comune, nella luce del prodigio.

(S'odono a questo punto fuori voci numerosi. Ascoltando).

Che accade?

GASTALDO

Non so. Vado a vedere.

BERARDO

(rimasto solo si muove, guarda i quadri appesi alle pareti, osserva i guasti del tempo, tentenna il capo).



SCENA SECONDA


GASTALDO

(che rientra dopo un po')

La voce del vostro ritorno è corsa rapida per la vallata. Molti di coloro che furono al servizio del castello sono venuti, con i figli, per farvi festa. Altra gente è in cammino. Ma tra questa folla vi è un messaggiero, di nome Matteo, con una bambina, giunto da Interamnia, alla vostra ricerca.
BERARDO

Alla mia ricerca?

(rimane un po' pensoso. Dopo)

E lo so, lo so di che si tratta. Sono al mio inseguimento. Non mi salvo. Fate entrare il messaggiero. Il popolo aspetti.

MESSAGGIERO

(E' fatto entrare conducendo con se' Lucilla, bambina sugli otto anni; il messaggiero s' inchina in atto d' ossequio)

Il Signore sia con voi. Il Signore, che tutto vede e ascolta, illumini il vostro animo, renda felice la mia missione. Interamnia, che tutto sa di voi, ha sciolto a festa tutte le sue campane; ha acceso sui colli tutti i suoi fuochi; ha inalzato al cielo tutti i suoi inni per la vostra elevazione a suo Vescovo. Messi sono stati inviati, per il vostro indugio, da tutte le parti, alla vostra ricerca.
Vi prego, vi supplico, a nome del clero, a nome del popolo che con tanta ansia vi attende, di rivolgere il vostro cuore e il vostro cammino verso le città che vi invoca.
E' comune credenza che voi, primo Vescovo aprutino nella città pretuziana, accenderete nella nostra storia. tra tanto buio, una fiaccola che mai si spegnerà nei secoli.

BERARDO

Io vi ringrazio e vi confesso di essere confuso e commosso di questa vostra spontanea manifestazione di fede e di sincerità. Ma vi confesso pure che nella mia umiltà, desideravo di vivere nel silenzio, soltanto con Dio, nella natura di Dio.

MESSAGGIERO

Ma Iddio conosce i suoi figli e assegna a ciascuno, secondo i meriti, il posto di cui è degno.

BERARDO

E' vero. Ma Iddio, nella sua grandezza, lascia pure arbitro l' uomo a scegliersi il posto adeguato alla sua intelligenza, alla sua capacità. Troppa luce splende su quella vetta che si vuole a me assegnare.
No, no. Non è possibile, non è possibile. Iddio, se c'è il suo consenso, perdonerà il mio giustificato diniego.



SCENA TERZA


BERARDO

(guardando la bambina)

Chi è questa bambina?

MESSAGGIERO

M' appartiene e mi accompagna in questa mia missione. Forse pure lei vorrà dire la sua parola.

BAMBINA

Sì e voglio dire che ho fatto un sogno. I bambini sognano sempre, come gli angeli, sogni belli e io ho fatto un sogno bello. Ho sognato di trovarmi in un giardino grande, grande, dove era tant' acqua, tanto verde, e vi erano tanti fiori e tante farfalle, che volavano. Le farfalle si mutavano, poi, in tanti bambini così le ali, come gli angeli. Mentre confusa guardavo, vedevo avanzare su una strada larga larga, tanta gente con tante bandiere. In mezzo a quella gente, che cantava, vedevo un uomo alto e bello, vestito da Vescovo, attorno al quale tutti quei bambini con le ali volavano. Dall' alto piovevano fiori.
Quell' uomo, padre, eravate voi, in festoso cammino sulla via di Interamnia.
I bambini di Interamnia vi aspettano. Non tardate, non fate ancora aspettare quei bambini, che sono vispi, ma sono pure buoni e vi vorranno tanto bene.

BERARDO

(commosso accarezza la bambina)

Cara bambina, tu mi hai toccato il cuore. Vorrei venire anche per te, auche per tutti i bambini che mi aspettano, ma non ne ho la forza. Sono a ogni modo alla ricerca in queste montagne d' una santa, per il suo consiglio. Se esso sarà conforme al tuo desiderio, al desiderio del popolo pretuziano, faro' accendere fuochi, grandi fuochi sulle vette più alte dei monti in vista. Accenderete allora pure voi i vostri fuochi: io sarò in cammino, per volontà di Dio, sulla via di Interamnia.
Il Signore m' illuminerà, mi conforterà nella mia non facile missione di pastore d' anime.

