PRIMO TEMPO
Dopo molti anni, ad Oria di Valsolda, vi giunge Erio, il Bimbo di
"Veglia al Confine", prendendo alloggio nel piccolo
albergo. E' in un giardino che guarda il lago. Tempo sereno. Il
sole va verso il tramonto. Seduto presso un tavolinetto,
sorseggia un caffè.
SCENA PRIMA
GIUSEPPINA - (donna spigliata, di età matura, avvicinandosi ad
Erio) Mi vuol parlare, non è vero? Eccomi qui. Dica, dica.
ERIO - (giovanile pur nella sua avanzata età) Mi debbo
congratulare, prima di tutto, con lei per l'ottimo alloggio,
sotto ogni aspetto. Ottimo anche questo caffè, con il suo
profumo. Già, la Svizzera è vicina.
GIUSEPPINA - Ma la Svizzera, mi scusi, non produce caffè.
ERIO - Lo so, lo. Ma ne importa, di qualità pregiata, attraverso
l'Italia. Torna poi, quel che è curioso, in Italia, senza
pagamento dell'imposta di confine. Dico bene?
GIUSEPPINA - In molti casi è così. Ma l'assicuro che io
acquisto il caffè soltanto dagli spacci italiani, in regola con
le leggi.
ERIO - Cosa rara nei paesi in confine con la Svizzera. Brava.
Congratulazione per gli onesti sentimenti. (Dopo uno po') Si deve
stare ancora bene in questo piccolo mondo, un tempo tanto
ricercato e benedetto dalle anime desiderose di silenzio, di
solitudine, di pace.
GIUSEPPINA - Proprio male non si sta, ma anche qui con le nuove
ansie, le nuove passioni, la nuova operosità tutto dell'antico
è stato travolto, con gioia per gli uni, con amarezza per gli
altri.
ERIO - Mi sono reso ben conto delle innovazioni nel vedere
strade, alberghi, nuovi edifici, ritrovi lussuosi, che prima non
c'erano. Come prima non s'udivano quelle chiassose orchestrine,
ripetitrici di quella barbara musica, che ci giunge da barbare
contrade, che eccitano a balli scomposti.
GIUSEPPINA - Non è più quella musica nostra, bella nei
ballabili, nel canto, nelle sinfonie. Non più, nella nuova
educazione, quelle serenate sul lago, al chiar di luna, che con
tanta dolcezza penetravano nell'animo commosso.
ERIO - Non credevo di trovare anche qui tante novità.
GIUSEPPINA - Dobbiamo certo rimpiangere, noi di altro sentire,
quei nostri cari tempi. Dico nostri, e mi scusi, perché anche
lei deve avere i suoi annetti.
ERIO - Per lo meno, e non se ne offenda, quanto lei.
GIUSEPPINA - E perché me ne dovrei offendere? Gli anni passano,
con inesorabile puntualità, per tutti. Il tempo soltanto non
commette ingiustizie su un tale argomento, nell'ordine dei
viventi.
Mi scusi, lei, a quanto pare, è stato già da queste parti.
ERIO - Sì... Si... Non vi sono nuovo.
GIUSEPPINA - In quale tempo...
ERIO - Quando appunto non vi era qui tanto sconvolgimento.
GIUSEPPINA - Pressa a poco?
ERIO - Quando i piroscafi passavano sul lago carichi di turisti e
quando Antonio Fogazzaro, ancora sano e vegeto, veniva qua a
raccogliere, nel dolce settembre, i canti che salivano, nel
silenzio della notte, dalla mistica solitudine, dalle sospirose
acque del lago. Spesso altri sacerdoti delle sacre Muse si
univano a lui, nei rapimenti spirituali, ad elevare i canti.
Di quei sacerdoti ne ricordo uno, dalla morbida barba, che una
sera declamò all'aperto, a voce alta, versi come questi:
"Perfin contro il futuro spingi il folle ardimento?
E gridi alla tua sorte: io voglio e non pavento?
Ma non sai fanciullo, non te l'han detto ancora
Che assai lungo è il cammino, che la vita è di un'ora?
E che, prima di giungere al culmine agognato,
Avrai le mani lacere e il viso insanguinato?
Quanta verità in quei versi.
GIUSEPPINA - Non è difficile indovinare il nome di tal poeta,
che ebbe pure a conquistare, con i suoi tanti lavori, la mia
ammirazione ed il mio cuore. Ma a mano a mano, con dolore, non
vidi più tornare quei sacerdoti al piccolo loro tempio. Per il
Fogazzaro posso dire che, andandosene, non soffrì per lo scempio
fatto al suo delizioso "Piccolo Mondo Antico".
ERIO - Delizioso ma non del tutto immune da quelle passioni che
agitavano anche il cuore del Fogazzaro. Della famiglia non vive
più nessuno?
GIUSEPPINA - Sì, la figliuola Maria, che di tanto in tanto viene
ad Oria, come in un ritiro spirituale.
ERIO - Maria! Dolce creatura, anima sensibilissima, teneramente
sognatrice... Ma...
GIUSEPPINA - Ma anche cristianamente rassegnata. Mai s'udì
maledire la paralisi che ebbe a menomare la sua bellezza, a
distruggere i suoi sogni, trovando conforto nella pratica di
opere buone.
