Il Generale Conte Vittorio Murari dalla Corte Brà, in una
pregevolissima pubblicazione tendente ad illustrare l'eroica
condotta tenuta dalla Brigata 'Ivrea' della quale egli fu primo
comandante, durante la grande offensiva austriaca del maggio 1916
contro l'Altipiano dei Sette Comuni, dopo aver messo in rilievo
il valore e le benemerenze dei due reggimenti - il 161 e 162
Fanteria - così dice a proposito delle truppe di altri Corpi
che, combattendo a fianco della brigata stessa, ebbero l'onore di
dividere con essa i sacrifici e la gloria delle memorande
giornate: "Ad ufficiali e soldati delle Brigate Alessandria,
Lambro, dell'Artiglieria, del Genio, della R. Guardia di Finanza,
che non ebbero minori meriti per il tempo che furono con 'Ivrea'.
'Ivrea', rivolgendo ad essi il suo pensiero, oggi, paga il suo
debito di cameratismo d'armi, lasciando ai superstiti diretti
l'onore d'illustrare degnamente l'azione loro, come per 'Ivrea'
ha fatto il suo primo Comandante". (Gen. V. Murari Brà:
Sulla fronte della 34. Divisioe con la Brigata Ivrea. - Torino,
Casanova e C., 1922, p. 123, L. 10)
Poiché non mi consta che sinora alcuno della R. Guardia di
Finanza abbia assolto, in modo degno, tale compito, e poiché mi
sembra giusto e necessario che una delle più belle pagine
scritte dal Corpo durante la grande guerra abbia a rifulgere di
tutta la sua luce abbagliante, voglio provarmi ad assolvere il
compito stesso.
L'amore che io porto alle tradizioni militari delle Fiamme
Gialle, e la nobiltà dello scopo che mi prefiggo, valgano ad
allontanarmi ogni taccia di presunzione, ed a farmi perdonare
qualche lacuna o manchevolezza.
Il I° Battaglione R. Guardia di Finanza, all'inizio della guerra
fu dislocato sulla 1.a linea della 34. Divisione, nella zona
montuosa dell'Altopiano dei Sette Comuni, passando dalle trincee
di Marcai di sopra, a quelle di quota 1857, di Campo Rosa, del
Col Santo, del Costerni, e di Cima Norie.
Dopo circa un anno trascorso lassù, tenendo onorevolmente il suo
posto, anche in momenti di vivi bombardamenti nemici, e lavorando
attivamente alla sistemazione tattica del terreno, il
Battaglione, il 12 aprile del 16, fu ritirato in Asiago.
La sua Sezione Mitragliatrici, però, la lasciò in linea,
aggregata alla Brigata Ivrea. Veramente, codesta Sezione -
bellissimo, compatto manipolo, dai nervi d'acciaio, come le armi
che gli erano affidate, mirabilmente fuso da quella forte tempra
di soldato del suo Comandante, il Tenente Umberto Adamoli - era
stata quasi sempre aggregata a reparti del R. Esercito, dai
Battaglioni Alpini Bassano e Val Brenta, all'80° Reggimento
Fanteria.
La Sezione trovavasi, appunto, alle dipendenze di questo
Reggimento quando, il 7 gennaio 1916, il Tenente Adamoli, durante
un'audace ricognizione spinta fino alle immediate vicinanze del
forte austriaco Finocchio, riportò una grave ferita ad una
coscia.
Il contegno valoroso di questo bravo ufficiale in tal circostanza
destò l'ammirazione degli ufficiali dell'80°, al punto che essi
stessi vollero, per un buon tratto, portare la barella su cui
egli era stato adagiato.
Ma ai primi di aprile, il Tenente Adamoli, per quanto ancora la
ferita non gli si fosse del tutto rimarginata, tornò, a sua
domanda, alla propria Sezione, che allora trovavasi in linea a
Cima Norre, in una posizione molto avanzata e, per essere in
mezzo ai forti nemici di Luserna e Belvedere, molto pericolosa.