(fuori la folla che attende Berardo canta in coro un canto paesano).


BERARDO

(rivolgendosi al messaggiero)

Vi prego ora di recarvi a dire a coloro che mi aspettano che tra poco sarò con essi.

(Il messaggiero esce).




SCENA QUARTA


BERARDO

(Illuminato dalla luce rossastra del tramonto si muove, guarda di nuovo lo stato di rovina del castello. Manifesta, in un soliloquio, l' accorato suo animo)

Quanta rovina! Tu rocca, che discendi dalle ambizioni, dalle passioni, dalla lotta dei secoli; tu, che ti ergesti, a volta a volta, a difesa del forte e a difesa del debole: tu, che rimanesti salda su questa altura ad ascoltare, nelle alterne vicende, la voce del tempo, i canti gioiosi e i rumori degli uragani funesti, taci oggi come persona morta.
Neppure tu, nella tua possanza, ti sei salvata dalla legge eterna del nascere e del morire.
Il chiostro aveva dato a me, nella mia ansia, pace e dimenticanza; ma in questo freddo silenzio non può il mio animo non riempirsi di voci, di memorie, di tristezza. Non posso non ricordare che qui nacqui; qui vissi in festa la tenera fanciullezza; qui intesi la parola più dolce, la carezza più morbida, della donna più cara; qui, con la soave sorella, dall' alto della torre, nelle sere di stelle, innalzai l' anima dalle miserie terrene alle dovizie del cielo.
Ed ora tu rocca, con i segni del disfacimento, stai inerte e muta, come un sepolcro.

(Fuori si riprende il canto in coro, per un poco sospeso. Berardo, con i segni dello commozione, avvolto nella penombra, dalla luce dei tramonto, piega il capo tra le mani).



CALA LA TELA



ATTO QUARTO


In un bosco di monte Infortiace, in uno spiazzo. Da un lato, ai margini, una casetta, costruita con sassi. Al suo fianco, tra il verde, scorre un piccolo ruscello, dalle limpide acque. Intorno arbusti e alberi.


SCENA UNICA


(Dinanzi alla casetta si vede Colomba, intenta a deporre fiori avanti a una croce di legno rustica.
A un tratto appare da un lato, un poco stanco, un frate benedettino: Berardo. Si ferma commosso. Guarda. Colomba, che ne ha sentito la presenza, si volta).
Il sole, che va verso il tramonto, illumina tenuamente la scena. Si ode il canto d'un usignuolo.

BERARDO

(che fa qualche basso avanti, con le mani levate al cielo)

Sorella!

COLOMBA


(allargando le braccia)

Oh, Berardo, fratello!


BERARDO

(che s'avvicina sempre più)

Il cielo ha esaudito la mia preghiera, sorella, siano rese grazie al cielo.

(S'inginocchia quasi in lagrime, dinanzi alla croce. Colomba, che appare sofferente, lo guarda con commosso affetto).

COLOMBA

Anch'io, fratello, ho pregato affinché ti rivedessi. Sto male, fratello.
Il Signore ti ha condotto qui per compiere, forse, un pietoso ufficio.

BERARDO


Il Signore m' ha davvero guidato, sorella, nel bosco senza vie. Credevo talvolta di essere vinto. Con il calar della notte ombre pure scendevano ad abbuiare il mio spirito agitato. Ma con il nuovo giorno riprendevo il cammino con nuove energie, con nuove speranze. L' ansia di rivederti alleggeriva la mia fatica: l'ansia di rivederti ma anche d' udire la tua parola e il tuo consiglio su un segno di umana benevolenza, che m'ha tolto la pace.

(Pausa)

COLOMBA

Parla, parla, fratello.


BERARDO

Ma prima che io parli narrami, sorella, le tue vicende, da quando, in quella mattinata mesta, ci separammo.

COLOMBA

Giorni ormai lontani...

BERARDO

(con mestizia)

Lontani!

