Nel decorso anno, nella stessa giornata di oggi, aii pochi
presenti, ebbi già a dire, nella rapida rievocazione storica,
come il Corpo della R. Guardia di Finanza non sorgesse così
d'improvviso, in forza di un decreto, per desiderio o volontà di
un uomo o di un governo, ma come si trovasse nella vita nazionale
quasi nato con essa, a sostegno, a protezione, a difesa della sua
stessa esistenza, del suo sviluppo, della sua floridezza, de'
suoi diritti. Dicevo anche come non fosse possibile precisare
quando questo Corpo nascesse, si sviluppasse, si consolidasse.
Nella storia di ogni tempo, nella ora lieta or dolorosa storia di
questa magnifica terra, che è l'Italia nostra, con vari nomi si
trovano accenni ad armati che sembra vogliano corrispondere,
somigliare, nei fini e nello spirito, agli odierni soldati delle
fiamme gialle. Monsignor Beccaria, cappellano primo di Corte, nel
benedire dodici anni or sono la nostra Bandiera di combattimento,
nel giorno della consegna, nel suo discorso elevato e di uomo
dotto, pronunciato nel santo rito, ci faceva discendere dai
veliti, dai pubblicani quindi, dal Corpo dei cavalieri, chiamati
da Cicerone uomini amplissimi, onestissimi, ornatissimi. Altri ci
fanno nascere con i marchesati, con la missione di guardare e di
difendere, sotto ogni aspetto, nella Roma imperiale, le province
di confine.
Certo, l'origine è antica, come antiche sono le frontiere, i
limiti del territorio entro cui ogni popolo ed ogni razza, in
tranquilla sicurezza, svolgono la propria attività, compiono il
proprio ciclo, compongono, nelle varie vicende, il poema del
vivere e della vita. Ma venendo in tempi a noi vicini ed alle
notizie e ai documenti sicuri si trova come, nella smembrata
Italia nostra, il primo Corpo di Finanza, con pretto carattere
militare, fosse costituito nello Stato pontificio, nel 1786. Non
molto tempo dopo nel maggio 1791 la Francia rivoluzionaria, per
la guardia fiscale e militare del confine, creava quel magnifico
Corpo dei cacciatori verdi, Corpo che ebbe ad essere poi tra i più
cari al genio della guerra, a Napoleone, e col quale, su tutti i
campi di battaglia, ebbe a scrivere gloriose pagine di valore e
di eroismo. Il Regno italico istituiva, prendendo a modello
quello francese, un Corpo di 3500 finanzieri, dalle cui glorie si
può sicuramente far discendere la Guardia delle frontiere della
nuova Italia imperiale di oggi.
Quando, però, nel 1861, sotto la possente guida e forza del Gran
Re, se non alla completa unità, verso cui con ogni sforzo si
tendeva, si addiveniva, in ogni modo, alla formazione di uno
stato italiano, non si risolveva, come si conveniva e come
consigliavano i precedenti, il problema di questo Corpo, che si
presentava all'adunata con sette divise, ma con una sola grande
anima italiana e nazionale e con elevate aspirazioni.
Avevano i finanzieri, come tutti gli italiani, per necessità di
avversi eventi, servito sino a quel momento a sette padroni, ma
non avevano asservita ad essi la loro anima e quando si trattava
di operare per l'indipendenza, per l'unità, per la salute della
patria, ai sette padroni sostituivano un sol padrone caro e
possente: l'Italia, ed essi si trasformavano in soldati italiani,
in prodi soldati della santa causa italiana. I governi tirannici,
quindi, li tenevano in sospetto e, dal loro punto di vista, non a
torto, poiché essi, nelle sante cospirazioni e nei moti si
trovavano sempre ed ovunque al posto d'onore.
Il governo provvisorio di Milano invero, presieduto dall'illustre
patriota Gabrio Casati, in un proclama del 1. aprile del 1848,
nell'esprimere la propria gratitudine, così parlava alle guardie
di Finanza:
"Nel giorno del pericolo non avete indugiato di ricordarvi
di essere italiani, e non solo avete rispettato il vincolo
fraterno, ma da prodi combatteste per la nostra santa causa.