Da Cima Norre, la Sezione passò nei pressi di Milegrobe, in
appoggio ad una compagnia del 162 che teneva quella Conca, quale
punto avanzato di una linea di osservazione che da lì proseguiva
verso sud, per Malga Fratelle e Malga Campo, conca che il
Generale Murari Brà definisce "posizione infelicissima,
vero nido di proiettili".
La sera del 5 maggio la suddetta Compagnia fu annientata da un
improvviso attacco nemico, e la Sezione rimase da sola a chiudere
agli austriaci, imbaldanziti del successo ottenuto, l'adito alla
nostra linea di resistenza del Costesin.
Nei giorni che precedettero il formidabile urto nemico,
iniziatosi, com'è noto, il 15 maggio con un bombardamento d'una
violenza sino allora sconosciuta, la situazione su quella
frontiera era la seguente:
il settore assegnato alla 34. Divisione era limitato a nord da
Cima Manderiolo (punto di congiungimento con la 15. Divisione
operante in Val Sugana) e, passando per il fortino di quota 1857,
per i Marcai, per la ridotta di quota 1506 e per la Val Torra,
scendeva sino al forte Campolongo e a Castelletto, dove si
congiungeva con la 35. Divisione operante in Val d'Astico.
Il tratto suddetto era ripartito in due sottosettori, Nord e Sud,
aventi come punto di collegamento la ridotta di quota 1506,
appartenente al sottosettore Nord;
il sottosettore sud - Comandato dal Gen. Murari-Brà - era tenuto
dalla Brigata Ivrea, rafforzata da un reggimento della Brigata
Lambro (il 205°) e dalla Sezione Mitragliatrici del 1°
Battaglione R. Guardia di Finanza. Le truppe erano schierate: il
162° tra il Costone di Brusolada e la Valle Bisele di sopra, il
161°, con due battaglioni del 205°, a cavaliere della Val
Sincella, sino a Campo Paselaro. Il resto della fronte era tenuto
da un battaglione del 205°, rafforzato dal Nucleo esploratori
del 162°. Va notato che lo schieramento era qui, sulla sinistra,
assai più debole, sia perché il terreno, costituito dalle
scoscese pendici della Val Torra, mal si prestava all'attacco
nemico, sia perché fu giustamente previsto che la parte più
minacciata sarebbe stata la Val d'Assa, che era il punto di
saldatura tra i due sottosettori, e che offriva maggiore
possibilità di manovra. Inoltre, si pensò, evidentemente, che
il nemico, in caso di sfondamento, poteva tagliare alle nostre
truppe la via della ritirata verso Rotzo e Asiago, aggirarle, e
addossarle contro il dirupato ciglio sinistro della Val Torra,
ove, con tutta probabilità, le avrebbe annientate.
Di fronte alle posizioni della 34. Divisione si stendevano le
linee austriache da Cima Vezzena fino a sud-ovest di Malga Campo,
sopra un terreno dominante, e potentemente organizzato,
appoggiate ai forti permanenti di Busa di Verle, di Basson e di
Luserna.
Fino a tutto il 19 maggio gli austriaci non pronunziarono alcuna
seria azione, ad eccezione di un bombardamento infernale,
incessante, che tutto stroncava e sconvolgeva, ma che non riuscì
a fiaccare il morale della truppa. In tali contingenze, la nostra
minuscola ma ammirabilmente agguerrita Sezione Mitragliatrici,
passò, a più riprese, dall'uno all'altro dei reggimenti
dell'Ivrea, ora allo sbarramento di Val Morta, ora a quello di
Val Sincella, per respingere attacchi parziali nemici.
Bisogna tener presente che la consistenza del nostro fronte in
quella zona, sia come numero di truppe, sia come apprestamenti
difensivi, non era adeguata alla gravissima minaccia nemica che
si andava ormai delineando: e ciò perché, com'è noto, il
nostro Comando Supremo non riteneva possibile un attacco nemico
in grande stile contro la zona stessa.