ERIO - Io che ben la conobbi, quanto mi piacerebbe di rivederla,
di riudire qualcuna di quelle melodie che suonava, con tanto
sentimento, al pianoforte, mentre il padre riempiva sul terrazzo,
al lume delle stelle, l'anima di luminose visioni.
GIUSEPPINA - Risuona, quando viene ad Oria, nella villa
silenziosa, certo con il pianto nel cuore, molte di quelle
melodie.
Ha ascoltato qualche volta quella musica?
ERIO - Spesso e non sempre solo. Una sera, e vivo ne è il
ricordo, in piacevole compagnia.
GIUSEPPINA - Con donne?
ERIO - Con tre graziose fanciulle, due brune, una bionda, appena
in fiore, dal tenue profumo.
GIUSEPPINA - Si chiamavano?
ERIO - (fissandola) Una Giuseppina.
GIUSEPPINA - (sorpresa) Giuseppina... Cara Madonna... Chi
Giuseppina?
ERIO - Colei che mi parla. Sa che conserva bene le sue fattezze?
Come mai, dopo lo studio e tanti sogni, albergatrice?
GIUSEPPINA - Vicende, necessità della vita. Fattezze poi...
Avvizzite... Sfiorite. Non bisogna illudersi. Gli anni sono gli
anni e non vi è forza che si possa opporre ai loro guasti.
ERIO - Ripeto che si conserva molto bene.
GIUSEPPINA - Ma scusi, lei chi è?
ERIO - Uno che pure viveva allora nei sogni, nelle promesse della
giovinezza.
GIUSEPPINA - Ma che faceva qui?
ERIO - Potrebbe ricordarlo. Sforzi un po' la memoria.
GIUSEPPINA - (dopo di essere stata un po' raccolta) No, non
ricordo. Me lo dica. La prego.
ERIO - Ecco. La guardia alle porte d'Italia, con molta modestia,
ma con forti propositi, con grandi speranze.
GIUSEPPINA - La guardia? Spetti, spetti (come svegliandosi) Ah!
Ora ricordo: il Bimbo.
ERIO - Ha visto? Sì il Bimbo.
GIUSEPPINA - Oh, caro Signor, chi poteva pensare di rivederla
dopo tanto tempo e tanti eventi? E quell'infortunio alla gamba?
ERIO - Ne guarii e guarito continuai a guardare alla luminosa
meta, raggiunta dopo tante ansie e tante fatiche.
GIUSEPPINA - Congratulazioni. Ne sarà stato soddisfatto, o
meglio, felice.
ERIO - Senza dubbio, poiché la vittoria mi ebbe a confermare
quanto può il valore della volontà, con esempi positivi. Ed
oggi sono più che convinto che ognuno si fabbrichi da sé, con
le proprie mani, buono o cattivo, il proprio destino.
GIUSEPPINA - E godrà, senza dubbio, di queste sue vittorie.
ERIO - Relativamente, poiché, cara Giuseppina, e mi perdoni se
la chiamo a nome, tutto è relativo a questo mondo. Si va, si
cammina, si corre anche e quando si crede di essere arrivati,
quando si vuol sostare sulle posizioni raggiunte, si avverte
ancora un vuoto nelle aspirazioni, e direi meglio, nelle
ambizioni. E si riprende, un po' deluso, il cammino. Intanto il
tempo cammina pure lui su quella via che conduce ad altre
conquiste, sì, ma conduce anche al declino degli anni. Allora
avviene, su questa cruda realtà, il risveglio, rimpiangendo il
tempo in cui si viveva soltanto di sogni, perché in quel tempo
vi era la giovinezza. Veda, Giuseppina, nonostante le conquiste
fatte, anche notevoli, vorrei tornare a quel tempo vissuto qui ad
Oria, sperduto nel buio, ma con l'aurora nell'anima fresca di
colori e di melodie.
GIUSEPPINA - Non so che cosa dirle, caro il mio Bimbo. Certo
bella cosa sarebbe se si potesse vivere sempre di sogni e di
giovinezza. (Guardando verso l'ingresso). Ecco che viene Tino,
mio fratello, già suo amico.
ERIO - Vivendo degli stessi ideali.
GIUSEPPINA - Ideali per mio fratello senza arditi voli.
SCENA SECONDA
GIUSEPPINA - (al fratello quando giunge, mentre Erio si alza).
Una lieta sorpresa. E' in visita qui ad Oria un tuo amico.
TINO - (guardando con curiosità). Mio amico? (stringendogli la
mano) - Non ricordo.
ERIO - Sì, amico.
TINO - Compagno di scuola?
ERIO - Eravamo certo amici un tempo e facevamo gite in barca qui
ad Oria, e lungo le sue rive. (Si mettono a sedere).
TINO - (raccogliendosi in sé) Aspetti... La sua fisionomia non
mi è nuova... Ma sì: tu sei il già Bimbo di Oria.
ERIO (abbracciandolo commosso). Sì, Tino, il già Bimbo di Oria,
con il rammarico di non essere più tale.
TINO - Ma con la gioia delle mete raggiunte, non è vero?
L'aspetto me lo dice.
ERIO - Mete raggiunte! Sì, ma in esse non ho trovato pace, come
dicevo poco prima a Giuseppina. Ed oggi piango, amico, con il
poeta del dolore, sulle illusioni, sulla vanità del tutto.