COLOMBA

Mi ricordo bene, fratello, la lotta che si ebbe a combattere battere in me prima d' abbandonare la cara cameretta e l'afflitta madre. Talvolta, nella lotta, pareva che prendessero il sopravvento gli affetti terreni; tal' altra, invece, il cielo, con le sue bellezze, le sue promesse. In queste alternative sogni, incubi, tristezza. Una sera che stavo in raccoglimento sulla torre, mi parve d' udire una voce ammonitrice, per il mio indugio. Dovevo andare. Così voleva il Signore. Presi qualche oggetto, baciai la porta della stanza dei genitori e, nella notte, mi misi in cammino.
Prima d' entrare nel bosco rivolsi uno sguardo al castello, illuminato dalla luna. Lagrime calde bagnarono il mio viso, ma andai avanti. Camminai, senza stanchezza tutto quel giorno. Avevo la febbre dell' isolamento. La nuova notte mi colse nel pieno bosco. Sostai per riposare. Sentii in quel punto, nel suo mistero, la voce grande dell' universo. Pareva che tutto avesse voce in quella solitudine: alberi, fiori, erbe, acque. Sentivo di vivere in un mondo nuovo. Cullata da una musica, che mi suonava dolce in fondo all' anima, m'addormentai. Mi svegliai con l' aurora e ripresi il cammino.

(Pausa)

Ripresi il cammino e mi cibai quel giorno, i giorni seguenti e sempre, degli stessi cibi che il buon Dio elargiva a tutti gli esseri che vivevano nel bosco.
Camminai, camminai ancora. In sulla sera del giorno dopo raggiunsi una grotta ampia, profonda, ornata di stalattiti. Pareva che stesse quella grotta ad attendermi. Non andai oltre.
E là i giorni seguirono ai giorni, i mesi ai mesi.

BERARDO

E dopo, sorella?


COLOMBA

Vissi là per molto tempo. Quella solitudine mi attraeva, m'avvicinava sempre più al cielo. Mi commuovevano le aurore, nell' ora del tramonto, nella benigna stagione, pareva che con i bisbigli, i fruscii, i canti del bosco, inni di gloria s' inalzassero al Signore.

(Pausa)

Oh! Quante volte, però, ripensando al castello, alla mamma cara, mestizia mi pungeva. Lo spirito, fin che è rinchiuso nella materia, conserva sempre un po' delle umane passioni.

BERARDO

I sentimenti che si nutrono per la madre anche essi, sorella, muovono dallo spirito.

COLOMBA


E' vero. Ne intesi sempre la voce, i sospiri, il pianto. Ne intesi il trapasso Ora la cara, dolcissima madre è a godere le gioie del paradiso.

BERARDO

(con meraviglia)

Lo sapevi, sorella?

COLOMBA

Sì, lo sapevo. Appena dopo il trapasso, rividi la mamma.
Ero, nel cuore della notte, tra la veglia e il sonno, quando intesi, vicino, un lieve fruscio. Mi voltai. Vidi una figura luminosa, vestita di bianco. Ne udii la voce; ne sentii quasi la carezza.
"Colomba, Colomba, figlia mia cara".
"Mamma, mamma!".
Quando, ansiosa, tesi le mani per abbracciarla, ella scomparve.
Quella apparizione miracolosa mi è rimasta, come cosa sacra, viva nell' anima.

BERARDO

Tutto qui è meraviglioso. Rivedere la mamma...

(Pausa)

Dimmi, sorella: nessun timore in questa tua solitudine?

COLOMBA

No. I lupi, gli orsi, che spesso vedevo, potevano mangiare il corpo, fatto di carne caduca, non l' anima, che è immortale.
Un giorno rimasi, però, un poco scossa dinanzi a una scena feroce e pietosa. Tra un violento muovere di cespugli e un ruzzolar di sassi, vidi correre verso di me, con le bocche aperte e gli occhi rossi di sangue, lupi e lupacchiotti affamati. La mia ora pareva suonata. Erano a pochi passi, stavano quasi per toccarmi, quando un camoscio, comparso d' improvviso, si frappose tra me e i lupi. Il camoscio fu sbranato, io fui salva.

BERARDO

(che ha seguita con ansia la narrazione)

Veggo anche in ciò, sorella, la mano di Dio.

COLOMBA

Dopo tale episodio, abbandonai quella grotta e venni a vivere qui, vita piu' tranquilla.

BERARDO

Tu sei santa, sorella.

COLOMBA

Santa no. Ho cercato di vivere, lontano dalle insanie e dalle insidie del mondo, soltanto nel Signore e per il Signore.

BERARDO

Quanto diversa la mia dalla tua vita, sorella. Fuori del castello non ebbi il coraggio, quantunque uomo, di prendere, come tu facesti, la vera via della penitenza e della salvezza. Non una grotta dava tregua al mio spirito angustiato, ma una abbazia, famosa nei secoli. Non castigo ebbi da quella vita placida, ma premio.

