Umberto Adamoli

Divagazioni

       E' settembre. E' il mese delle miti malinconie, ed è l'ora in cui le naiadi, le ninfe, le dee della poesia e dell'amore popolano le fonti, le valli ed i boschi. Seggo su di un colle, all'ombra del mistico olivo, simbolo della pace. E pace è tutt'intorno. Silvi, lindo villaggio, nella luce del meriggio, biancheggia sulla collina di sogni dalle gialle ginestre, dalle liete vigne, dai verdi pini, dai chiomati oliveti. Dinanzi si stende il mare, su cui vanno, come anime vaganti, numerose variopinte barche; sotto, nella spiaggia, ai raggi del sole, ridono come un incanto, nei giardini e boschetti fioriti, le gaie villette del riposo estivo. Lontano, a destra, alle foci del Pescara posa tra una rosea caligine, la città del cantore della nuova Italia, del vate della Patria risorta; più lontano ancora, a sinistra, s'indovina, avvolto nelle ombre della lontananza, il nativo borgo selvaggio di un altro vate, di un altro poeta italiano, ma anche poeta profondamente umano, del poeta dell'amore e del dolore. Dietro, con le sue cime superbamente elevate al cielo, il paterno Gransasso; più in giù, a lato, la catena del bruno Morrone; più giù ancora, più lontano, la cupa Maiella dalle grotte misteriose, dalle fantastiche leggente, abitatrici di fate.
       Pace è tutt'intorno. L'aria nella serenità è calma e miti sono, nella luce meridiana e nell'ombra, i raggi solari. Di tratto in tratto passano, come sospiri, tenui voci; salta d'accanto il grillo e passa di frasca in frasca, di albero in albero, con la novella prole, intessendo gli ultimi idilli, la varia, piumata famiglia. S'ode ancora nella siepe solitaria il dolce canto del vago cantore dei campi, ma nelle modulazioni e nei gorgheggi, mancano il brio e la giocondità del risveglio alla vita e agli amori. Vi è molta mestizia oggi in quel canto, presentimento forse dell'imminente assopimento dei sensi, delle imminenti giornate piovose autunnali, del vicino inverno.
       Le vendemmiatrici, in un altro magnifico quadro, tra i pampini ed i grappoli d'oro, forse con gli stessi sentimenti del cantore della siepe, in armonioso coro, innalzano anche i loro canti; i canti della spensierata ed agitata giovinezza.
       Io intanto, a poco a poco, mi distraggo. Commosso, in un malinconico smarrimento, volgo il mio pensiero alle curiose, strane e dolorose vicende umane. E penso che queste contrade, coperte di selve e di silenzio, un tempo erano abitate soltanto dalle deità, ora benigne ora maligne, dell'alterata fantasia degli antichi. Non vi si doveva certo udire che l'alitare, lo stormire delle foglie, che il mormorio lieve dei ruscelli, che i bisbigli, le voci misteriose della natura. Ma penso anche che l'uomo, spintovi dalle sue necessità, dal suo spirito inquieto ed avventuroso, non tardava di giungervi, con le sue mandrie, con il suoi de' suoi flauti, a molestarvi l'incanto, a turbarvi co i suoi istinti e con le sue passioni, la serena pace.
       E vedo seguire a quelli altri tempi, ora tranquilli, ora tempestosi. Veggo l'ingordo e bieco predone, giunto con torvi desideri dal mare, rincorrere i deboli ed indifesi abitanti fuggenti verso l'alto con le donne e le ricchezze. Ma veggo anche generosi e valorosi cavalieri erranti ricercare e fare strage di questi furfanti; come veggo coorti di cavalieri piumati, su superbi e ricchi destrieri, marcianti verso le tenzoni dell'agilità, verso le festose giostre. Passano pure lunghe file di raccolti pellegrini, infondendo con i canti lamentevoli, molta mestizia. Ma passano pure, negli eterni contrasti, liete brigate di troveri, diretti a confortare, con i liuti, con il canto, con il piacevole dire, le solitarie e belle castellane.
       Oggi mentre io seggo quì, vivo tra i viventi, ben altre scene vi si veggono, ben altre voci vi si odono. Altro è nell'esterno la vita, ma le passioni, tempesta perpetua dell'anima, vi si agitano come vi si agitavano ieri, come si agiteranno domani, come si agiteranno sempre. Le onde del mare laggiù non posano se non per risvegliarsi più gonfie e più veementi. Così le passioni, non essendo la tregue che apparente! E l'uomo ne deve subire, quasi impotente, come le piante e la rigogliosa vegetazione subisce le ire celesti, i capricci, le molestie, i dolori.
       Tale è la vita. E bella? Sembra, in verità, talora un dramma, talora una tragedia. Ad ognuno, nella grande scena, è assegnata la sua parte ed ognuno la recita con minore o maggiore arte, con minore o maggiore fortuna. Talvolta l'artista, nella spensierata gaiezza, esuberante, nella magnificenza del suo sentire, declama, canta, inalza inni alla bellezza della vita e dell'amore; tal'altro, vestito a gramaglia, accasciato singhiozza, piange, piange nella disperata lotta con le avversità, piange per le beffe del beffardo destino.
       Ma oggi, nel cielo sereno, nell'aria limpida, nella festa di sole e di luce, ne' tenuissimi palpiti dell'azzurro mare, è magnifico lo scenario, magnifica la scena. Oggi a me dovrebbe essere affidata gioconda, amorosa parte.
       Cantate, cantate liete o vendemmiatrici, le vostre canzoni più belle, espressione dei vostri sentimenti più dolci e forti e amate. Godete: volano le ore beate; vola la giovinezza; vola la vita!

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