TINO - Povero, amico! Io, vivendo in ben altro modo, non spinsi
mai lo sguardo, i desideri, oltre la cerchia di questi monti, e
potrei dir meglio, oltre le sponde di questo nostro lago. Mai mi
attrassero, con le false luci di false promesse, le rumorose,
corrotte città del tempo nuovo. Aspiravo, con il titolo di
ragioniere, al posto di segretario al nostro comune, l'ebbi e ne
fui pago. Ed oggi, godo, con la mia famigliuola e con le mie
pacifiche abitudini, il frutto del mio studio e delle mie
fatiche.
ERIO - Beato te davvero, uomo fortunato. Ti dedicherai, senza
dubbio, anche alla tranquilla pesca.
TINO - No, non pesco. Non voglio avere il rimorso di trarre a
morte i pacifici abitatori del fluido elemento.
ERIO - Oh! Oh! San Francesco.
TINO - Non nego di essere, nello spirito e negli atti, un suo
seguace.
ERIO - Con tutte le sue laude, nell'esaltazione di ogni cosa
creata, non esclusa "sora nostra morte corporale". E'
davvero di grande conforto, amico, di incontrare persone
infiammate ancora delle sane concezioni del serafico poverello
d'Assisi: oggi che tutto è sovvertito nel concetto di proprietà,
di religione, d'arte, di razza, di patria e direi anche di cuore.
Oggi che ancora poco contano, di fronte alla bruta forza della
materia, le facoltà divine del genio, la divinità dello
spirito.
TINO - Possono essere giuste le tue osservazioni, ma non bisogna
esagerare, né disperare. Tornerà, tornerà, dopo la burrasca,
il bel tempo. Pur tra tanto torbido, rimane sempre quella
scintilla, dalla quale si sprigionerà quella fiammata che darà
nuova forza ai valori morali, ai valori spirituali, alla santità
del genio. Bando, quindi, al deprimente pessimismo. Ma lasciamo
ad altri questi spinosi argomenti e parliamo, in questo felice
nuovo incontro, delle cose nostre?
ERIO - Parlare di sè? Luci ed ombre, sempre, nella povera vita,
sereno e tempesta. Qualche cosa ho già detto a tua sorella, che
sa davvero ragionare, bene intendere. Che posso a te dire? La
musica è sempre la stessa, che le salite, come quelle degli
alpinisti, costano fatiche e sangue. Ben si è espresso Giuseppe
Giacosa, su tale argomento, quando disse: "E prima di
giungere al culmine agognato, Avrai le mani lacere e il viso
insanguinato?"
TINO - E' vero. Però tali fatiche elevano a quelle luminose
regioni sconosciute ai comuni mortali.
ERIO - Ne vale la pena quando, nella breve giornata terrena,
tutto, odio ed amore, miseria e grandezza, oscurità e gloria,
come cantano i melanconici poeti, finisce in un muto tumolo?
TINO - E questi poeti melanconici, cantori del dolore, avranno
concorso, senza dubbio, a modificare l'antico ottimismo, il
giovanile tuo sentire.
ERIO - Nelle ambizioni, non nel sentire, che freschi sono sempre
i miei pensieri, fresco il mio cuore. Ma parliamo d'altro chè
facile è amico, nel giuoco delle idee, cadere in contraddizione.
Da quando la Valsolda iniziò, con opere nuove, la nuova vita?
TINO - Da dopo la prima grande guerra, rivoluzionaria anche
nell'ordine politico, nell'ordine sociale, nel campo del lavoro.
ERIO - La prima grande guerra! Guerra giusta, sentita, santa per
noi, per le nostre ultime rivendicazioni, combattuta ancora con
alto senso di pietà, di cortesie, di personale valore.
TINO - Quanto diversa è stata la seconda grande guerra.
ERIO - Guerra di mondiale follia, nella quale caddero,
nell'infernale spirito di distruzione e di morte, con le
innocenti popolazioni e con i tesori d'arte, belle, storiche,
monumentali città. L'inferno stesso dovette inorridire di queste
atrocità senza nome. Macchia che ha reso maledetto il nostro
impazzito secolo.
TINO - Non sono stati coinvolti nelle atrocità, per fortuna, i
popoli latini.
ERIO - No, ma essi, i latini, si distinsero in altro campo, nel
dar sfogo ai loro istinti bestiali contro i propri fratelli.
Altra macchia, anche per noi, nella storia. Ma è meglio non
parlarne. Metta la pietà su essa un velo.
TINO - Allora torniamo a parlare della tua guerra.
ERIO - Nella quale cercai di fare nel miglior modo il mio dovere.
Dopo tornai, con molte cicatrici, alla comune vita. Oggi, dopo
tanti anni, come un bisogno spirituale, sono tornato dove più
vivo furono i sogni della mia primavera.
GIUSEPPINA - Dove, per tornare alle cose belle, anche se meste,
una tenera sognatrice, avvolta dalle prime fiammate, si era
perdutamente innamorata di lei.
ERIO - Anita, non è vero?
GIUSEPPINA - Si, Anita. Giacché il nostro discorso è vario, le
debbo dire che l'incontro con lei le fu fatale. Non volle tornare
più in collegio e dopo la sua partenza si chiuse in tristezza.
Rifiutava, nella sua solitudine, ogni compagnia, ogni proposta di
matrimonio. Faceva pena. Spesso fu vista, in mesto raccoglimento,
in sulla sera, seduta in quei luoghi dei loro lirici, innocenti
convegni.