COLOMBA

Non ti rammaricare, fratello, chè non si muove filo d' erba nel prato, nè foglia nel bosco, nè onda nel mare, senza la volonta' del Creatore.
Il sole tramonta. E' l' ora della preghiera.

(Arrivano uccelli da ogni parte, con lieto cinguettio).


BERARDO

(con crescente meraviglia)

Uccelli!
COLOMBA

Vengono tutte le sere, a quest'ora, per pregare con me.

BERARDO

Anche gli animali sentono la tua santità.

(Rimangono, nel raccoglimento, un po' in silenzio. Tutto intorno e' mistico).

Sento sorella che qui si vive fuori dell' umano. Voglio rimanere in questa beatitudine ad attendere, in pace, l' ultimo giorno.

COLOMBA

(come inspirata)

No. Ben altro, come già ti dissi nella giovinezza, è
per te segnato nella vita. Tutto un popolo aspetta da te la sua salvezza.

BERARDO

Se tutto sai, per la tua chiaroveggenza, il mio racconto è finito.

COLOMBA

Non è concesso all' uomo di modificare i divini decreti. La grazia che infiamma la tua intelligenza e il tuo cuore ti accompagnerà sulla via santa.
Domani sera, quando le ombre scenderanno ad avvolgere gli umani affanni, farai accendere fuochi, grandi fuochi sui colli dei Pagliara, per lanciare, a chi vi guarda con ansia, la buona novella. E andrai nella città gloriosa che ti aspetta, che ti festeggerà, che ti esalterà nei secoli.

(Pausa)

Fratello, tu farai grandi cose per la Città che, con tanta fede, ti ha eletto a suo Vescovo.

BERARDO

Meravigliose le tue rivelazioni, suggerite certo dal cielo.

COLOMBA

E sarai un grande Vescovo.
Poco dopo il tuo tramonto l' ira barbarica, vinta l' eroica difesa, si scatenerà terribile sulla tua cara città. Sorpreso nel sonno del sepolcro, tu non potrai per quella volta, che piangere sulle rovine insanguinate.
Quando qualche secolo dopo altri predoni vorranno ritentare la prova, tu ti ergerai gigantesco, unitamente alla Donna immortale, sopra i suoi spalti, alla santa difesa, e Interamnia sarà salva.

(Altra pausa)

E gli anni passeranno; passeranno le generazioni; passeranno i secoli, ma il ricordo del prodigio rimarrà sempre vivo negli interamniti.

BERARDO

Dolce sorella! Quante luminose visioni riempiono la tua mente accesa di paradiso.

COLOMBA

E un giorno lontano, molto lontano, quando altri gloriosi avvenimenti avranno resa libera e grande l' Italia, verso un piano assolato che prenderà, con un villaggio, il tuo nome, sarà a te inalzato il Tempio maestoso della glorificazione.
Molta gente accorrerà da ogni parte, in quel Tempio, a elevare a te il suo canto, a implorare le tue grazie.
Anche la mia oscura persona, per tuo illuminata, in quel Tempio, di mistica luce.

BERARDO

M'inginocchio, in venerazione, dinanzi a te, sorella.
(fa per inginocchiarsi, ma Colomba glielo impedisce)

COLOMBA

No, no. Non è lecito inginocchiarsi dinanzi a un mortale.

BERARDO

No. Ma la genuflessione è consentita quando nel mortale si sente vibrare, fuori della materia, l'anima divina.

COLOMBA

Ma quando per il mortale la vita non è più mortale.
(si arresta nel parlare, portando una mano sul cuore)

BERARDO

(con ansia)

Che hai, sorella.

COLOMBA

Mi sento male, fratello. Ho resistito sino a questo momento forse per volontà del Signore. Tu avevi bisogno ancora della parola, che ti illuminasse sulla tua vera missione nel mondo. Questa parola ti e' stata detta e io posso andarmene tranquilla.

BERARDO

(guardando teneramente Colomba)

Sorella, mia cara sorella!

COLOMBA

Me ne vado serena anche se, come sempre avviene in tutte le partenze, una qualche mestizia tocca il cuore.

BERARDO

Anche la terra è bella, sorella, quando, vivendo nella grazia del Signore, si sa renderla bella.