Preoccupato di ciò, e prevedendo che gli austriaci avrebbero
avuto per loro obiettivo le nostre difese dell'alta Valle
dell'Assa in cui, come ho detto, era il punto di saldatura tra i
due sottosettori Nord e Sud, il Generale Murari-Brà,
nell'intento di garantirsi il fianco destro, il giorno 18 volle
assicurarsi del grado di resistenza di codesto punto di
saldatura, ed all'uopo si recò a conferire col Comandante di
truppa a quota 1506 - dipendente dal sottosettore Nord -
riportandone l'impressione, convalidata poi, pur troppo, dagli
eventi, che tale truppa non avrebbe potuto tener testa all'urto
nemico.
Il Generale pensò, allora, di garantirsi nel miglior modo il
fianco destro e le spalle, ordinando al Comandante del 162.
Fanteria di spostare forza sul terreno verso l'ala destra del
sottosettore, col compito di parare ad una eventuale minaccia di
aggiramento, soggiungendogli che avrebbero dovuto mantenersi a
cavaliere della dorsale di Brusolada, a qualunque costo, anche se
le truppe del sottosettore Nord avessero ripiegato (Op. Cit. Pag.
108). Formò, anzi, a questo scopo, un reggimento misto, dandone
il comando al Ten. Col. Rossi Luigi del 162°. Caposaldo di
questo terreno, il cui possesso, come si è visto, assicurava le
truppe del sottosettore Sud contro il grave pericolo
dell'accerchiamento e garantiva ad esse, in caso di bisogno, le
vie della ritirata, è l'altura di quota 1528, ed è perciò su
quest'altura fu posta la Sezione Mitragliatrici del Tenente
Adamoli, il quale si rese ben conto dell'incarico tremendo ed
altamente onorifico che gli veniva affidato e lo assolse in modo
incomparabile, come vedremo in appresso.
Nelle ore antimeridiane del 20, dopo una violentissima
preparazione di artiglieria, grandi masse nemiche si slanciarono
all'attacco di quota 1506, i cui difensori, come si prevedeva,
furono costretti a ripiegare. Si tentarono, dal reggimento misto
suddetto, numerosi contrattacchi per riprendere la quota stessa,
ma questi eroici, generosi, tentativi s'infransero, dinanzi
all'infuriare del tiro d'artiglieria austriaco, d'ogni calibro.
Fu quindi giocoforza adattarsi ad una difensiva statica,
specialmente sulla linea Costesin-Brusolada.
Ma una difesa di questo genere, fatta per soprappiù con truppa
stanca, numericamente scarsa, non sostenuta in tempo, né
adeguatamente da rincalzi, non poteva condurre, nella migliore
ipotesi, che ad un ripiegamento.
Vediamo ora, brevemente, la sorte che subì il 1° Battaglione R.
Guardia di Finanza in questi tremendi avvenimenti. Esso, come si
è già detto, dopo essere rimasto circa un anno in prima linea,
era stato, il 12 aprile, ritirato ad Asiago per riposarsi e
riordinarsi, e lì fu impiegato in vari servizi di presidio. Il
15 maggio Asiago, com'è noto, fu fatta segno ad un violentissimo
bombardamento nemico, effettuato dai grossi calibri e dagli
aeroplani, per cui la cittadina fu dovuta sgombrare dalla
popolazione civile. In questa dolorosa contingenza, il nostro
battaglione si distinse, favorendo tale sgombro, e prestando
soccorso alla popolazione così duramente provata. Il
bombardamento nemico si protrasse anche nei giorni successivi,
finché Asiago non fu ridotta un ammasso di macerie. Il
battaglione, per sottrarsi a questo inferno, fu costretto a
rifugiarsi in un bosco vicino a Camporovere, all'addiaccio;
quando, il mattino del 20, ricevette l'ordine di portarsi subito
all'Osteria del Ghertele, a disposizione della 34. Divisione,
quale rincalzo alle truppe del sottosettore Sud. Durante la
marcia, il reparto, guidato dal capitano Luigi Squadrani, ebbe
ordine di recarsi alle Mandrielle, e quindi a Campo Rosa, ciò
che fece percorrendo un terreno incessantemente battuto dalle
violenti raffiche dell'artiglieria austriaca. L'indomani mattina
sul far del giorno ricevette l'ordine di portarsi celermente
sulla posizione Costesin-Brusolada, che, come si è spiegato, era
divenuta ormai il perno della resistenza, e che avrebbe dovuto
assicurare le vie della ritirata, ove questa fosse stata decisa.