ERIO - Ma la vita, cara Giuseppina, doveva seguire il suo
inesorabile corso. Certo, alcuni incontri, che si accendono poi
di così forti passioni, non dovrebbero avvenire. Il suo amore,
manifestatomi con calda ansia, mi ebbe ad intenerire ed in questa
tenerezza, prima di lasciare il lago, compii un atto, nei suoi
riguardi, di religiosa affettuosità.
TINO - (allontanandosi per un momento) Parlate, parlate. Torno
subito.
GIUSEPPINA - In che modo? Me lo dica.
ERIO - In un modo semplice anche se un po' romantico. Da
Porlezza, prima di partire per altra sede, venni ad Oria. Vi
giunsi quando l'orologio di Albogasio suonava mezzanotte. Nella
piazzetta della chiesa, dei tanti ricordi, sostai, commosso. La
villa di Fogazzaro avvolta di verde, giaceva nel silenzio. La
luna, nella mite notte di maggio, illuminava ogni cosa, vicina e
lontana, morbidamente. Le acque del lago, appena mosse,
s'infrangevano, come un lamento, sulla ghiaia, tra le barche a
riposo. La cascata di Rescia, in tanta calma, risuonava in me,
con il suo scroscio, come un pianto. Venni poi avanti, nel breve
portico, nell'ombra delle case, che si proiettava sulla strada,
fermandomi sotto la finestra di Anita. Mentre con un tacito
madrigale saliva a lei, nel sonno, mi parve di vedere muovere le
imposte della sua stanzetta. Illusione. Nessuna finestra s'aprì,
nella notte di luna, all'afflitto trovadore.
Dopo, nel tumulto dei miei pensieri, ripresi, mesto, la via del
ritorno. E con questo atto d'amore, da tutti ignorato, chiusi
quel periodo della mia primavera, per andare verso l'estate,
caldo di nuove ansie, di nuove fatiche, di nuove speranze.
GIUSEPPINA - Oh caro Signor, che mai ho inteso! Se tutto ciò
l'avesse saputo Anita...
ERIO - Meglio, meglio che l'abbia ignorato. La momentanea
fiammata aumenta sempre l'oscurità, entro la quale sfolgora. Ed
ora dov'è?
GIUSEPPINA - Dov'è? Là, sulla strada di Albogasio, nel comune
campo, all'ombra dei cipressi.
ERIO - (con ansia) Morta?
GIUSEPPINA - Sì, morta come Miranda.
ERIO - (molto commosso) Morta! Ecco la meta ultima, nella quale
si trova il vero riposo, la tregua sicura di tutti gli affanni.
TINO - (che è tornato) Ho inteso e per Anita, della quale
conosco la pietosa storia, si potrebbe dire, come il poeta disse
di Miranda:
"Tace quel cor, nell'ultimo cimento
Da te, da te, solo da te spezzato".
Non è vero?
ERIO - Povera Anita! Andrò a deporre, nella mesta ricordanza, un
fiore sul suo sfortunato amore. E Sofia... anche lei... sulla via
di Albogasio?
GIUSEPPINA - No, ma come se vi fosse. E' in casa, a letto,
paralizzata.
ERIO - Sventure sempre e sventurati su questa povera terra. Ed
ora mi parli un po' di lei, della dolce triade.
GIUSEPPINA - Dolce triade!... Caduta anch'essa, come cadono i
fiori, dopo la propria stagione. Ma basta in queste
rievocazioni... come dire...
TINO - (che interrompe) Come dire, e non è cosa nuova, che la
vita cammina, come nelle stagioni, ora nella festa della
primavera, ora nella mestizia dell'inverno. Alternative sempre di
riso e di pianto, di vita e di morte.
(A questo punto s'ode un canto in coro. I tre rimangono in
ascolto. Dopo)
ERIO - Così è per tutti, anche per il popolo. Il popolo, però,
non s'affanna in vane ricerche, non si tormenta in vane
elucubrazioni, quantunque oggi, con i tanti problemi sociali,
discussi in tutti i modi, non è più il popolo di una volta.
TINO - E' vero. Anche in questa vallata non mancano a guastargli
il cervello e il cuore, con falsi miraggi, i falsi demagoghi. Non
si ha più rispetto, neppure qui, di quegli uomini e di quei
valori spirituali ed intellettuali che davano una volta davvero
valore alla vita.
SCENA TERZA
GIUSEPPINA - (che rientra dopo un breve allontanamento) C'è di là
la Pina. La ricorda?
ERIO - Pina... Quella...
GIUSEPPINA - Sì, quella che veniva a trovarla in montagna.
ERIO - Ricordo anche lei con le sue esuberanze. La faccia
entrare, senza dirle che ci sono io.
GIUSEPPINA - Pina, vieni, vieni.
PINA - (una donna avanti negli anni, ma robusta, entrando) Buona
sera scior Segretari.
TINO - Buona sera.
(Mentre Pina va a sedere vicina a Giusepttina a parte, gli altri
due parlano sottovoce).
GIUSEPPINA - Povera Pina. Sempre al lavoro.
PINA - E' il mio destino. Debbo lavorare come quando ero giovane.
GIUSEPPINA - Povera Pina davvero. Ma anch'io, come vedi, debbo
lavorare. La fortuna non è stata troppo benigna con noi.
Pazienza. Dimmi Pina: molte cose ricorderai del passato, non è
vero?
PINA - E sì, tante cose piacevoli e spiacevoli. Si sa, quando si
è giovani, con il sangue che bolle, con il cuore che palpita,
s'intessono avventure che lasciano nel cuore tracce profonde.