La patria vi è riconoscente e si compiace di rendervene pubblica
testimonianza".
E combatterono a Sorio, a Montebello, a Brescia, ad Anfo, a
Bagolino, a Montesuello. Luciano Manara, prode tra i prodi, dopo
la capitolazione di Milano, a formare il suo battaglione
glorioso, volle con se, quale nerbo preminente, a premio del loro
eroismo, i sette Ufficiali e i 450 finanzieri superstiti
lombardi.
"Uomini arditi" dice di loro l'illustre Senatore Rava
come premessa ad uno storico libro "dalla risoluzione pronta
e dall'impeto audace; truppa salda, dal cuore fermo nel pericolo,
forte nelle privazioni, sereno nel sacrificio".
"Tra quelli che vollero e seppero furono sempre i finanzieri
quelli di Bologna che combatterono nell'8 agosto 1848 e poi nella
difesa cittadina del 1849; quelli di Ancona, che per tutti i 127
giorni, durata nel 1849 la difesa memoranda, stettero in prima
linea infaticabili, esempio luminoso di resistenza, di perizia e
di valore; quelli di Roma, gareggiarono coi fratelli lombardi in
devozione della Patria, in altezza di sacrificio durante la
difesa della Repubblica romana".
Emilio Morosini scriveva il 1. maggio "Ai giardini i
Finanzieri vennero alla baionetta con successo" e Manara
"I Finanzieri si comportarono mirabilmente" e
Guerrazzi, nei documenti dell'assedio di Roma "I Finanzieri,
9 maggio, tentarono con incredibile valore una seconda volta
l'assalto". Il generale Serafini, più tardi, nel 1880, alla
camera italiana dichiarava: "Ho avuto occasione di vedere
durante l'assedio di Roma come combattevano i Finanzieri e di
ammirarne il loro valore, non solo, ma anche la loro
disciplina".
Garibaldi si valeva dei Finanzieri nelle imprese più ardite.
Finanzieri quasi tutti - bersaglieri lombardi e bersaglieri del
Tebro - furono i forti che a Villa Spada, il 30 giugno, scrissero
col sangue l'ultimo canto della gesta immortale, sostenendo con
eroica disperazione, l'impeto della fiumana nemica.
Seguivano, poi, come retroguardia preziosa, la fuga leggendaria
dell'eroe dei due Mondi. Non tutti, però, potevano seguire
Garibaldi! Molti furono imprigionati, molti dovettero subire il
patibolo, tra cui i finanzieri Mancini Ignazio, Marioni Giovanni
e Rambelli Epaminonda. Il supplizio ebbe luogo il 24 Gennaio 1854
a Roma, in Piazza dei Cerchi. Lungo la via i tamburi dovettero
rullare continuamente per coprire la voce dei tre prodi, i quali
andavano verso il patibolo come a festa cantando in coro il canto
caro a Garibaldi: "Chi per la patria muor, Vissuto è assai
ecc."
Il Rambelli, asceso sereno ed intrepido il fatale palco, prima di
posare il capo sul ceppo, gridava con voce alta e sonora:
"Viva l'Italia. Siate forti compagni". Il Mancini,
secondo, ne imitava intrepidamente l'esempio. Il Marioni, ultimi
nell'ascesa, ma non ultimo nell'intrepidezza, rivolto un commosso
saluto ed un caloroso encomio allo stoico coraggio ed alla balda
serena fierezza dei compagni caduti, porgeva anch'egli, con
eguale stoico coraggio e fierezza, il capo alla mannaia.
E' bene, è doveroso non dimenticare nel tripudio e nella festa
questi eroi della bella giovinezza d'Italia, ché non soltanto
eroi nostri, ma sono soprattutto eroi santi dell'umanità, eroi
santi della Patria.
Ma i superstiti delle cento avventure e delle cento battaglie, i
superstiti gli scampati dalle galere e dalle forche, non domi,
nelle epiche lotte della riscossa, ricomparivano sui campi della
gloria e dei prodigi. Il generale Corvetto poteva ancora dire di
essi nel 1880, alla camera italiana:
"Nel 1859 ho visto al fuoco i Finanzieri e si sono
comportati da valorosi soldati".