Per più di sei ore, sotto un bombardamento di indescrivibile
potenza, e di fronte ai ripetuti attacchi nemici, il battaglione,
mostrandosi degno emulo degli eroici fanti dell''Ivrea' che aveva
a fianco, rimase saldo e compatto, pur avendo subito perdite
notevoli, specialmente di ufficiali (furono feriti il Capitano
Spinelli, e i tenenti Silvestri, Ghio, Bertè e Veneziani);
mentre la sua eroica Sezione Mitragliatrici col Tenente Adamoli,
più avanti, teneva duro a quota 1528, diventata una bolgia
infernale, per il bombardamento che tutto stroncava e
sconvolgeva, e per l'accumularsi dei cadaveri nemici sul rovescio
di tale quota, falciati dal tiro preciso delle due armi.
Per dare un'idea della violenza di questo bombardamento, e
dell'accanimento col quale il nemico incalzava prodigalmente
ondate di truppe contro la posizione suddetta, (che gli premeva
di possedere per scardinare tutta la nostra difesa) mi si
permetta di citare due brani di due corrispondenti di guerra, uno
italiano (Rino Alessi del 'Messaggero') e uno austriaco.
"Durante le ore del mattino - scrive l'Alessi - tutte le
bocche del Lavarone sono rivolte contro di noi, e vomitano, in
un'unica onda distruttrice, diecine e diecine di migliaia di
colpi... Dall'alto rotolano, con le schegge roventi delle
granate, blocchi di granito, frammenti minuti di lastroni
polverizzati. I pini e la nuvolaglia prodotti dagli scoppi
appaiono come il susseguirsi di tanti vulcani".
"Una delle principali battaglie - scrive la 'Neuie Freie
Presse' del 6 giugno 1916 - fu data per l'espugnazione del
Costesin Q. 1528, che costituiva un punto d'appoggio
straordinariamente forte nel complesso delle linee nemiche di
difesa. La lotta s'inizio con un cannoneggiamento che non è
possibile descrivere. Artiglieri che hanno partecipato alle più
terribili azioni d'artiglieria di questa guerra, dichiarano di
non aver mai visto un bombardamento di simile violenza; e questo
si può credere senz'altro osservando le posizioni nemiche. Vi si
nota un caos raccapricciante; un ammasso di reticolati divelti,
contorti, di tronchi a terra, enormi depressioni del terreno
generate dallo scoppio delle granate. Queste colpirono
potentemente, stroncando tronchi robustissimi di alberi,
sventrando i sacchi a terra e spargendone il contenuto molto
lontano. Quando il bombardamento ebbe inebetiti i nemici,
cagionando loro terribili perdite, allora fu sferrato l'attacco
delle fanterie".
Data questa situazione, l'enorme sproporzione dei nostri mezzi in
confronto con quelli del nemico, la interruzione delle
comunicazioni prodotta dal bombardamento e l'assolutamente
inadeguata affluenza di rinforzi alle truppe del sottosettore,
ormai pressoché esauste, a causa della tormentosa lotta che da
ben sei giorni andavano sostenendo, senza mai tregua, è evidente
che il ripiegamento era fatale. Si noti, infatti, che, oltre al 1.