GIUSEPPINA - Avventure che non mancano in questa nostra montagna,
con i giovani della caserma, che la popolano.
PINA - Già, giovani pieni di fuoco, nella spensierata età,
larghi di promesse...
GIUSEPPINA - Ne ricordi qualcuno in modo particolare?
PINA - (mentre parlano Erio segue attentamente il discorso) Come
si fa. Ne sono passati qui tanti.
GIUSEPPINA - Eppure ce ne fu uno, quando noi eravamo ragazze, che
fece girare la testa a molte figlie di Maria. Era davvero un bel
toss.
PINA - (Dopo di essere stata un po' raccolta) Ah! Quello della
povera Anita?
GIUSEPPINA - Proprio lui.
PINA - Per il quale anch'io ebbi qualche debolezza, nella mia
ingenuità. Ma perché parlarne?
GIUSEPPINA - Così, per fare quattro chiacchiere.
PINA - Ma a quest'ora sarà all'inferno, a scontare le sue colpe.
ERIO - (a questo punto, a voce alta). Già, Tino, nel giuoco
dell'inganno, vinsi io. Credeva la scaltra, d'accordo con i suoi
amici notturni, di giocarmi con le sue moine, con le sue carezze
e, diciamolo pure, con i suoi baci, fu invece giuocata lei e
furono giuocati i suoi mal consigliati amici.
TINO - Spesso la povera donna è pedina nelle mani di uomini
senza scrupoli. Pericolose, certo, sono le mani morbide che
sfiorano il viso, come le labbra che sfiorano le labbra.
ERIO - Creando, in taluni casi, il romantico e il drammatico.
TINO - In che modo?
ERIO - Come è nel vivere, nella gioia e nella mestizia.
Romantico. Tiepida aria, nei verdi boschetti, nel sole estivo.
Trilli d'insetti; canti d'uccelli; fruscii di foglie; lamenti
lievi di acque, negli ombrosi valloncelli. Silenzio di uomini.
Carezze, idillio di giovinezza, nella dolce dimenticanza.
Drammatico. Cade sulla neve altra neve. Precipita, sul ripido
pendio, la valanga. La volpe affamata risale, con fatica, dal
fondo valle; vola con lentezza, di picco in picco, il nero corvo.
Uomini si muovono, in quel bianco palcoscenico, come attori, con
molta bravura. Ad un tratto la scena muta. Precipita altra
valanga. Una parte di quegli uomini ne è travolta. Generosità
tra essi anche nemici. Un'attrice che, in quella recita, ha avuto
una prima parte, urla, impreca, maledice. Un attore, che
rappresenta la legge, ne è colpito. L'attrice fugge. La neve
continua a cadere.
TINO - E bravo al poeta, dal verso sciolto. Ne hai fatto un
qualche componimento?
ERIO - No, no. La poesia io la serbo per me, nel mio animo. Amo
però e molto o poeti.
TINO - In quel lavoro romantico o drammatico vi era anche una
donna?
(Mentre i due parlano Pina ascolta con molta attenzione).
ERIO - Sì, e quasi protagonista.
TINO - Di Oria?
ERIO - Quella stessa dalle morbide carezze, dai capelli bruni e
dal pallido viso.
PINA - (in un sospetto indicando Erio) Ma chi è?
GIUSEPPINA - L'attore rappresentante la legge.
PINA (con opportuna mimica) Lui, il Bimbo? Cara Madonna!
SIPARIO
SECONDO TEMPO
SCENA PRIMA
Nel medesimo giardino del giorno prima, verso il tramonto. Seduti
presso un tavolinetto, con una bottiglia di birra e bicchieri
avanti, vi sono ancora in conversazione Erio e Tino.
ERIO - Certo, molta emozione si prova nel rivedere, dopo tanti
anni, luoghi in cui si visse una movimentata giovinezza. Ho
rivisto, sulla montagna, i valloncelli, le grotte, i boschetti,
nei quali mi raccoglievo per rimanere solo con me, con la mia
anima, con i miei pensieri e con quei poeti che mi trasportavano,
con il volo della loro infiammata fantasia, in beate, azzurre
regioni. Talvolta nel placido assopimento, mi pareva appunto che
il mio spirito navigasse attonito sulle onde musicali, del
musicale infinito.
Ciò in poesia. Nella prosa allegra ho rammentato che un Natale,
essendo rimasto in montagna senza viveri, mi ebbi a sfamare con
un po' di polenta ammuffita, trovata in una baita, rifugio estivo
dei valligiani.
TINO - Polenta ammuffita il giorno di Natale! Poveri custodi
delle porte d'Italia.
ERIO - Niente povertà, ché fa pur piacere talvolta uscire dalla
comune comoda via.
TINO - Facendo la vita ricca di episodi.
ERIO - Episodi ora piacevoli, ora drammatici, come nel teatro.
TINO - E sarebbero?
ERIO - Vi furono in quella vita come sopra ho ricordato, episodi
gentili, di piccoli idilli in silenti boschetti, al canto dei
merli. Lievi trilli, nella primavera in festa, sospiri di lirici
poeti. Ma rammento anche episodi degni dalla fantasia di altri
poeti, certo non lirici. Eravamo una notte di sospetto in
appostamento, tesi, nella vigilanza, a scrutare le tenebre.