Questi erano i Finanzieri dalle sette divise, ma da un sol cuore
saldo e da una sola anima eroica italiana, che si presentavano a
formare il nuovo Corpo della Patria redenta.
Di conseguenza, a giusta ragione, nel primo progetto dopo
l'unificazione, nel 1862, si proponeva senz'altro dai buoni
patrioti, alla stessa guisa dei Carabinieri, un ordinamento
militare con dipendenza dal Ministero della Guerra.
Il Ministro Quintino Sella, che nobilmente ne sosteneva, ne
propugnava la giusta causa, tra l'altro, al Parlamento nazionale,
con amaro animo per l'inesplicabile contrasto incontrato, diceva:
"Io non capisco come si voglia negare l'organizzazione
militare alle guardie di Finanza, le quali sono coi carabinieri
soldati in istato perpetuo di guerra, perché perpetuamente hanno
a disimpegnare i loro doveri con disagio grandissimo della
persona non senza pericolo della vita".
Quei Signori, come spesso accade delle cose giuste, non capirono,
ed il progetto non era approvato, giungendosi solo ad un
ordinamento misto, ibrido, illogico. I buoni militi, essendo
sempre l'eroismo accoppiato alla generosità non se ne
sconfortarono, non se ne adornarono e nel 1866 accorsero ancora,
con la consueta serenità e la consueta bravura, nella nuova
guerra contro gli austriaci. La relazione su quegli avvenimenti
diretta dal Direttore Generale delle Gabelle al Ministero delle
Finanze concludeva:
"Ecco accennati brevemente, Eccellenza, i fatti delle
Guardie di Finanza durante la guerra. L'ardore, il senso di
abnegazione da cui si mostrarono tutte informate all'aprirsi
dell'ostilità, chiarisce come un sincero amore patrio scaldi i
loro petti e da questa virtù generatrice di ogni altra vuol
dedursi il bello avvenire che sotto i potenti e benevoli auspici
dell'E.V. a questo Corpo è riservato".
Ma l'avvenire auspicato con tanta nobiltà, con tanto fervore
doveva essere conquistato faticosamente, a costo di altri duri
sacrifici, a prezzo di altro cospicuo sangue. Ed invero, dopo una
sequela di modesti decreti, solo nel 1896 si concedeva al Corpo
una prima importante riforma, con la quale si rafforzava
l'ordine, la disciplina, il carattere militare. Altra più
importante riforma poiché si decretava la sua autonomia e il
completo pareggiamento col R. Esercito, era accordata nel 1906.
La R. Guardia di Finanza, pure nella silenziosa operosità, nel
silenzioso sacrificio, era riuscita a scuotere, a volgere in suo
favore anche i pavidi. Evidentemente, se ne incominciava a
conoscere la storia e più ancora incominciavano a mordere, a
pesare un po' troppo sulla coscienza degli italiani le sante
vittime del dovere che dormivano numerose, senza riconoscenza e
senza ricordo, nell'ombra dei bianchi e solitari camposanti
alpestri, dei nostri cimiteri di guerra del tempo di pace.
Nel 1907 il Corpo si poteva fregiare della speciale
caratteristica del soldato: delle stellette. Nel 1911,
finalmente, a riconoscenza di tutte le sue benemerenze e delle
sue virtù, si decretava ancora a suo favore la concessione della
sacra Bandiera.
Il Generale Spingardi, Ministro della Guerra, nella relazione di
proposta a S.M. il Re così ne compendiava i meriti:
"Sire, Alla Maestà Vostra è ben nota quanto ardimentosa ed
efficace sia stata l'azione dei Finanzieri nelle vicende epiche
del nostro risorgimento nazionale. Non vi è quasi nessuno dei
moti insurrezionali e delle guerre combattute in Italia contro lo
straniero in cui non rifulgano l'ardore, l'intrepidezza e lo
spirito di sacrificio dei Finanzieri.