Battaglione R. Guardia Finanza, furono avviate di rincalzo la
sera del 20, soltanto alcune compagnie della Brigata Alessandria,
disorientate e coi vincoli organici alquanto rilassati pel modo
tumultuario in cui avvenne il trasporto di esse su autocarri, e
pel fatto che il reggimento al quale appartenevano fu suddiviso
tra i due sottosettori nord e sud.
Fu così che il Generale Murari-Brà, in seguito a ordine del
Comando di Divisione giunto alle ore 11 del 21, dette
disposizioni per il ripiegamento, avviando prima il carreggio e
le salmerie per la via Mandrielle-Ghertele, più sicura e più
riparata dal tiro, quindi la sinistra per Campo Poselaro e Tola
del Vescovo, e la destra per Mandrielle e Campovecchio.
Tale ripiegamento doveva, però, avvenire sotto la protezione del
reggimento misto, ridotto, ormai, ai minimi termini, del Ten. Col.
Rossi (reggimento che all'uopo rimase sulla dorsale Costesin-Brusolada,
e soprattutto sul caposaldo di 1. 1528, strenuamente difeso dalla
Sezione Mitragliatrici del Tenente Adamoli) e ciò fino a tanto
che le rimanenti truppe del sottosettore fossero giunte al sicuro.
E fu in questa circostanza che il valore dei nostri mitraglieri
brillò di tutta la sua luce. Essi avevano piena coscienza di ciò
che si richiedeva loro in quel momento: resistere ad ogni costo,
per impedire che il nemico avesse a mutare il ripiegamento delle
nostre truppe in una disastrosa sconfitta. Ed in questa coscienza
essi, dominando l'angoscia che li attanagliava per l'esito
infausto della battaglia, dominando lo sfinimento prodotto da sei
giorni di fatiche, di stenti, di spasimi inenarrabili, seppero
trovare la forza di assolvere questo duro compito, lottando
accanitamente, senza speranza di vincere, e col solo scopo di
proteggere i loro fratelli che si ritiravano.
Le ondate austriache salgono incessantemente contro q. 1528, il
cannoneggiamento continua a dirigervi le sue raffiche
terrificanti, ma i difensori di quota 1528, decisi a rimanere sul
posto fino all'esaurimento del loro compito, non mollano. Una
delle due mitragliatrici della Sezione, colpita in pieno da un
proiettile di grosso calibro, è sconquassata; già buona parte
del materiale è distrutto, ma non si arretra, perché l'ordine
è quello. Il Tenente Adamoli impugna l'arma superstite, e
continua a mietere nelle file nemiche. Il valorosissimo Ten. Col.
Rossi, dopo uno dei più tragici momenti superato, facendo anche
molti prigionieri, dal Tenente Adamoli, va sul ciglio del fuoco,
e piangendo di commozione lo abbraccia e lo bacia.
Gli austriaci già cominciano ad attorniare la posizione da cui
egli, calmo ed alacre, manovra la sua mitragliatrice arroventata
dall'uso prolungato, già un cadetto, sbucatogli alle spalle,
gl'intima di arrendersi, gli posa le mani addosso.
Il Tenente Adamoli, senza scomporsi, senza cessare dalla sua
funzione sterminatrice, senza neppure degnarsi di guardarlo, lo
respinge con una gomitata nel petto. Il cadetto, irritato, fa il
gesto di estrarre la rivoltella, evidentemente con l'intenzione
di finirlo. Allora avemmo questo episodio di sacra ferocia: la
guardia Cavagnolo Giovanni, accortosi di ciò, afferra per la
gola il cadetto, gli configge le unghie nella carne, lo atterra,
e non lo lascia se non quando l'ha visto con gli occhi sbarrati e
con la lingua di fuori, strangolato. Di questo episodio è
traccia eloquente nella motivazione riguardante la medaglia di
bronzo concessa a questo valoroso.