Grossi nuvoloni, nella notte nera, correvano lo spazio senza
confine. Ad un tratto grandi lampi rompevano l'oscurità, seguiti
da tuoni fragorosi. Si levò d'improvviso il vento, cadde furiosa
la grandine. I fulmini, come la grandine, colpivano con violenza
gli alberi, ne schiantavano i rami. I valloncelli si gonfiavano
d'acqua. Pareva la fine del mondo. La morte incombeva su di noi,
rannicchiati nei sacchi a pelo. Una volpe, in fuga scomposta,
destava più viva la nostra attenzione. Gli uomini della frode,
approfittando del nubifragio, che dava ad essi maggiore
sicurezza, apparvero, come fantasmi, ai nostri occhi. Un balzo,
un urlo, una intimazione. Breve il parapiglia, nella notte
tempestosa, nostra la vittoria.
TINO - Altro vero dramma, degno di teatro.
ERIO - Di teatro sì, ma di altri tempi. Non ne vogliono più
sapere oggi di simili lavori. Gambe nude vuol vedere, con le
nuove tendente, la nuova generazione, sui palcoscenici; movenze
di seni e di fianchi, negli scomposti movimenti; trivialità nel
linguaggio; urli epilettici nel canto; fracasso nelle orchestre
di esotica barbara musica. In tutto oggi, nel mondo latino, è
sovvertimento almeno per noi anziani di altro sentire, di altra
scuola. Di quella scuola che ebbe a dare ai viventi, con i suoi
uomini sommi, opere di perfetta eterna, bellezza.
TINO - Mi pare, amico, che, contrariamente a certe regole, stiamo
un po' troppo divagando.
ERIO - E' vero, ma come si fa a seguire ordine in un dialogo tra
due amici, che si riveggono dopo tanti anni e tanti eventi?
TINO - (guardando verso l'ingresso, indica un uomo che entra,
robusto ma avanti negli anni) Ecco uno dei nostri tempi, ben
conosciuto per le sue ardite gesta di confine. Lo riconosci?
ERIO - Non è facile riconoscere un paesaggio visto in fiore,
rivisto sconvolto dalla bufera del tempo.
GIUSEPPINA - (rientrando col vino) Come la va el mi Giacomin? Non
si è fatto più vedere. Perché?
GIACOMIN - Cosa la vuol, sciora Giuseppin. Si sta meglio lassù a
Castelli, non molestata ancora da tante non piacevoli novità. Il
mondo a quanto pare cammina verso il manicomio.
GIUSEPPINA - Altri dicono che cammina, invece, verso il naturale
progresso, verso la vera civiltà. A chi credere? Certo, anche
noi di quaggiù rimpiangiamo il passato, la vita di serenità e
di silenzio che si viveva in questa nostra Valsolda. Come vivono
ora a Castelli?
GIACOMIN - In ozio. Noi vecchi, appunto per l'età, siamo a
riposo; i giovani hanno poca volontà di lavorare. Capisco che i
tempi, per certi mestieri, sono divenuti più difficili.
GIUSEPPINA - Sicché, per certi lavori, si stava meglio prima.
(Mentre gli uni parlano, gli altri ascoltano molto attentamente).
GIACOMIN - A secondo i casi. Una volta anche a noi fu dato filo
da torcere da un baloss della terra di laggiù, angelo d'aspetto,
demonio di fatti. Godeva proprio nel rovinar la gente.
GIUSEPPINA - Come rovinar la gente! Faceva il suo dovere, anche
se con troppo zelo. Come si chiamava?
GIACOMIN - Non rammento bene il nome. Rammento che lo chiamavano
Bimbo.
GIUSEPPINA - Il Bimbo! Ah! Ah! Lo ricordo anch'io. Era davvero un
bel toss.
GIACOMIN - Sì, ma, ripeto, demonio.
GIUSEPPINA - Incontrandolo lo riconoscerebbe?
GIACOMIN - Difficile, dopo tanti anni. Ma sarà ancora in vita?
TINO - (che con Erio ha seguito il discorso, avvicinandosi)
Ammettiamo, caro Giacomin, che sia ancora in vita, ed in questo
momento in Valsolda, incontrandolo come ti comporteresti?
GIACOMIN - Chi lo sa. Risentimenti vivi proprio non ne ho. Ognuno
allora faceva il proprio mestiere, nel miglior modo, con le
sconfitte e con le vittorie.
TINO - Bravo. Ciò significa di ragionare bene. Ed ora ti dico
che il Bimbo è ancora in vita, vegeto e non lontano da qui.
GIACOMIN - Ma davvero? Gl'è tornai ancora insci?
ERIO - (che intanto si è avvicinato) Sì, sono tornato ma non più
per rubare i sacchi, nella santa ruberia.
GIACOMIN - Oh! Chi poteva credere di rivederla qui ed ancora in
buone condizioni, nonostante il tempo passato. La rivedo proprio
volentieri. (Si alza rispettoso e gli va a stringere la mano).
ERIO - Ciò significa che non lasciai qui rancori.
GIACOMIN - No. Era un baloss, ma onesto, ciò che noi molto
apprezzavamo.
ERIO - Facevo semplicemente il mio dovere, caro Giacomin.
GIACOMIN - Anch'io facevo il mio dovere, dovendo a qualsiasi
costo procurare pane alla mia famiglia.
ERIO - Con atti però non leciti, vietati, in altre parole, dalla
legge.