Allo scopo, quindi, di perpetuare il ricordo delle belle
tradizioni militari e patriottiche che costituiscono il
patrimonio prezioso della R. Guardia di Finanza sono stati
eseguiti studi e ricerche per ricostruire con precisa verità
storica i fasti gloriosi dei Finanzieri e la documentazione che
sin qui è stata fatta permette di stabillire anche nei
particolari, che essi hanno preso collettivamente parte ai moti
insurrezionali ed alle campagne di guerra degli anni
1848-1849-1859-1860-1866.
Sembrò, quindi, che il sangue generosamente versato dai
predecessori della R. Guardia di Finanza in difficili cimenti del
patrio riscatto meritasse di essere degnamente onorato in questo
anno in cui si celebra con tanta solennità il cinquantenario
della nostra indipendenza e che in niuna guisa migliore si
potesse farlo che concedendo al Corpo stesso il simbolo glorioso
e sacro dell'unità della Patria Italiana.
Nella fiducia che la M.V. voglia benignamente accogliere questa
doverosa proposta, sottopongo all'Augusta Vostra firma il decreto
di concessione della Bandiera alla R. Guardia di Finanza".
S.M. il Re, che bene conosceva i suoi finanzieri, non soltanto
firmava, ma voleva Egli stesso, il 7 Giugno 1914, nella forma più
solenne, dinanzi al popolo di Roma, e dei rappresentanti del
mondo, consegnare la Bandiera con le seguenti parole:
"Alla R. Guardia di Finanza, che nelle lotte per
l'indipendenza nazionale e nella recente guerra Libica diede
tante prove di patriottismo e di valore, consegno questa Bandiera
con la fiducia che saprà, in ogni occasione, gelosamente
custodirla, e mostrarsi degna dell'altissimo onore che le viene
oggi conferito".
La Sovrana fiducia, nei prossimi grandi avvenimenti, non doveva
essere delusa!
Quando il 23 Maggio 1915 suonava ancora la sacra diana, i soldati
gialli fedelissimi, quasi volontari, a battaglioni, marciarono
ancora una volta, fieri ed eroici, come i Finanzieri di Fortunato
Calvi, di Luciano Manara, di Garibaldi, verso i nuovi sacrifici
di sangue e verso la gloria. E ad essi, ad una loro pattuglia,
nella memoranda notte toccava la fortuna e l'onore di accendere
sul Iudrio la gigantesca battaglia, sparando per i primi i primi
colpi ed uccidendo i primi nemici che tentavano, all'inizio delle
ostilità, varcare di sorpresa il sacro confine.
Il marmo, fissato sul posto, tramanda ai venturi il fortunato
storico evento!
E sul gambo della freccia di quella Bandiera, consegnataci con
sicura fiducia da S.M. il Re, decorata già di due medaglie al
valore a perpetuo ricordo dei maggiori fatti d'arme, ai quali
presero eroica parte i Finanzieri e del terreno bagnato del loro
purissimo sangue oggi superbamente si legge:
1915: Ala (27 Maggio); Monte Croce Carnico (9-19 Giugno); Podgora
(5-19 Luglio); Monte sei Busi (Luglio);
1916: Monte Sperone (6-14 Aprile); Costesin-Val d'Astico
(Maggio); Monte Collo-Torrente Maso (Aprile-Maggio); Val d'Astico
(Maggio-Luglio); Carso (Giugno-10 Agosto-4 Settembre);
1917: Albania-Osum (Settembre-Novembre); Piave Vecchio (18-19
Dicembre);
1918: Due Piavi (15 Giugno-7 Luglio); Albania (Luglio-Agosto).
Sarebbe da ricordare tutti gli avvenimenti cui le date si
riferiscono a soddisfazione di questo sano Corpo, non ancora bene
conosciuto ed apprezzato, e le località, i nomi delle quali da sé
solo costituiscono un'epopea, una gloria di guerra; sarebbe da
ricordare i giudizi, l'elogio, il giusto omaggio dei Comandanti
delle unità mobilitate e dei corrispondenti di guerra, resi
all'opera, al valore, all'eroismo, al sacrificio della R. Guardia
di Finanza. Sarebbe da ricordare come al Costesin, nel maggio del
1916, per più giorni, i militari del 1. Battaglione, resistevano
mirabilmente ad uno dei più grandiosi bombardamenti e degli
assalti più feroci eseguiti con temeraria disperazione ed a
scopo punitivo, dalle più imbaldanzite e robuste truppe nemiche,
superiori di cento volte, ubriache di liquori, d'odio, di
vendetta e di bieco spirito di rapina.