Finalmente, dopo sei ore dall'inizio del ripiegamento, e quando,
ormai, le colonne ripieganti sono al sicuro, la posizione viene
abbandonata, in ordine, trasportando via armi e materiali. Lungo
il cammino fu dovuta, alcune volta, piazzare l'unica
mitragliatrice ancor valida che era rimasta, per tenere a
distanza qualche pattuglia nemica che molestava alle calcagna.
"Ultimo a ritirarsi, alle ore 18 - dice il Generale Murari-Brà
a pagina 112 della sua pubblicazione precitata - fu il Tenente
Col. Rossi, con un pugno di eroi leggendari che imposero rispetto
al nemico".
Questi eroi leggendari erano il Ten. Adamoli e i suoi mitraglieri.
E nell'ordine del giorno emanato l'indomani alle sue truppe per
elogiarne la valorosa condotta, detto Generale afferma "il
nemico non ha osato inseguirci!".
La sera del 22 la Sezione si ricongiunse al proprio Battaglione,
che occupava alcuni trinceramenti al di qua dell'Assa, verso
Canove; e per quanto avesse i propri uomini laceri, contusi,
assorditi dalle cannonate, sfiniti dal lungo digiuno e dai
patimenti di ogni sorta, tornava in linea, e contribuiva, nella
notte, a respingere nuovi attacchi nemici.
La Sezione fu tutta decorata al valor militare: otto medaglie
delle quali tre d'argento. Forse meritava di più (infatti, in
casi simili, si è dato di più) ma il momento non era propizio
per una migliore esaltazione delle sue gesta. Si sarebbe potuto
rimediare in seguito; ma nessuno ci ha pensato. E così la R.
Guardia di Finanza è l'unico Corpo che non abbia né
singolarmente né collettivamente, medaglie d'oro.
Il Generale Murari-Brà ha conservato un ottimo ricordo del 1°
Battaglione della R. Guardia di Finanza, e soprattutto dei suoi
magnifici mitraglieri. Sul Cippo eretto a quota 1528 del Costesin
nel 1922, fece incidere nel bronzo, insieme alle Truppe del R.
Esercito che si segnalarono nell'eroica difesa del maggio 1916,
anche il nome del Battaglione stesso. E in data 9 settembre 1922,
pochi giorni prima che tale cippo venisse inaugurato, il Generale
scriveva al Capitano Adamoli: "Coi fanti dell'Ivrea va
indissolubilmente legato il ricordo della R. Guardia di Finanza
del 1° Battaglione, ed in ispecie di quegli eroici mitraglieri
che si copersero di gloria. Sulla lapide che scopriremo il 24
corr. sull'Altipiano dei Sette Comuni è ricordato il loro
Battaglione fra gli eroici difensori del Costesin. ...Io li
ricorderò con ammirazione i suoi eroici mitraglieri...".
E il Colonnello Raffaele Basso, già Comandante del 162° e ora
Console Generale della M.V.S.N., in data 19 maggio 1924:
"Caro Capitano, ricordo con grande affetto i miei buoni e
valorosi commilitoni, e vorrei poterli abbracciare uno per uno
per dimostrar loro di quanta riconoscenza essi abbiano diritto
dal nostro paese. Rammento la sua eroica Sezione Mitragliatrici e
l'efficacissimo aiuto da essa dato al mio tartassato Reggimento
sul Costesin, in quelle epiche giornate...".
Questa splendida pagina di gloria, scritta dai Mitraglieri del 1°
Battaglione nella Storia del Corpo (pagina alla quale si
aggiungono quelle pure bellissime dei mitraglieri del 19°, il
cui Comandante, sottotenente Cesare Catenacci, cadde manovrando
la propria arma al Pal Piccolo il 23 giugno 1916; e di quelli del
3°, comandati dal Ten. Alberto Lo Sasso caduto alla loro testa
sotto Cima d'Oro il 9 luglio 1916) costituisce una magnifica
tradizione, che sarà fonte di nobili ispirazioni e di generosi
impulsi alle nuove generazioni di finanzieri, e che darà piena
garanzia per l'assolvimento del compito loro affidato della prima
difesa dei passi di confine.