COLOMBA

Sì. La terra, creata e animata da Dio, non può non essere bella, fratello; ma il cielo, sede musicale e luminosa del Creatore, è ancora più bello.

(sempre più lentamente)

Me ne vado, fratello. Odo bisbigli, voci, molte voci nello spazio. Odo un canto mai udito, che accompagnerà, tra non molto, la mia anima, nella sua ascensione.

(Il respiro di Colomba si fa sempre più difficile, ma riprendendosi parla ancora con chiarezza).


Tu sei stato condotto qui non soltanto per udire l' ultima mia parola, ma anche per dare sepoltura, con la tua benedizione, al mio corpo.
Voglio rimanere in questa piccola casa, fratello, ove cantai, con gli angeli, la gloria del Signore.

BERARDO

(commosso sino alle lagrime).

Il ricordo d questa piccola casa, santa per la tua dimora, che sarà elevata a santuario, passerà nei secoli.
Andrò, sorella, a Interamnia, poichè ho sentito, nella tua parola, la volontà di Dio, e cercherò di essere degno del tuo vaticinio, della tua bontà, della tua santità.
E gli interamniti dovranno davvero un giorno, con commossa gratitudine, glorificare, nel Signore, il tuo nome.

COLOMBA

Grazie, grazie, fratello. Grazie per tutto il bene che farai a una città, a un popolo smarrito, nel generale smarrimento, ma non perduto.

BERARDO

Iddio benedirà le mie buone intenzioni. Ma dammi anche tu, sorella, come quella d' una madre, la tua benedizione.

(Pausa. Berardo osserva con angoscia la sorella che si va spegnendo).

COLOMBA

(come raccogliendo le ultime forze)

Ti benedico nel Signore, fratello, ti benedico, ti be..ne. .di..co.

(Bisbiglia ancora qualche parola. Dopo, d' improvviso, reclina il capo. Cessa la vita).


BERARDO

(in pianto)

Colomba... Sorella... Sorella...

(s'ode in ginocchio e in preghiera presso la sorella, piegata dolcemente da un lato.

S'ode intorno, in una luce crepuscolare, un cader di fiori, un bisbiglio d' uccelli e una musica lenta, dolcissima, come musica di paradiso).

CALA IL SIPARIO



EPILOGO

(Facoltativa la recita)





Nelle vicinanze di Interamnia, sui colli. Gente ivi adunata guarda verso i monti, cantando di tanto in tanto, in una evidente attesa ansiosa, i canti popolani.
E' notte. Il cielo splende, con le sue vivide stelle, nella serena calma.



MATTEO

(Il messaggiero, tornato dalla missione, racconta, su questi colli, di Berardo).

E' una figura, nella sua bellezza, davvero serafica. Mi ebbe a ricevere e mi ebbe a parlare, lassù, nello storico castello, con la semplicità di un anacoreta, con l' affetto d'un fratello.
Emanava da ogni parola, da ogni pensiero, da ogni gesto un senso di angelica innocenza, di bontà, di santità. Quest' uomo di Dio mi ebbe ad ascoltare, però, con evidente inquietudine. Ripeteva, e con sincerità, di non essere degno del posto, al quale era stato elevato dagli interamniti.

COLA

(uno degli ascoltatori)

Uomini rari: uomini che, riflettendo il cielo, sono grandi nella loro umiltà.
Ma verrà?

MATTEO

Dipenderà dal consiglio della sorella Colomba, che egli avrebbe subito ricercato sui monti, nel suo romitaggio. E se verrà, come credo, noi potremmo considerare il giorno del suo arrivo tra i nostri giorni più benigni, tra gli eventi più luminosi.

MUZIO

(altro ascoltatore)

E sarebbe luce tra tanto buio, e avremmo finalmente un Vescovo nostro, un Vescovo aprutino.

COLA

Ma verrà?

MUZIO

Silenzio...

MATTEO

(ansioso)

Che è?

MUZIO

Un fuoco

MATTEO

Un fuoco! Dove?

MUZIO

(indicando con la mano)

Là, verso i monti dei Pagliara.

MATTEO

(con maggiore ansia)

Ma dove?

MUZIO

Là... Ma... Ma... Non vedo più nulla. L'ansia mi ha ingannato.

MATTEO

Eppure gli otto giorni, fissati per il segnale, da farsi appunto con i fuochi, stanno per scadere.

COLA

Se non venisse?