Della condotta di quei Finanzieri il prode generale Murari Brà,
da cui il Battaglione dipendeva, in un suo scritto, fra l'altro
dice:
"Con i miei fanti va indissolubilmente legato il ricordo
della R. Guardia di Finanza del 1. Battaglione e de' suoi
mitraglieri eroici difensori leggendari del Costesin".
Sarebbe da ricordare come il 2. Battaglione nella conquista del
nero e terribile Podgora, nel Luglio del 1915, spargendo generoso
e copioso sangue si coprisse di gloria.
Il Generale Mambretti scriveva al Comando della Brigata Re, della
quale i Finanzieri facevano parte:
"Il Battaglione della R. Guardia di Finanza, nel
combattimento del giorno 19 per l'occupazione del Podgora tenne
contegno per disciplina ed ardimento altamente encomiabile.
Mentre del fatto mi è gradito prendere nota, incarico V.S. di
esprimere agli Ufficiali ed alle truppe di detto Battaglione
tutta la mia soddisfazione, tributando a tutti largo
elogio".
E del 3. Battaglione, che quasi da solo conquistava e teneva
prodemente per tutta la durata della guerra senza mai arretrare
le difficili posizioni avanzate di Val di Ledro.
Di esso il Generale Cangemi nel 1918 poteva ancora dire:
"Nell'accomiatarmi da voi sono fiero di accompagnare alla
parola di saluto l'espressione del mio compiacimento e della mia
gratitudine per l'intelligente cooperazione che ho avuto
costantemente da voi.
Forti e vigili scolte di questi passi alpini, così oggi al 4.
anno di guerra, come nel primo giorno, che non domi dai lunghi
disagi della trincea, deste volontari ad ogni impresa nella quale
si chiedesse di osare".
E del 5. Battaglione, che tra l'altro ha in suo onore la
temeraria impresa della riconquista, in Val d'Astico, del
minaccioso Monte Cimone, scrivendo con essa impresa, una delle più
belle pagine di ardimento e di valore militare.
E del 7. Battaglione, intrepido tra gl'intrepidi, della condotta
del quale potrebbe parlare con maggior ragione e competenza e con
giusto orgoglio il valoroso T. Colonnello Sig. Doglio, qui
presente, che nei giorni più belli ne comandava, da Capitano,
una compagnia. Dalle eroiche gesta di questo Battaglione dal 15
giugno al 7 luglio 1918, fra i due Piavi, si traeva fieramente la
data della festa di oggi.
Con il 7. erano in nobile gara in sacrificio, in valore, in
eroismo, in quelle località ed in quei giorni, l'8. ed il 20.
Battaglione, e sulla destra i marinai del bel Reggimento S.
Marco, che con noi oggi festeggiano la loro festa. Un eroico
esponente di questo Reggimento, il Capitano Bafile, come è noto
dorme il suo eterno ed eroico sonno, in grembo alla pietosa
Maiella madre.
Del 20. andrebbe anche ricordata l'azione del Pal Piccolo, nella
quale il Maggiore Giovanni Macchi, elevandosi a nume, mostrava ai
nemici attoniti, attaccanti in forze preponderanti, come gli
italiani sapessero morire.
E non andrebbero dimenticati i Finanzieri del 10. Battaglione, di
quei Finanzieri che nel luglio del 1915 furono degni emuli dei
prodi fanti Abruzzesi della Brigata Acqui e dei prodi fanti della
Brigata Pinerolo, nella sanguinosa conquista di Setz, di
Vermigliano, di Monte Sei Busi; degni emuli dei fanti di quella
brigata che al comando di un altro prode soldato, del Sig.