GIACOMIN - Ma si osserva da tutti questa legge? Che ne dice lù,
scior Segretari...
TINO - Per me le leggi, comunque si considerino, vanno
rispettate.
ERIO - Argomento, quello del rispetto, non bene sentito,
purtroppo, dal contribuente, dal popolo italiano... Ma parliamo
d'altro. Parliamo di quei drammi che si svolgevano, e certamente
si svolgeranno ancora, al confine.
GIACOMIN - Drammi che si concludevano per noi talvolta in festa,
più spesso in tristezza.
ERIO - Ne rammenta qualcuno di scena più viva?
GIACOMIN - I tentativi di passaggio, come ben sa, di notte, sul
ciglio di dirupi, nel fitto dei boschi senza sentieri, in gara
con i camosci, nella neve senza tracce, erano per noi di ansia
mortale.
Mi tolga una curiosità. Come fu tesa la trappola, entro cui
cademmo, la sera della tragedia di Seghebbia? Aveva dei
confidenti?
ERIO - Gli stessi che, nel doppio giuoco, erano d'accordo con
voi. Noi figuravamo di credere alle loro false confidenze,
modificando poi, con astuzia, i nostri piani ed il colpo non
falliva. La Pina, la esuberante Pina, che rividi ieri sera, era
una nostra mala accorta pedina.
GIACOMIN - Sicuro che, con tanta furberia, doveva far carriera.
ERIO - Appunto di Seghebbia, il vostro umano atto, spiegato nella
stessa notte del vostro infortunio, a favore dei miei compagni
vittime della valanga, mi mise in una penosa alternativa, tra la
voce del dovere e la voce della gratitudine. Io stesso, dopo non
molto, fui tratto in salvo, da voi, dalla stretta della neve. La
gratitudine deve avere pure un nome, un valore nei fatti umani.
Per fortuna, poco dopo, per trasferimento, lasciai la Valsolda.
GIACOMIN - E noi respirammo. "Passa tenente" si disse.
"Ma ch'el pass general, a la malora".
ERIO - Alla malora, eh.
GIACOMIN - Tanto per dire.
ERIO - Va bene. Vi fu più facile, dopo l'esercizio della vostra
non lecita attività?
GIACOMIN - Più facile no. Però chiudevamo più facilmente in
attivo il nostro bilancio annuale. E s'andava avanti, ma senza più
le confidenze di Pina, sul conto della quale ci nacquero dei
sospetti. Poi venne la guerra e partii.
ERIO - Alpino, non è vero?
GIACOMIN - Alpino, si, come tutti gli uomini della montagna.
ERIO - Bravi soldati. Del vostro valore posso fare buona
testimonianza.
GIACOMIN - Anch'io posso ben testimoniare della bravura d'un
vostro battaglione, che, sulle montagne degli Altipiani,
costituiva con noi gruppo. Vi era tra noi, nel valore e nel
sacrificio, nobile, simpatica gara. Nemici in pace, amici in
guerra. Gli scherzi della povera vita.
TINO - E allora brindiamo alla salute e delle Fiamme Gialle e
delle Fiamme verdi. Oro il giallo, speranze il verde. (Alzano i
bicchieri colmi di vino e brindano).
ERIO - (alla Giuseppina che rientra in quel momento) Venga venga
qui anche lei, fornitrice di questo balsamo dei vecchi. Ottimo
questo vino.
GIUSEPPINA - Ottimo perché vecchio.
GIACOMIN - Allora i vecchi contano ancora qualche cosa nel
vivere.
ERIO - Senza dubbio. Non siamo mica stracci da gettar via. I
romani, nella percezione chiara di tutti i valori, mettevano i
veterani, che veneravano, ai più alti posti della gerarchia
imperiale.
GIUSEPPINA - Ma sicuro. Noi rappresentiamo sempre quella schiera,
fatta sacra dall'età, da cui i giovani debbono trarre norma di
vita.
ERIO - Siamo sempre, con questi discorsi, nel romantico,
nonostante lo scompiglio portato anche qui dal tempo nuovo. Ma
tornando alla nostra guerra, mi potrebbe parlare, Giacomin, di un
qualche episodio del mio battaglione degno, più degli altri, di
ricordanza?
GIACOMIN - Perché no? I racconti di quella guerra fanno sempre
piacere.
ERIO - Di quella guerra che costituisce oggi il nostro vanto, il
nostro orgoglio, poiché con essa si concludeva il nostro
glorioso risorgimento.
GIACOMIN - Sicuro. Ed ora a noi. Lei, che forse era pure al
fronte, rammenterà la grande offensiva del maggio del 1916, la
famosa spedizione punitiva, scatenata contro di noi dagli
austriaci. Si era da sei giorni sotto il più violento
bombardamento di cannoni di ogni calibro, che frantumava le
trincee, sradicava gli alberi, sconvolgeva il terreno, maciullava
gli uomini. C'era davvero da innalzare bandiera bianca. Pareva
che non vi fosse, in quell'inferno, più salvezza.
ERIO - Rammento, rammento, poiché anch'io ero non lontano da
quell'inferno.
GIACOMIN - Sul silenzio dei cannoni, la mattina del giorno 21, si
videro masse di soldati nemici muovere, a file serrate,
all'attacco, sicuri di passare. La prima linea, tutta
sconquassata, stava per essere raggiunta, conquistata, superata,
quando la voce terribile di due mitragliatrici, poste nel centro
della difesa, rianimava i nostri, gettava, con le gravi perdite,
sgomento negli avversari.