MATTEO

I monti dei Pagliara rimarrebbero oscuri, come oscuro rimarrebbe il nostro spirito, delusa la nostra attesa.
Ma verrà, verrà. Non sentite questo venticello, che giunge da quei monti, un non so che di vivo, di confortevole, di mistica festosità?
Il nostro Eletto, piegato all'alto volere, si metterà in cammino con l'alba.

COLA

E sarà un cammino felice, un arrivo trionfale. Tutta Interamnia guarda con ansia verso i monti.

MUZIO

Silenzio, questa volta non mi inganno. I monti ardono.

MATTEO

I monti sono in fiamma. L'avviso è lanciato.

(tutti guardano verso i monti)

Noi felici! Si dia il segnale per l'accensione di tutti i fuochi, per il suono di tutte le campane, per inalzare al cielo tutti i nostri canti).

(Mentre si vedono ardere sui colli i fuochi della festa, e si ode il suono a distanza delle campane, un coro di gente numerosa inalza al cielo il canto dell'esultanza).

F I N E



EPISCOPIO APRUTINO

2.XII.1952

Pregiat.mo Signor Col. Adamoli,

ho letto con gusto il suo bel lavoro e mi congratulo con Lei che ha saputo delineare così aderente al vero la nobile e grande figura di S. BERARDO, nella cornice della Sua casa e nell'ambiente dei Suoi famigliari tra i quali risplende di candida luce la Verginella e Romita Santa Colomba.
Sono certo che il bel dramma, oltre a far meglio conoscere il nostro Santo Patrono, ispirerà elevati pensieri in quanti lo godranno, e questa è ben consolante ricompensa al suo lavoro, Signor Colonnello.
Voglia gradire i miei ossequi, i miei auguri, mentre le imploro le celestiali benedizioni per i meriti di S. BERARDO.

Dev.mo
STANISLAO A. BATTISTELLI C.P.
Vescovo Aprutino



PADRI OBLATI DI M.V.
PARROCCHIA DI SAN BERARDO
TERAMO

Teramo, 12 giugno 1952

Carissimo col. Umberto Adamoli,
ho sentito dalla Sua viva voce la lettura del dramma su S. Berardo, da lei scritto con penna fluida e profondo sentimento. le vicende di una vita combattiva, la sensibilità di un'anima generosa e nobile, un grande dolore possono dare accenti e vibrazioni nuove al sublime dono della parola. Così, caro Colonnello, mi è parsa la Sua voce! Quando è un'anima che scrive, quando il cuore rende caldo e vigoroso il pensiero, allora balza vivo il soggetto, che prima era avvolto nel silenzio eloquente della meditazione.
Durante quella lettura, io ho veduto un mondo medioevale, animato da cavalieri senza macchia e senza paura: un castello minaccioso, una verde vallata, la gente della gleba, che formerà il nuovo popolo italico: secondo il canto del grande Poeta della Terza Italia:
Quei che il Signor pacificò, pregando,
Teodolinda,
quei che Gregorio invidiava a' servi
ceppi, tornando nel tuo verbo, o Roma
memore forza e amor novo spiranti
fanno il comune". (Carducci)
E il comune venne, difeso contro il sopruso e lo straniero dal Carroccio della Lega Lombarda, difeso dalle spade della gioventù italica. E fu non solo il comune, ma fu l'Italia.
Ed ecco, caro Colonnello, nel suo scritto in primo piano la figura di Berardo, giovane forte e santo, che passa con suprema rinuncia dalla grandezza della Casa avita alla grandezza degli eroi del Cristianesimo. Poi... Colomba, anima angelica, tratteggiata dalla Sua penna alla maniera del poeta o pittore, che sa cantare o colorire immagini delicate dalle impercettibili sfumature.
Il padre, la madre, il fratello tengono il posto che la provvidenza e il costume dell'epoca a loro hanno assegnato: uno tutto proteso verso la gloria terrena del castello, l'altra buona e pia, il terzo buon maneggiatore di spada. Indovinatissimo, Colonnello, il suo riferimento al nuovo maestoso Tempio, voluto da un degno successore di S. Berardo, e alle vetrate con l'effige del Santo e della sorella.
Quivi un popolo buono ed onesto verrà a pregare il Patrono, per la santità della gioia e degli ideali, per la forza del dolore, per la pace dello spirito-
Gradisca, caro Colonnello, il mio grazie per il bel lavoro, ogni più bel augurio e i sensi della stima e amicizia.

Aff.mo P. ANTONIO TORRESANI o.m.v.
Parroco di S. Berardo


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