Generale Perris, non conosceva sconfitte, e alla quale brigata
carica di onori e di gloria, oggi Chieti e l'Abruzzo sono
orgogliosi di dare riconoscente affettuosa ospitalità.
E non andrebbero dimenticati i Finanzieri del 16. Battaglione,
cari più di tutti al prode Generale Ferrara, le glorie del
quale, con quelle di altri 4 Battaglioni, vanno dal fronte
italiano al fronte più temuto e movimentato dell'Albania.
Di questo Battaglione faceva parte un altro eletto figlio di
questa fiera terra abruzzese, Tenente Saul Angelini. La pietà,
l'ammirazione e l'affettuosa gratitudine hanno indotto i compagni
d'arme a dedicare in questa caserma al suo nome la sala di
convegno che oggi s'inaugura.
Questo Ufficiale il 31 Luglio 1918 giaceva al Gorian ammalato
quando sapeva che il suo Battaglione era impegnato in aspro
combattimento. I mali fisici a quella notizia sparivano come
d'incanto e la sua anima, sempre generosa e bella, s'infiammava,
divampava di quei sentimenti, di quelle risoluzioni che
avvicinano l'uomo alla santità, alla divinità. Senza indugio,
sereno e con entusiastico fervore, volava sulla linea del fuoco e
dell'onore, incontrandovi, in difficile ma vittorioso
combattimento, gloriosa morte.
Alla sua memoria era conferita la medaglia d'argento al valore
militare.
Nessun rimprovero se non si fosse mosse, ma i deboli avrebbero
avuto un compagno di più, il Corpo e la Patria un eroe di meno.
Onore quindi al prode, all'eroe.
E non si dovrebbero dimenticare i cinque Battaglione che dal
Monte Santo, dal Vodice, dalla Bainsizza, nei tristi giorni di
Caporetto, ripiegarono nel massimo ordine traportando con sé non
soltanto gli zaini e le ami, ma anche dove era possibile il
materiale; quei cinque Battaglioni che dopo aver presidiato le
località importanti nelle quali passavano si raccoglievano a
Conegliano per essere destinati parte alla difesa del Piave,
parte in altro servizio preziosissimo in quei giorni.
Per tutti e più di tutti, come granitica marmorea sintesi, può
valere il sicuro giudizio del Principe guerriero, dell'Augusto
Comandante della 3. Armata, di S.A. Reale il Duca d'Aosta,
espresso, nella nobile serena obiettività, nel concedere la
medaglia d'argento al valore militare al Comandante del 7.
Battaglione, per l'azione sul Sile del 21 giugno 1918.
Concludeva:
"L'alta ricompensa è anche degno riconoscimento del valore
dei reparti della R. Guardia di Finanza che sempre nelle gionate
più aspre furono degni compagni nell'eroismo e nel sacrificio
delle migliori truppe della 3. Armata."
E può valere anche il glorioso elenco dei suoi caduti, dei
duemila finanzieri, che con gli eroici compagni del R. Esercito,
sono rimasti a dormire il sonno dei prodi nei santi cimiteri di
guerra; dei cinquemila finanzieri tornati nelle proprie case
carichi di cicatrici, colle carne dilaniate; dei settecento
decorati del nastro della nobiltà, del bel nastro azzurro.
Può anche valere l'Augusta visita che S.M il Re, il 3 Giugno del
decorso mese si compiacque ancora di fare ai suoi Finanzieri che
mai trascura e mai dimentica nella caserma della Legione. Allievi
e Scuola Allievi Ufficiali in Roma, rivolgendo ancora una volta
ad essi pubblicamente, per la loro opera, per l'alto spirito di
sacrificio e patriottico, per le profonde virtù militari e
cittadine, il Suo plauso, il Suo alto elogio.
Questo, senza la macchia, la più lieve macchia di una qualsiasi
diserzione, è il superbo bilancio che rende oggi maggiormente
fieri e italianamente orgogliosi quanti indossano la bella divisa
del soldato dalle fiamme gialle.