Dagli alberi penzolavano brandelli di carne, dal terreno, coperti
di cadaveri, esalava odor di sangue, dal cielo scendeva larga
l'ombra della morte. In quella visione apocalittica, le due
mitragliatrici arroventate, falciavano inesorabilmente, nelle
masse attaccanti. E di là gli austriaci non passarono.
Quelle mitragliatrici, comandate da un tenente, appartenevano,
appunto, al vostro battaglione.
ERIO - Episodio degno di epopea. Certi atti, che impegnano la
vita, soltanto nell'epico canto possono trovare la loro degna
esaltazione. Ricorda il nome di quel tenente?
GIACOMIN - No, quantunque lo rivedessi il giorno in cui egli e i
suoi furono decorati sul campo al valor militare, dinanzi alle
truppe degli Altipiani. Noi alpini, testimoni dell'eroica azione,
partecipammo alla cerimonia con tutta la nostra anima.
ERIO - Bisogna proprio dire che la vita, nelle sue alterne
vicende, presenta fatti di particolare curiosità. E vostro
fratello?
GIACOMIN - Partì anche lui, al canto dei forti e patetici canti
di guerra, e non fece più ritorno alla sua Valsolda. Bella,
eroica, fu la sua morte.
ERIO - Rammento quei canti, ripetuti in trincea, che risuonano
vivi, melanconici in fondo allo spirito. Quei canti che i reduci,
nonostante l'età, nelle riunioni, cantano ancora con nostalgica
melanconia.
TINO - Ne vogliamo risentire qualcuno? Mia sorella li ha in
dischi.
GIACOMIN ed ERIO - Sì sì.
GIUSEPPINA - Li ho di là, con il fonografo. Vado. Ascoltate.
(Dopo un po' s'ode la riproduzione di uno dei tanti canti di
guerra. I tre rimangono in ascolto, con evidente commozione.
"Prendi il fucile" ecc.)
ERIO - (finito il canto, commosso) Momenti di epica bellezza, che
possono essere sentiti soltanto da chi si trovi a guardare, con
animo sereno, dai margini in fiamme, nella profondità misteriosa
dell'eternità.
Dopo di qui andrò ad inginocchiarmi, sugli Altipiani, dinanzi al
Sacrario di Asiago, che dovrà essere eterno nella venerazione
degli italiani. Santi debbono essere sempre considerati coloro
che dettero, nel fior della giovinezza la vita alla patria.
GIACOMIN - Anche il cuore di persona incolta può essere toccato
dalle elevate espressioni. Mi sento davvero commosso dinanzi ai
tanti ricordi, alle tante nobili manifestazioni.
TINO - Io non ho fatto la guerra, non certo per mia colpa, ma ne
ho sempre sentita la bellezza da voi or ora ricordata. S'intende
di quella prima guerra combattuta per la liberazione, con la
forza del valore, del patrio suolo, dal barbaro straniero
dominio.
ERIO - (alla Pina che entra di nuovo in quel momento) Venga,
venga Pina, ad inserirsi, di diritto, tra gli attori principali
dei vecchi drammi di confine. Brava, brava davvero nel recitare
la sua parte.
PINA - Brava ma un po' ingenua, poiché non potevo mai pensare
che sotto le apparenze della colomba si nascondesse, in un
attore, la scaltrezza della volpe.
ERIO - Allora molto bravo, nella finzione, anche tale attore.
GIACOMIN - E di tutte queste bravure, noi, di retroscena,
dovevamo rappresentare le vittime, come scioglimento di dramma.
TINO - Bene o male, le due parti in lotta cercavano di superarsi
negli accorgimenti. I puntigli, i rancori, gli inganni sono orami
sanati dal tempo. Una purificazione generale l'ha operato, poi,
la guerra. Chiudiamo in letizia, in un banchetto, questa giornata
lieta di rievocazioni.
GIACOMIN - Bene ha parlato il signor Segretario. Un applauso.
(Tutti applaudono).
ERIO - Riconciliazione allora in tutti. Oggi, in questo perdono,
nella raggiunta santa unità, sia soltanto l'Italia nella fiamma
del nostro cuore. (Altri vivi applausi).
GIUSEPPINA - Io, vedova di guerra, non credevo di dover
assistere, in questo piccolo mondo non più antico, ad un altro
capitolo del romanzo della vita, colmo di appassionate vicende.
GIACOMIN - Tutto bene ciò che finisce bene. Eleviamo, in questo
felice incontro, il nostro devoto, religioso pensiero, a tutti i
caduti per la patria. (Tutti in raccoglimento si alzano in
piedi).
ERIO - In tutti i cuori, anche in quelli apparentemente meno
aperti, vi è generosità. Bravo al valoroso alpino del fronte
del Trentino. (Lo abbraccia e lo bacia).
GIACOMIN - Mi dica, nobile combattente ornato dal nastro azzurro,
con quale battaglione fece la guerra?
ERIO - Col primo.
GIACOMIN - Allora?...
ERIO - Sì, ne conoscevo il tenente mitragliere.
GIACOMIN - Ed era?
ERIO - Il Bimbo di Oria.
(Sorpresa, commozione generale. Tutti l'abbracciano. Mentre il
fonografo suona ancora un canto di guerra si chiude lentamente il
sipario).
FINE
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