Ma non è tutto. La guerra che oggi ognuno in letizia considera
finita, non è invece finita per la Guardia, per i Finanzieri di
ferro, come ebbe a chiamarli D'Annunzio vestendone a Fiume la
divisa. Ed oggi essi continuano a combattere contro i nemici di
ogni maniera una lotta, una guerra non meno aspra, non meno
pericolosa. E spesso, troppo spesso, scende dalle montagne, dalle
maestose Alpi bianche, avvolto nel tricolore, un prode, per
essere silenziosamente accolto nei lindi, semplici, solitari
camposanti di fondo valle, dove altri prodi dormono, prodi oscuri
di ogni età, di ogni condizione, di ogni ragione, di ogni tempo.
Testè, la vicina Tocco Casauri,a rendeva solenne onoranze ad un
eroico figlio: al Finanziere diciannovenne GIUSEPPE PRESUTTO.
Dinanzi a questo prode in fazione, nella solitudine della notte,
dai traditori della Patria, era posto brutalmente l'alternativa o
del tradimento ricompensato con oro, o della fede pagata con la
vita. Accettava con fierezza e romanamente la morte.
Questo, o Signori, è l'educazione, l'anima del Finanziere
italiano. Ed è pur di ieri nell'infido confine croato l'ultimo
cruento conflitto, nel quale altri prodi, con la giovane milizia
italica, pagavano con l'intrepida loro giovinezza la religiosità
del dovere e l'orgoglio del nome italiano.
Dopo l'immane conflitto, le Armate vittoriose e gloriose si
potevano ritirare, non si ritiravano però, le ombre gloriose dei
seicentomila caduti, ma non si ritiravano neppure i soldati
gialli, fedeli guardiani delle Alpi. Ed oggi essi vegliano e
vigilano, con quelle sacre ombre, sugli spalti della Patria,
sulla sua sicurezza, sulla sua integrità economica e
territoriale, come vegliavano innazi guerra, senza interruzioni,
senza soste, senza tregua. E ad ogni porta, ad ogni passo, ad
ogni varco con le sante ombre dei caduti, numi tutelari della
Patria, v'è una sentinella; ogni scoglio, ogni torre del paterno
mare, ogni cima delle maestose Alpi, come aquila, ha una guardia,
una vedetta che getta lo sguardo lontano e scruta nelle tenebre.
Ed essendo le Alpi davvero da noi presidiate nessuno le
attraversa non visto ed impunemente.
E la guardia vi sosta immobile, ferma come il granitico sasso da
cui le Alpi sono formate. Può essere travolta dalla tempesta,
soffocata dalla bufera, sepolta dalla neve e dalla valanga, vinta
dal numero e uccisa, ma non allontanata, non fugata dal suo
posto, non distolta dalla sua consegna.
Il sacro Cippo del Brennero, quindi, a noi consegnato ed
affidato, è in buona custodia!
Non vi turbi perciò preoccupazione alcuna, prodi fratelli delle
cento vittoriose battaglie del R. Esercito, nel preparare, nelle
vostre guarnigioni interne, le nuove eroiche forze per i nuovi
destini dell'Italia, nuova Imperiale, di questa nostra bella,
cara, grande Patria risorta di nuovo per opera del suo possente
Duce di oggi a grandiosa vita. Se malauguratamente
malintenzionati tentassero ancora di offendere il nostro sacro
diritto, tentassero ancora di violare i sacri limiti, i
Finanzieri di Cima Mnaderiolo, di Cima Dodici, di Porta Manazzo,
del Iudrio, del Costesin, del Piave, pur nell'esiguo ed impari
numero, sapranno ancora tenere a bada, sino al vostro poderoso
arrivo, le orde mal consigliate. E voi, cittadini nostri,
continuate sereni e tranquilli nelle cento cure, nelle cento
vostre opere, a pro' vostro, a beneficio della Nazione, pensando
che il Guardiano fedele delle Porte d'Italia, la sentinella
avanzata delle Alpi, sa ancora e sempre morire in passione, con
fierezza, eroicamente anche per la vostra tranquillità, per la
vostra floridezza, come muore per il sacro adempimento del suo
aspro dovere, per l'incolumità e la grandezza della sua Patria
immortale, per la fede giurata al suo Re.
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